Un treno chiamato vergogna

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Treno della vergogna è la locuzione popolare con cui s'intende il convoglio ferroviario che nel 1947 trasportò ad Ancona chi proveniva dal quarto convoglio marittimo di Pola, carico di esuli italiani che al termine della seconda guerra mondiale furono costretti ad abbandonare i loro paesi...

Treno della vergogna è la locuzione popolare con cui s’intende il convoglio ferroviario che nel 1947 trasportò ad Ancona chi proveniva dal quarto convoglio marittimo di Pola, carico di esuli italiani che al termine della seconda guerra mondiale furono costretti ad abbandonare i loro paesi, le loro abitazioni e le loro proprietà in Istria, Quarnaro e Dalmazia nel contesto storico generale ricordato come l’esodo giuliano dalmata.
Fu anche offensivamente definito, da una parte dei ferrovieri di allora, treno dei fascisti, a testimonianza della disinformazione e del contesto estremamente politicizzato e ideologizzato in cui tale vicenda si consumò. I fatti gravi e incresciosi si verificarono nella stazione di Bologna Centrale.
Entriamo, brevemente, nel racconto di ciò che avvenne.
La domenica del 16 febbraio 1947 da Pola partirono per mare diversi convogli di esuli italiani con i loro ultimi beni e, solitamente, una bandiera d’Italia. I convogli erano diretti ad Ancona dove gli esuli vennero accolti dall’esercito a proteggerli da connazionali, militanti di sinistra, che non mostrarono alcun gesto di solidarietà.
La sera successiva partirono stipati in un treno merci, sistemati tra la paglia all’interno dei vagoni, alla volta di Bologna dove la Pontificia Opera di Assistenza e la Croce Rossa Italiana avevano preparato dei pasti caldi, soprattutto per bambini e anziani. Il treno giunse alla stazione di Bologna solo a mezzogiorno del giorno seguente, martedì 18 febbraio 1947. Qui, dai microfoni di certi ferrovieri sindacalisti CGIL e iscritti al PCI, fu diramato l’avviso Se i profughi si fermano per mangiare, lo sciopero bloccherà la stazione.
Il treno venne preso a sassate da dei giovani che sventolavano la bandiera rossa con falce e martello, altri lanciarono pomodori e sputarono sui loro connazionali, mentre taluni buttarono addirittura il latte, destinato ai bambini in grave stato di disidratazione, sulle rotaie, dopo aver buttato le vettovaglie nella spazzatura. Per non avere il blocco del più importante snodo ferroviario d’Italia il treno venne fatto ripartire per Parma dove POA e CRI poterono distribuire il cibo, trasportato da Bologna con automezzi dell’esercito. La destinazione finale del treno fu La Spezia dove i profughi furono temporaneamente sistemati in una caserma. 
Anche molti giornali mostrarono disprezzo verso gli esuli: L’Unità, già nell’edizione del 30 novembre 1946, in un articolo di Piero Montagnani, aveva scritto in modo ostile verso coloro che abbandonavano le terre divenute parte della nazione jugoslava governata dal dittatore comunista Josip Broz Tito.
Montagnani sosteneva che tra la massa dei profughi vi erano anche “migliaia e migliaia di italiani onesti”, ma negava le responsabilità jugoslave nelle partenze dei profughi istriani scrivendo che l’Esodo era stato “artificiosamente sollecitato con spauracchi inconsistenti e con promesse inattuabili” e attaccava il governo  De Gasperi, accusandolo di non voler dialogare con il Maresciallo Tito.

Fabio Casalini

BIBLIOGRAFIA

  • Maria Luisa Molinari, Villaggio San Marco: via Remesina 32, Fossoli di Carpi: storia di un villaggio per profughi giuliani, EGA editrice, 2006
  • Gian Aldo Traversi, Il tricolore a Trieste in “Dossier” supplemento di “Quotidiano Nazionale” settembre 2004
  • Enrico Miletto, Marcella Filippa, Istria allo specchio: storia e voci di una terra di confine, Franco Angeli, 2007
  • Guido Rumici, Fratelli d’Istria 1945-2000. Italiani divisi, Mursia, Milano 2001 
  • Lino Vivoda, Campo profughi Giuliani, Caserma Ugo Botti, La Spezia, Edizioni Istria Europa, 1998

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