Iman Mahmoud Liala – 7 anni di indifferenza

Tempo di lettura: 3 minuti

Iman Mahmoud Laila è morta di freddo fra le braccia di suo padre che cercava di portarla in ospedale. Il mondo resta a guardare indifferente mentre milioni di persone fuggono dalla guerra
IMAN MAHMOUD LAILA

Il mio nome è Iman Mahmoud Laila. Nessuno sa chi sono, nessuno mi conoscerà mai, perché sono morta a un anno e mezzo fra le braccia di mio padre. La mia vita non ha valore per nessuno, perché sono una bambina Siriana. Sono una dei tanti bambini morti col gelo nel cuore, nella disperazione, nella polvere. Sono figlia del dolore. Solo i miei genitori mi hanno amato. Il mio papà ha tentato di salvarmi, di portarmi in ospedale ad Afrin, a poche ore di cammino dal posto in cui vivevamo. Sono nata nella guerra, sotto le bombe che distruggono tutto. Sognavo una casa confortevole, un lettino caldo, una lampada a forma di orsetto che mi tenesse compagnia durante la notte. Ma non ho avuto nulla di tutto questo. Con i miei genitori ci siamo rifugiati in un centro per sfollati a Ma’rata, vicino alla città di Afrin. Siamo fuggiti dalla periferia di Damasco, per cercare un po’ di pace, di allontanarci dagli scontri, dai bombardamenti. La nostra casa è diventata una tenda, calda in estate, gelida in inverno.
E questo inverno non ha avuto pietà di noi, di me. Mi sono ammalata: bronchite. Faticavo a respirare, anche se mamma e papà hanno cercato di aiutarmi, di tenermi al caldo, di darmi un domani in un mondo che ho capito che non mi vuole.
Papà ci ha provato.
Ha deciso di portarmi in ospedale, perché credeva che ce l’avremmo fatta. Mi ha avvolta in una coperta, mi ha baciata ed è partito, alle 5 del mattino.
Ricordo il freddo; mi facevano male le mani, mi colava il naso. Papà camminava veloce, mi parlava, mi diceva che sarei guarita e che presto tutto sarebbe finito.
La guerra sarebbe finita, perché il mondo non avrebbe potuto rimanere indifferente per sempre alla nostra sofferenza. Sembrava quasi che papà volasse su quella strada, mi sentivo leggera, mi sentivo protetta, ero fra le sue braccia.
Ma ero così stanca, tanto stanca.
Volevo solo dormire, volevo quel lettino caldo che tanto sognavo, volevo sentire l’odore del talco, quello che hanno tutti i bambini felici.
Mi sono addormentata, stretta fra le braccia di papà, in una coperta sudicia e polverosa. Mi sono addormentata e mi sono lasciata andare.
Papà è arrivato in ospedale. Piangeva tanto, urlava. Sapeva che ero morta, che il suo sogno di darmi una vita migliore sarebbe rimasto solo un sogno.
Sono morta senza conoscere la pace, al freddo, respirando la tristezza di mio padre che mi sentiva scivolare via.
La mia storia è una fra le tante storie di bambini invisibili, sporchi, affamati, spaventati. Bambini senza infanzia, senza giocattoli, senza macchie di cioccolata sui vestiti, senza compleanni con torte alla panna e candeline, senza un futuro. Bambini invisibili al mondo, per cui nessuno piange.
La mia storia non è speciale, è solo la mia storia, ma vorrei che aiutasse tutti a riflettere, che vi aiutasse a comprendere che sono morta senza conoscere la gioia. Vorrei che il mondo fosse meno indifferente a ciò che ci sta accadendo perché il nostro è un oggi senza un domani.

A mio figlio, alla nostra fortuna, ad un domani migliore….

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