10 mesi, sfigurata dall’acido: la storia di Sima

Tempo di lettura: 4 minuti

È una notte come tante in un piccolo villaggio rurale del Bangladesh. Un uomo, sposato da meno di un anno, si alza dal letto e va verso quello in cui dorme la sua piccola. Ha solo 10 mesi. La guarda. Prende una bottiglia con del liquido e gliela rovescia sul viso e sul corpo. È acido...
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2001, Bangladesh.
È una notte come tante in un piccolo villaggio rurale. Un uomo, sposato da meno di un anno, si alza dal letto e va verso quello in cui dorme la sua piccola.
Ha solo 10 mesi.
La guarda.
Prende una bottiglia con del liquido e gliela rovescia sul viso e sul corpo.
È acido.
La moglie si sveglia per le urla strazianti della sua figlioletta.
Sima, questo è il suo nome, è una delle tante vittime di attacchi con l’acido nel paese.
Il suo carnefice è proprio l’uomo che le ha dato la vita, quel padre per cui lei costituisce un peso, una bocca da sfamare, un debito futuro.
Sima non è frutto dell’amore, ma bensì di un matrimonio riparatore voluto dal capo villaggio per dare rispettabilità ad una giovane donna che, dopo una frequentazione con un suo coetaneo, è rimasta incinta.
Quell’uomo, messo alle strette, ha accettato il suo destino ma alla nascita della piccola ha deciso che non avrebbe più sopportato quella situazione.
L’acido avrebbe cancellato la colpa di quella creatura, essere nata femmina, e gli avrebbe ridato la libertà.
Ma Sima non è morta.
Con tutte le sue forze si è aggrappata a quella vita che proprio suo padre le voleva strappare.
L’uomo è stato condannato a soli tre mesi di prigione e una volta ritornato in libertà ha ripudiato moglie e figlia.
Da quel giorno è stato così libero di rifarsi una vita, beneficiando anche della pensione di invalidità prevista dallo Stato per sua figlia.
Sima e la sua mamma sono entrate in ospedale. I medici volontari della Acid Survivors Foundation, istituita nel 1999 da un medico inglese, sono immediatamente intervenuti per riparare i danni devastanti che l’acido aveva compiuto sul volto e sul corpo della bambina. È iniziato così un lungo iter che ha segnato fino ad oggi la sua giovane vita: trapianti, sale operatorie, riabilitazioni, emarginazione sociale, occhiate e solitudine.
Oltre alla pelle, divenuta sottile come carta velina, sono stati intaccati i muscoli facciali. Ogni intervento è fatto per aggiustare il volto della bambina durante la crescita.
Sima non ha capelli.
Le è stato riaperto un occhio, con la speranza che riesca a vedere.
Le è stato ricostruito parzialmente il naso.
Le è stata riaperta la bocca, che era completamente fusa dall’acido.
Dopo tanti e tanti interventi può parlare ed alimentarsi in maniera regolare.
Una delle due orecchie è stata quasi completamente fusa mentre l’altra è rimasta intatta.
Sima soffre di frequenti infiammazioni alla testa, per le quali è costretta ad assumere antidolorifici.
Gli innesti di pelle a cui viene sottoposta periodicamente andranno avanti per tutta la vita.
L’isolamento sociale è forse il danno peggiore da dover sopportare sia per Sima che per la sua mamma.
Purtroppo i rapporti tra le due donne e il carnefice non si sono interrotti.
Secondo la cultura locale, se una donna viene ripudiata dal marito o rimane vedova, perde ogni diritto, diventando proprietà della comunità, pertanto aggredibile da chiunque.
Per garantirsi una certa sicurezza, la madre di Sima ha così continuato, nonostante l’accaduto, a fare visita al marito, che nel frattempo ha avuto due figli maschi dalla nuova moglie.
Durante una di queste visite anche la donna è rimasta incinta e questa volta ha partorito un maschio.
Questo evento è stato sufficiente per proteggerla dallo stigma sociale.
Quello che accade dopo a Sima è frutto dell’amore.
Una imprenditrice italiana ha preso a cuore la situazione della piccola, di sua madre e del fratellino appena nato.
Da qualche anno Sima vive nella Snehonir, “Casa dell’affetto”, un ostello per bambini normali e con disabilità fisica, orfani o provenienti da famiglie molto povere, diretto dalle suore. In questo luogo protetto, si insegna al bambino “normale” ad aiutare il bambino con “difficoltà”, così che anche la disabilità diventi, giorno dopo giorno, una cosa normale.
La nuova vita ha permesso a Sima di interrompere qualsiasi tipo di rapporto con il suo papà carnefice, che in questo modo ha perso ogni diritto sul vitalizio che lo Stato gli riconosceva in quanto genitore di un bambino vittima di un attacco con l’acido.
La storia di Sima e della sua famiglia è una storia di grande dolore e di emarginazione, frutto di una cultura che anziché aiutare i più deboli li costringe a vivere ai margini della società, senza diritti e senza alcuna prospettiva per il futuro.

BIBLIOGRAFIA

http://www.asianews.it/notizie-it/La-storia-di-Sima,-sfigurata-con-l%E2%80%99acido-dal-padre-a-10-mesi-23179.html

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