«DEL GOLPE DICO SOLO QUESTO: CREDO CHE OGNUNO DI NOI POSSA FARE QUALCOSA PER RENDERE QUESTO MONDO MIGLIORE. E IO, IL MIO GRANELLO DI SABBIA L’HO MESSO»
El Lobo (Il lupo) ha iniziato la sua carriera calcistica nel 1967 con il Banfield. Debuttò con la maglia dell’Albiceleste (Argentina) nel 1970. Nello stesso anno firmò con il Rosario Central, dove vinse il titolo Nacional 1971. Nel 1973 passò all’Huracan, sua squadra del cuore, dove vinse un incredibile titolo, il primo nella lunga storia del club. Partecipò ai mondiali del 1974, ma l’Albiceleste non andò oltre la seconda fase. Ma nel 1976 cambiò tutto. La notte del 24 marzo avvenne il colpo di Stato che destituì la presidentessa Isabel Martínez de Perón. Venne quindi instaurata una dittatura militare che, durante i 7 anni della sua esistenza, fu guidata da sei diversi presidenti militari fino al 30 ottobre 1983 quando venne ripristinata la democrazia. Con il golpe Jorge Rafael Videla divenne Presidente della Repubblica.
Carrascosa non era un fuoriclasse, ma aveva un gran temperamento; tale era l’intensità del suo gioco che gli valse il soprannome di “lobo” (lupo). Questa peculiarità gli permise di ottenere i gradi di capitano della Nazionale alla vigilia di quel campionato del mondo del 1978 sul quale Videla e i colonnelli, che mantenevano il paese sotto una delle dittature più spaventose del Novecento, avevano investito tutto per diffondere all’estero l’immagine di un’Argentina felice e in salute. Carrascosa non poteva assecondare quel regime di odio e violenza, di sparizioni e torture, di voli sopra l’oceano ed esecuzioni per le strade. Jorge disse no ai colonnelli. Disse no alla violenza. Lasciò la fascia da capitano e la nazionale, nemmeno trentenne. «Fisicamente e dal punto di vista tecnico stavo benissimo: ma è dentro di te, che devi essere in forma. E quello che stava accadendo mi faceva stare male. Non avrei potuto giocare e divertirmi, non sarebbe stato coerente». Non poteva gioire quando la gente spariva, letteralmente. Per il regime, invece, la Coppa del Mondo era una occasione imperdibile. La retorica del prestigio. «Invece erano solo delle partite di football. Certe cose,la patria, l’essere fratelli, la vita o la morte, non hanno niente a che vedere col prendere a calci un pallone. Si vince o si perde, però con dignità. Per questo non mi sono mai pentito della mia scelta».
Come andò tutti lo ricordano. Durante i 90 minuti delle partite tutto il paese si fermava, comprese le torture, le esecuzioni ed i voli sopra l’oceano. Poi, tutto riprendeva come prima, come nulla fosse accaduto. L’Argentina, tra aiuti arbitrali ed aiuti di altre squadre, quel mondiale lo vinse, sconfiggendo l’Olanda in finale. La finale del campionato del mondo di calcio 1978 fu disputata il 25 giugno 1978 allo Estadio Monumental di Buenos Aires. Lo stadio era distante meno di un chilometro dall’Esma, la Scuola meccanica dell’Esercito, il centro di detenzione clandestina più grande dell’Argentina. In quel lugubre posto anche quel giorno si udirono urla strazianti. Ma, giurarono, che quel giorno, solo quel giorno, furono urla di gioia. Durante le celebrazioni un calciatore, o forse il calciatore di quell’Argentina, rifiutò di stringere la mano a Videla. Quel giocatore ammise di essere in campo per la gente e non per i colonnelli. Quell’uomo è Mario Kempes .Ma è una storia che merita un racconto a parte. Jorge Carrascosa si ritirò dal calcio l’anno seguente, il 1979.
Fabio Casalini