Il campo di concentramento di Ravensbrück era il più grande campo di concentramento femminile, situato nel villaggio di Ravensbrück, nei pressi della località di Fürstenberg, nella parte settentrionale della provincia del Brandeburgo, a circa 90 chilometri a nord di Berlino.Nel più grande campo femminile della Germania nazista era naturale che si presentasse il problema del soprannumero dei neonati e dei bambini. I neonati e i bambini fanno parte a sé. I primi nascono qui da donne che arrivano incinte, gli altri giungono con le madri. C’è una sala operatoria che funge anche da sala parto. All’inizio vi vengono praticati aborti su “ariane” rimaste incinte da “razze inferiori”; successivamente per far abortire tutte le prigioniere inviate al lavoro. Serve anche per sterilizzare donne e bambine zingare ed ebree, per impedire la riproduzione di quel gruppo etnico. E vi si compiono anche esperimenti chirurgici su cavie umane.I primi bambini raggiunsero il campo nel 1939, insieme alle loro madri zingare provenienti dal campo di Burgenland, in Austria. In seguito molte madri ebree olandesi, francesi, ungheresi giunsero insieme ai figli.

Dal 1942 le donne che erano incinte al momento dell’internamento sono obbligate all’aborto appena la gravidanza veniva scoperta oppure venivano selezionate per l’immediata uccisione. Ciò per non disturbare la produzione. L’aborto era praticato fino all’ottavo mese e il feto bruciato in una stufa. Dal 1943, le autorità SS del campo permisero alle donne incinte di portare a termine la gravidanza, ma i neonati venivano subito strangolati o annegati in un secchio d’acqua davanti alla madre. Poi le SS cambiano ancora: i neonati possono sopravvivere ma niente aiuta la madre; i neonati muoiono praticamente tutti in pochi giorni in modi peggiori dello strangolamento e dell’annegamento.
I nazisti furono attentissimi alla non proliferazione delle “razze sub-umane” e ai matrimoni o accoppiamenti misti con tali razze, per evitare il pericolo di “contaminare” l’unico germe sopravvissuto puro della razza ariana: quella germanica. Essa invece, secondo le vagheggianti visioni hitleriane, era destinata come “razza eletta” a ripopolare il mondo (Lebensborn) e riportarlo alla bellezza primordiale in un nuovo mondo ripulito con il genocidio dalle “razze inferiori” evitando così la “corruzione biologica” del genere umano che era invece avvenuta nei secoli passati fino a quel momento. I bambini di queste razze rappresentavano perciò, per i nazisti, il pericolo primario della continuazione futura della specie degli “indesiderabili”; naturale per loro cercare di eliminarli totalmente e senza pietà. A centinaia di migliaia vennero immediatamente uccisi: soffocati dal gas insieme alle loro madri, uccisi con iniezioni di veleno, bruciati, massacrati a bastonate, fucilati, gettati vivi nelle fosse comuni o usati come tiro al bersaglio. Le donne incinte dovevano sparire dalla faccia della terra.
Lo sterminio dei bambini nei lager avveniva in tanti modi a seconda dei modi vigenti nei campi: dal colpo alla nuca (“Genickschuss”) all’annegamento.

A Ravensbrück esisteva una saletta adibita a “Kinderzimmer” in cui i piccoli venivano abbandonati a morire di fame e lasciati in pasto ai topi. La parola “kind” era sinonimo di raccapriccio nel campo. Statistiche incomplete ed assai effimere riportano in 882 il numero totale di bambini deportati a Ravensbrück, non comprendenti quelli invece, nati nel campo che pare fossero sui 500: solo 5 sopravvissero alla prigionia grazie a catene umanitarie.