Nel 1932 la Germania con fatica si sta ricostruendo dopo la disfatta della Prima Guerra Mondiale, diventando una repubblica democratica semipresidenziale. Presidente e parlamento, Reichstag, sono eletti con suffragio universale. Una volta nominato il presidente, è lui stesso poi a scegliere il cancelliere, equivalente del nostro premier, che assume la carica di capo del governo. A ricoprire quell’incarico nel ’32 è Paul Von Hindenburg, di 86 anni, che l’anno precedente ha battuto alle elezioni Adolf Hitler, capo del Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi. Ma la situazione ben presto cambierà.
Hitler e i suoi cavalcano l’onda del malcontento generale, legato alla grande crisi del 1929. Quell’uomo all’apparenza insignificante, parla alla pancia delle persone, fa leva sulle loro paure, sull’incertezza del futuro. Si fa portavoce del popolo, alimentando il malcontento generale, il rancore verso quelle classi sociali che stanno bene, verso chi non è tedesco. In molti lo ascoltano, scendono in piazza ad ascoltale i suoi comizi. Crescono i consensi. Il vero cambiamento avviene alle elezioni del novembre 1932, quando il partito nazista ottiene il 33,6% dei voti, conquistando 196 seggi al parlamento. I socialdemocratici se ne aggiudicano 133 mentre i comunisti 100.
Hitler viene nominato cancelliere. È alla guida di un governo di coalizione costituito dal suo partito, da altri partititi nazionalisti e di centro. Vice cancelliere è Von Papen, uomo moderato e poco ingombrante. In realtà le forze dell’opposizione sono convinte che Hitler non sia una minaccia per nessuno; vedono in lui un giovane impreparato che presto si sarebbe rovinato con le sue mani. Ma non è così, la storia ce lo racconta.
Adolf Hitler ha le idee ben chiare, può contare sull’appoggio di chi ha più esperienza di lui. La propaganda di partito si fa sempre più serrata, portando alla luce linee guida dai tratti preoccupanti.
Il 26 febbraio 1933 la situazione precipita improvvisamente. Qualcuno dà alle fiamme la sede del Reichstag.
Un giovane olandese, Marinus Van Der Lubbe, di 25 anni, viene trovato dietro l’edificio ancora in fiamme, seminudo e in stato confusionale. Interrogato dalla polizia, afferma di essere di ideologia comunista e di aver appiccato l’incendio. Dopo un breve processo a Lipsia viene condannato a morte e successivamente decapitato. La responsabilità di quell’azione ricade sui deputati comunisti presenti in parlamento: 80 sono arrestati immediatamente, mentre seguono la stessa sorte altri 4000 funzionari intermedi, considerati una minaccia grave per la sicurezza del popolo tedesco e dello stato. Due giorni dopo il governo emana un Decreto per la Protezione del Popolo e dello Stato che nell’articolo 1 stabilisce: «Gli articoli 114, 115, 117, 118, 123, 124 e 153 della Costituzione del Reich sono abrogati fino a nuovo ordine. Sono quindi autorizzati – anche oltre i limiti fissati dalla legge – la restrizione della libertà individuale, della libertà d’opinione – compresa la libertà di stampa – del diritto di assemblea e di associazione, la violazione del segreto postale, telegrafico e telefonico, come pure gli ordini di perquisizione, di sequestro e di limitazione della proprietà».
È l’inizio della fine della Germania libera.
Il 5 marzo 1933 il governo indice nuove elezioni. Il partito nazista fa un nuovo balzo in avanti, conquistando il 43,9% dei voti. Non è la maggioranza assoluta, ma Hitler ottiene nuovamente l’incarico di cancelliere, grazie all’appoggio dei suoi alleati. Il 24 marzo si procede con la nomina: 441 voti favorevoli, 100 astenuti, costituiti dai deputati comunisti a cui è impedito l’accesso in aula. I socialdemocratici tentano di opporsi, ma non serve. Gli esponenti di partito vengono arrestati, gli organi di stampa chiusi. Dachau diventa la sede del primo campo di detenzione speciale, in cui vengono condotti i cittadini “indesiderabili”.
In aprile, stranieri ed ebrei sono espulsi dagli incarichi pubblici, mentre vede la luce la temibile Gestapo.
A giugno il partito socialdemocratico viene sciolto e dichiarato fuorilegge.
Arriviamo a luglio del 1933. La Germania è una nazione diversa. Il giorno 14 una legge proibisce tassativamente l’esistenza di qualsiasi partito ad eccezione di quello nazista. Le elezioni che seguono danno un risultato scontato: i nazisti di Adolf Hitler ottengono il 92,11% dei voti. Sono dichiarate nulle o bianche il 7,89% delle schede. Il 20 luglio, pochi giorni dopo, si firma a Roma il Reichskonkordat, concordato fra Santa Sede e la nuova Germania nazista e antisemita. A firmare sono Eugenio Pacelli, futuro papa Pio XII, per conto di papa Pio XI, e Franz von Papen, per conto del presidente tedesco Paul von Hindenburg.
Finisce così la libertà per la Germania e per l’Europa, che ancora non lo sa, e per milioni di persone, mentre silenziosamente molti assistono agli eventi che avverranno negli anni successivi.
La storia è cambiata in 180 giorni….
