L’Operazione Piave fu un’operazione ordinata dall’alto comando tedesco in Italia nel settembre 1944 per eliminare le formazioni partigiane operative sul monte Grappa. Ebbe il suo apice il 26 settembre 1944, quando nel corso centrale di Bassano del Grappa furono impiccate 31 persone. I corpi rimasero esposti per 4 giorni, come monito per chi li vedeva.
Ma veniamo ai fatti…
Dai primi giorni di settembre, a Castello di Codego, in provincia di Treviso, si radunò un piccolo esercito comandato dal colonnello Zimmermann. I soldati circondarono il Monte Grappa con l’intento di fermare l’azione dei partigiani presenti in val di Brenta e nella valle del Piave.
Erano attive sul territorio la Brigata Giacomo Matteotti, composta da circa 500 uomini guidati dal capitano Angelo Pasini detto “Longo”, la Brigata Italia Libera Archeson, composta da circa 250 uomini comandati dal maggiore Edoardo Pierotti e la Brigata Gramsci, composta da 150 uomini.

I partigiani erano armati con mitragliatrici Bren, mitra Sten, fucili, e bombe a mano. I rifornimenti erano reperiti in zona, grazie all’aiuto della popolazione.
Pronti a fronteggiarli, nel fondovalle, c’erano soldai della Wehrmacht, SS, volontari ucraini oltre che gli uomini delle Brigale Nere di Vicenza e Treviso. A differenza dei parigiani, erano ben armati e dotati di cannoni, mortai, autoblindo, mitragliatrici pesanti e lanciafiamme.
Il 20 settembre alle ore 6:30 del mattino ebbe inizio lo scontro sul versane est della montagna, tra Quero e Alano di Piave.

Il giorno seguente, i soldati nazifascisti, per piegare la resistenza degli avversari, presero in ostaggio dei civili. I partigiani, vista la situazione, furono costretti a ripiegare procedendo a lato delle Pale di Crespano del Grappa, ma alcuni di loro furono catturati e fucilati sul posto.
La disparità delle forze in campo era evidente.
Il 21 settembre, il capitano “Longo” decise di dare l’ordine del “si salvi chi può”, riuscendo a mettersi in salvo con alcuni uomini nel fondovalle. Gli ultimi a resistere furono i partigiani del battaglione Buozzi, esperti del territorio.
Il 28 rimanevano ancora una ventina di partigiani che però decisero, allo stremo delle forze, di abbandonare la zona per unirsi alla Brigata Gramsci.
Quelli che furono fatti prigionieri dai nazifascisti vennero sottoposti a sommari processi, per poi essere impiccati o fucilati, mentre altri furono deportati in Germania, con destinazione Dachau o Steyr-Münichholz.

Il vice brigadiere delle SS Karl Franz Tausch, incaricato in quel periodo della gestione del territorio, e Herbert Andorfer, Obersturmführer delle SS, suo diretto superiore, idearono uno stratagemma per catturare altri giovani ancora nascosti.
Affissero sui muri di diversi paesi un comunicato in cui promettevano, a chi si sarebbe presentato spontaneamente, un posto di lavoro in una delle industrie impegnate nello sforzo bellico.
Si presentarono 31 giovani, spinti dalle loro stesse famiglie, convinte che in quel modo avrebbero avuto salva la vita.
Una vola radunati, furono caricati su alcuni camion e condotti fino a Bassano del Grappa.
Il primo di loro fu preso e gli fu fatta una iniezione per stordirlo, poi fu impiccato ad un albero con un cavo telefonico collegato ad uno dei camion, dopodiché venne il turno del secondo, impiccato sempre con le stesso cavo all’albero successivo. Fino alla trentunesima vittima, il procedimento venne sistematicamente eseguito mentre il camion avanzava lentamente stringendo sempre più i colli degli impiccati.
L’esecuzione fu organizzata su tre vie alberate, trasformate in improvvisati patiboli.
Venne eseguita da giovani ex “Fiamme Bianche” della GNR, ceduti ai tedeschi della Flak Italien. I ragazzi, tutti sui 17 anni, accostato il camion sotto le piante, afferrarono il laccio già preparato, lo infilarono al collo delle vittime, una alla volta, dando anche due violenti strappi alle gambe per affrettarne la morte quando se ne presentava la necessità.

Nessuna esitazione.
Le 31 impiccagioni furono eseguite 5 in via Brigata Basilicata, 12 in Viale dei Martiri, 5 in viale Venezia a Bassano e 9 in viale Venezia, in territorio di Cassola.
I corpi furono lasciati esposti, con un cartello al collo con la scritta “Bandito”.
Nei giorni successivi furono giustiziati il tenente Leo Menegozzo, impiccato a Possagno davanti alla sua casa in fiamme e il tenente Angelo Gino Ceccato, impiccato davanti ai suoi genitori dopo che anche a lui fu incendiata la casa.
L’operazione Piave si concluse il 28 settembre.
Morirono 264 persone di cui 187 fra bruciati, fucilati e impiccati, 23 morti in combattimento, mentre dei restanti non si conosce la circostanza della morte dato che non tutte le salme furono ritrovate.
Probabilmente finirono in fosse comuni.
Delle vittime di quei giorni ci resta il loro ricordo, il sacrificio di chi combatteva per la libertà di tutti, anche quella di chi ancora non sa se festeggiare o no il 25 aprile…