La storia delle bambine di Kavumu è davvero agghiacciante. Qualcosa che nessuno di noi vorrebbe leggere, qualcosa che vorremmo che fosse solo frutto della fantasia malata di qualcuno.
3 giugno 2013.
Alcuni miliziani, chiamati Mai-Mai, acqua-acqua, sotto l’effetto di sostanze stupefacenti che secondo loro li rendono resistenti ai proiettili, entrano nel villaggio di Kavumu, un piccolo agglomerato di povere case della Repubblica Democratica del Congo.
Arrivano di soppiatto nella notte in alcune case, rapiscono indifese bambine prelevandole dai loro lettini, dopo aver narcotizzato i genitori.
Le portano nella foresta, le anestetizzano per non far provare loro dolore, le seviziano e le stuprano, per poi abbandonarle il giorno dopo nei campi di mais attorno al villaggio.
3 anni. Questo è il tempo in cui le incursioni dei Mia-Mai vanno avanti.
Rapiscono in tutto 44 bambine, fra i 18 mesi e gli 11 anni. 2 muoiono per le gravi lesioni riportate.
Un delirio di follia inspiegabile. Azioni dalla gravità inaudita, rivolte verso la parte più debole della popolazione, forse compiute per superstizione. Secondo alcuni stregoni, infatti, violentare bambine donerebbe a chi lo fa una potenza sovrannaturale.
Nessuno ha più dormito a Kavumu. Un padre, per proteggere la figlia da un secondo stupro, ha vegliato per mesi sulla porta di casa.
A volte, infatti, i miliziani sono tornai nella stessa casa, violentando una bambina già rapita in precedenza: una di loro, 11 anni, è stata portata via nel marzo e nell’agosto del 2015.
I dottori dell’ospedale Panzi, nella capitale Bukavu, che hanno preso in cura le vittime, hanno testimoniato di aver pianto alla vista delle bambine arrivate dopo le violenze subite. La brutalità dello stupro è documenta da vesciche e addomi distrutti, da lesioni permanenti che impediranno a molte di loro di avere una vita normale, di avere dei figli. «Quando operi una bambina con la vescica e il ventre distrutto non puoi fare a meno di pensare che non dovresti “cercare di riparare il danno”, ma fare qualcosa per impedire che cose del genere avvengano», ha dichiarato uno dei medici.
Le vittime come se tutto ciò non bastasse a rovinare loro l’esistenza, sono poi oggetto di bullismo, stigmatizzate, isolate perché diverse, allontanate, come se la colpa fosse loro e non della follia della guerra, e proprio per evitare tutto questo, molte violenze non sono state denunciate dalle famiglie.
Nonostante nella Repubblica Democratica del Congo si parla spesso di tolleranza zero contro gli atti di violenza sessuale, il governo ha tardato a prendere una posizione e ad intervenire contro questo scempio, nonostante le continue segnalazioni da parte delle organizzazioni governative internazionali.
Dopo anni di battaglie, portate avanti dalle attiviste per i diritti umani, tra cui la giornalista e direttrice del progetto Women’s under siege, Lauren Wolfe, finalmente gli stupri di Kavumu sono finiti.
I colpevoli sono stai presi, arresati e condannati.
La verità sui fatti di Kavumu è molto brutta. Il leader dei miliziani, accusato anche di aver ucciso nel 2016 un attivista dei diritti umani, Evariste Kasali, ha convinto i suoi uomini che bere il sangue dell’imene di vergini li avrebbe resi invincibili. E così sono iniziati i rapimenti e gli stupri.
Il tribunale miliare che ha giudicato i fatti di Kavumu ha condannato 11 soldati per “crimini contro l’umanità attraverso lo stupro”. Le pene sono state esemplari ma non sufficienti per cancellare quanto avvenuto.
Restano le cicatrici nel cuore e nell’anima di chi ha vissuto quegli anni terribili.
Troppe volte la superstizione e l’indifferenza condannano vite innocenti alla sofferenza.
