Il silenzio dell’ innocente

Tempo di lettura: 4 minuti

Ricordo tutto con una lucidità incredibile, anche adesso che ti scrivo è come se fossi lì, in quella cucina/tinello, in quel pomeriggio di tardo autunno. Sono passati 53 anni da quel giorno eppure è ancora oggi...
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Ancora una volta vi lascio una testimonianza che mi è arrivata in privato.
Un’altra bambina divenuta donna, vittima di un pedofilo  fra le mura di casa.
Il silenzio e la vergogna l’hanno condannata ad anni di molestie sessuali.
Nell’ultimo periodo ho avuto modo più volte di scrivere di violenza sui minori e sulle donne.
Il denominatore comune in tutti i casi è sempre l’indifferenza, di chi sa o di chi dovrebbe sapere e non fa nulla, per paura, per fermare sul nascere un fenomeno di così grande portata distruttiva.
La donna che ha scritto queste righe, condivide con noi un evento estremamente doloroso della sua vita.
Proviamo a fare tesoro delle sue parole come genitori, per cercare di cogliere gli eventuali segni di disagio dei nostri figli, e come donne, per trovare il coraggio di denunciare chi ci rende vittime di violenza fisica e psicologica.
Troppe maschere e pochi volti ci circondano ogni giorno, nella vita quotidiana e sui social network, dove l’apparire è diventato più importante dell’essenza del nostro essere.
Ma tra le mura di casa la maschera cade, lasciandoci nudi davanti alla nostra finzione e lì  saremo costretti a fare i conti con noi stessi….

Ho quasi letto il pezzo sulla bimba molestata dal pedofilo. Ho quasi letto,  perché è uguale alla mia storia: sesso orale dai 7 ai 14 anni.
Mio padre abbandonò mia madre, ma soprattutto me quando avevo 5 anni, sparì nel nulla per  anni.
Mia madre, dopo pochi mesi, intrecciò una relazione col secondo uomo sbagliato della sua vita, il primo era mio padre. Lei apparteneva a quel genere di donna che cambia uomo, ma non relazione, credo avesse un bisogno insano di vivere in storie tossiche.
Ricordo tutto con una lucidità incredibile, anche adesso che ti scrivo è come se fossi lì, in quella cucina/tinello, in quel pomeriggio di tardo autunno.
Sono passati 53 anni da quel giorno eppure è ancora oggi. Sono in terapia da anni, ho attraversato la bulimia, l’autolesionismo, i sensi di colpa e il post trauma che é esattamente uguale a quello che si subisce in guerra.
La capacità dei pedofili di far sentire la vittima responsabile di quel che accade è indescrivibile a parole.
Non parlavo, perché diceva che se mia madre o chiunque della famiglia l’avesse saputo mi avrebbero spedito in collegio.
A 11 anni ho trovato il coraggio di parlarne con un prete nel confessionale, mi ha “ASSOLTA” e mi ha dato un rosario da recitare… tutto lì! Non amo il clero e seguo una mia personale fede.
A 12 anni mia madre spiando da un buco della serratura ha visto “qualcosa”: ho preso talmente tante di quelle botte che ho avuto 2 giorni di febbre, giurava che mi avrebbe messo in riformatorio… che fare? Ho mentito… mi sono salvata… l’ho salvato… l’ho salvata!
A 14 anni voleva avere rapporti completi, voleva essere il primo.
Mi sentivo incapace di fuggire, di avere reazioni. I giorni passavano veloci e la sua richiesta diventava sempre più pressante, sempre più vicina, sempre più vera… stavo impazzendo.
Camminavo per strada il pomeriggio del 14 giugno 1974, una macchina rossa, un bel ragazzo di 20 anni… un attimo e nessun pensiero, lo presi per mano e lo portai nella camera da letto di mia madre e della sua bestia e lì in quel letto, con la coperta di lapin, feci sesso per la prima volta. Un po’ di sangue, un po’ di male, un’unica sensazione quella cosa che voleva non c’era più… avevo vinto io.
Raccontai tutto a quel ragazzo e fu lui la mia salvezza.
Salvezza dal mostro, mia madre sapeva e la gente sapeva perché il ragazzo parlò a molti.
Ti chiedi se mia madre lasciò quel mostro?
Scherzi! Erano troppo uguali, uno dipendente dall’altro.
Lui era più importante di tutto.
Lo sposò e ne rimase vedova e ne ha sempre sentito la mancanza.
Mia madre è morta un po’ più di un anno fa, è sepolta nel cimitero del mio paese, dove vado regolarmente a prendermi cura di quelle lapidi che ancora dimostrano l’esistenza di persone che ho amato, ma non sono mai andata a visitare lei: la grande genitrice, la grande truffa, la grande niente.
Ora, riesco anche a fare dell’ironia su ciò che successe, un po’ come gli ebrei che sono capaci di farti ridere con barzellette sulle loro disgrazie, perché se tu ridi, io riesco a nascondere il mio dolore, dolore che è mio verso me stessa.
E se ti chiedi dove sia successo tutto questo, non pensare alle periferie degradate del sud, non pensare a Fortunata scaraventata giù da un tetto. Pensa a Varese, ai paesini sulla linea ferroviaria nord-Milano. La Regione del tutto, eppure così uguale alle regioni del niente.
Ciao e abbraccia quella ragazza per me…

BIBLIOGRAFIA

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