Mohandas Karamchand Gandhi conosciuto anche come Mahatma, letteralmente “grande anima”, o “venerabile”, è stato un politico, filosofo e avvocato indiano.
Fu uno dei pionieri del satyagraha, la resistenza all’oppressione tramite la disobbedienza civile di massa, che portò il suo paese all’indipendenza.
In India, Gandhi è riconosciuto oggi come “Padre della nazione” e il giorno della sua nascita, il 2 ottobre, è considerato come un giorno festivo.
La sua vita in gioventù fu come quella di molti altri indiani suoi coetanei. All’età di 13 anni, fu costretto a sposarsi con Kastürbā Gāndhi, sua coetanea, figlia di un ricco uomo d’affari di Porbandar. La loro unione fu combinata secondo la tradizione indù.
Gandhi, durante l’età adulta, condannò più volte “la crudele usanza dei matrimoni infantili”.
Nel 1886, a 18 anni, partì per studiare da avvocato presso la University College di Londra. Considerando l’impossibilità di rispettare i precetti induisti in Inghilterra, la sua casta si oppose alla partenza. Il giovane Gandhi si trasferì lo stesso in Inghilterra, nonostante le discordie con la sua famiglia e con la comunità. Per questo motivo venne dichiarato paria, “fuori casta”, dal capo della sua stessa comunità.
Nella capitale britannica, Gandhi si adattò ben presto alle abitudini inglesi, vestendosi e cercando di vivere come un vero europeo.
Laureatosi, tornò in patria per esercitare, con non poche difficoltà, la professione di avvocato.
Per lavoro si recò in Sudafrica, per difendere un uomo indiano. Lì entrò in diretto contatto con la discriminazione razziale e l’intolleranza. Gli accadimenti di quel periodo determinarono tutta la sua esistenza.
Decise di diventare parte attiva nella lotta
contro i soprusi a cui i suoi connazionali erano sottoposti in patria e all’estero, mettendo in pratica la disobbedienza civile.
Ben presto il racconto delle sue azioni non violente si diffuse in tutta la nazione e da lì nel mondo. Gandhi divenne un simbolo, per tutti gli oppressi, contro tutti gli oppressori. Un piccolo e minuto uomo grande come una montagna, irremovibile come le sue convinzioni.
Non fu sempre facile. Ci furono momenti di tensione, di difficoltà e di sofferenza, per tutti.
In seguito alla Marcia del Sale del 1930, venne imprigionato. Tornò libero solo l’anno dopo e in seguito fu invitato a Londra come rappresentante del Partito del Congresso Indiano, per discutere su una nuova costituzione per il suo paese. Si fermò per tre mesi in Europa, durante i quali incontrò anche Benito Mussolini, che approfittò della sua visita a Roma per cercare di impressionarlo con l’apparato militare del regime, accogliendolo con tutti gli onori assieme a molti gerarchi fascisti. Di Mussolini Gandhi scriverà:
«Alla sua presenza si viene storditi. Io non sono uno che si lascia stordire in quel modo, ma osservai che aveva sistemato le cose attorno a sé in modo che il visitatore fosse facilmente preda del terrore. I muri del corridoio attraverso il quale bisogna passare per raggiungerlo sono stracolmi di vari tipi di spade e altre armi. Anche nella sua stanza, non c’è neppure un quadro o qualcosa del genere sui muri, che sono invece coperti di armi.»
Gli anni passarono, il suo impegno crebbe. Le sue vittorie non violente entrarono a far parte della storia, lo resero un essere leggendario, straordinario nel suo vivere semplice e delicato.
Il 30 gennaio 1948, presso la Birla House, a Nuova Delhi, mentre si recava nel giardino per la consueta preghiera del pomeriggio in compagnia di due nipoti, Gandhi venne assassinato con tre colpi di pistola da Nathuram Godse, un fanatico indù radicale che aveva legami anche con il gruppo estremista indù Mahasabha. L’uomo riteneva Gandhi responsabile di cedimenti al nuovo governo del Pakistan e alle fazioni musulmane, non da ultimo il pagamento del debito dovuto al Pakistan. Prima di sparare, Godse si inchinò in segno di reverenza di fronte a quel piccolo grande uomo. Dopo aver sparato cercò di confondersi tra la folla e di fuggire; quando si accorse di essere braccato e di rischiare il linciaggio, si lasciò catturare dalle forze dell’ordine. Nel gennaio del 1949 cominciò il processo nei suoi confronti. Si concluse l’8 novembre dello stesso anno con una condanna a morte. La sentenza venne eseguita una settimana dopo, malgrado l’opposizione dei sostenitori di Gandhi.
Si concluse così la vita di un uomo straordinario, che seppe cambiare le sorti del suo paese con la pacifica disobbedienza. Lo ricordiamo oggi a 72 anni dalla morte con una delle sue frasi più rappresentative:
«Sono le azioni che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fin tanto che non vengono trasformati in azioni. Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo.»
Il suo popolo quel giorno perse la luce, il mondo intero un vero eroe pacifico.
