Omayra aveva gli occhi neri, profondi, silenziosi.
Aveva solo 13 anni quando morì, davanti allo sguardo sgomento del mondo, che aveva assistito alla sua lenta agonia, per 60 ore.
L’Italia aveva pianto e sofferto con lei, ricordando la tragedia di Alfredino Rampi.
Aveva sperato che per lei il destino fosse diverso, ma Omayra non ce l’aveva fatta.
Era morta per la gangrena, per l’ipotermia, intrappolata nel fango, fra le macerie della sua casa.
Omayra aveva lottato, aveva sorriso, aveva creduto, come noi che ce l’avrebbe fatta.
Che quei volontari, che le stavano accanto, in attesa degli aiuti inviati dal governo, l’avrebbero tirata fuori da quella gelida trappola.
Poi, dopo ore di tentativi, la luce nei suoi occhi si era spenta e aveva lasciato il posto alla rassegnazione.
Il 13 novembre la tremenda eruzione del vulcano Nevado del Ruiz ad Armeno, in Colombia, aveva causato una serie di lahar che avevano distrutto 14 fra città e villaggi.
Furono circa 30.000 le vittime, fra cui Omayra.
I suoi occhi, le sue mani, il suo volto pieno di dolore fecero il giro del mondo.
Nessuno ha mai dimenticato la sua dignità, quel lento scivolare verso la morte di una bambina di 13 anni.
Omayra resterà nei nostri cuori con quei suoi grandi e profondi occhi neri, pieni di rassegnazione.
