Tina Merlin, donna della Resistenza, giornalista, scrittrice e la sua battaglia per i morti del Vajont

Tempo di lettura: 5 minuti

Questa è la storia di Tina Merlin, donna della Resistenza, giornalista, scrittrice e della sua battaglia per i morti del Vajont lunga 20 anni
Tina Merlin e Aldo Sirena

Clementina Merlin, per tutti Tina, nacque a Trichiana il 19 agosto 1926, in provincia di Belluno.
Tina fu una grande giornalista, una scrittrice e anche una partigiana della resistenza italiana.
La sua era una famiglia numerosa.
Sua madre, Rosa Dal Magro, rimasta vedova con due bambini, si risposò con Cesare Merlin nel 1910.
Dalla nuova unione nacquero Ida, Giuseppe Benvenuto, Remo, Antonio detto Toni, e Giuseppina.
Tina era una bambina sveglia. Dopo la scuola, lavorava a servizio a casa delle famiglie benestanti del paese e svolgeva anche lavori nei campi.
A 12 anni si trasferì a Milano con la sorella Ida, per lavorare come domestica e bambinaia.
Quando cominciano i bombardamenti, lasciò la città e fece ritorno a casa.
Quando nell’autunno del 1943 le truppe tedesche occuparono la provincia di Belluno, Tina aveva diciassette anni.
Decise di entrare nella Resistenza. Nella clandestinità la chiamavano Joe.
Nel luglio del 1944 il fratello Toni, organizzò la resistenza insieme ad altri giovani del paese, diventando comandante del Battaglione Manara, poi assorbito nella Brigata partigiana autonoma 7º Alpini. Seguendo l’esempio di Toni, morto nel frattempo in battaglia, nel luglio 1944, Tina divenne staffetta partigiana in sella alla propria bicicletta, girando da un avamposto all’altro.
Quell’esperienza per lei fu molto importante.
Finita la guerra, nel 1949, sposò un altro partigiano, Aldo Sirena, Nerone, che fu tra i primi organizzatori del CLN Belluno. Dal loro matrimonio nacque nel 1951, un figlio, Antonio.
Finita la guerra, cominciò a scrivere dei racconti nella Pagina della donna de l’Unità, iniziando così una carriera ricca e piena di soddisfacenti battaglie.
Per 30 anni fu corrispondente a Belluno, Milano, Vicenza e Venezia sempre per lo stesso quotidiano.
Attiva politicamente, ricoprì la carica di consigliere provinciale del PCI dal 1964 al 1970.
Nel 1965 fondò, insieme ad altre persone, l’Istituto Storico Bellunese della Resistenza, oggi Istituto Storico Bellunese della Resistenza e dell’Età Contemporanea.
Durante la sua vita, scrisse molti saggi sul ruolo delle donne nella resistenza, tra cui Menica.
Tutto cambiò nel 1963, alle 22.39.
La sera del 9 ottobre, una imponente frana cadde nel bacino artificiale del Vajont, provocando una gigantesca onda che superò la diga, spazzando via le case e la vita di migliaia di perone. Longarone venne distrutta, cancellata dalla faccia della terra. A monte dello sbarramento una seconda ondata distrusse i villaggi di Frasègn, Le Spesse, Il Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana, San Martino, e la parte bassa dell’abitato di Erto. Tre minuti bastarono perché il piccolo mondo in quella valle cambiasse per sempre.
Vi furono 2.018 vittime accertate tra Longarone, Codissago, Castellavazzo, Erto, Casso e 200 di altri comuni.
Lei era stata la prima a denunciare il pericolo che quell’invaso rappresentava, ancora prima che fosse messa in funzione, pubblicando una serie di articoli che le costarono caro.
Nel 1959 il conte Vittorio Cini, ultimo presidente della SADE, la denunciò presso i carabinieri di Erto per “diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico”.
Fu processata e assolta il 30 novembre 1960 dal giudice Angelo Salvini del tribunale di Milano.
Tina non poteva ignorare quello che vide. Un olocausto.
Decise che avrebbe fatto qualcosa e iniziò la sua personale lotta, che durò 20 anni, per raccontare la verità su ciò che accadde quella notte, sulle responsabilità della politica, della Sade e di Enel. Lottò per anni, contro lo Stato, la burocrazia e contro l’atteggiamento generale che la stampa del tempo aveva assunto nei confronti di questa tragedia.
Ma non fu facile per lei: era donna, in un settore in cui a farla da padrone erano gli uomini, non era un inviato speciale, ma solo un corrispondente di provincia e in più scriveva per un giornale di partito.
Rimase tra i superstiti del Vajont, dopo che tutti i pezzi grossi della carta stampata se ne furono andati alla fine di ottobre. Scrisse, piangendo, ogni testimonianza.
Voleva rendere giustizia a quei morti, voleva che nessuno li dimenticasse, che una volta spenti i riflettori e passata l’indignazione, la gente riflettesse su ciò che era accaduto.
Scrisse in libro: “Sulla Pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso del Vajont”.
Tentò più volte di pubblicarlo, ma per lei tutte le porte rimasero chiuse fino al 1983, quando trovò un editore, La Pietra, che decise di darle lo spazio che meritava.
Era una lottatrice, una donna della Resistenza, che aveva vinto la sua personale battaglia dopo 20 anni di difficoltà.
Ma Tina non era solo questo, era molto di più.
Dal 1964 al 1970, fu eletta consigliere provinciale per il Pci.
Nel 1967 fece una breve esperienza a Radio Budapest.
Dopo aver ripreso a collaborare con l’Unità, nel 1971 si trasferì alla redazione di Milano e nel 1974 a quella di Venezia.
Collaborò con molte riviste tra cui Patria Indipendente, Vie Nuove e Protagonisti», la rivista dell’Istituto Storico Bellunese della Resistenza.
Purtroppo Tina Merlin perse la sua ultima battaglia il 22 dicembre 1991, a Belluno, quando si arrese a un cancro che nell’ultimo anno l’aveva consumata.
Di lei ci resta la forza, la tenacia, la resistenza, quella di una donna che non si piegò alle logiche della politica e del costume di quel tempo, che la volevano relegata in un ruolo di secondo piano, sottomessa ad una società maschile e maschilista.
Impegnata nella difesa dei diritti civili, nella lotta per la giustizia sociale e per il miglioramento della condizione della donna, Tina Merlin deve essere per noi un esempio, di vero e concreto impegno quotidiano, ben lontano da quello che taluni abbracciano per opportunismo o per raccogliere consensi, per poi rivelare fra le mura di casa il loro vero volto…






BIBLIOGRAFIA

  • Tina Merlin, Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso del Vajont – edizioni La Pietra, 1983
  • Adriana Lotto, Quella del Vajont. Tina Merlin, una donna contro, Sommacampagna, Cierre, 2011
  • Anna Minazzato, Tina Merlin: una testimone del Novecento. Fra cronaca ed emancipazione, Aracne Editrice, 2013

 

CONDIVIDI

Condividi su facebook
Condividi su twitter
Condividi su linkedin
Condividi su pinterest
Condividi su whatsapp
Condividi su email

COMMENTI

ARTICOLI CORRELATI

Le nostres storie direttamente nella tua mailbox