
Alfredo Epaminonda fu un presbitero, appartenente all’ordine dei monaci benedettini vallombrosani, e un criminale italiano appartenente, prima, alla banda Carità e, in seguito, alla Banda Koch. Prima di avanzare nella conoscenza del personaggio, vorrei ricordare i motivi per i quali sono famose le bande Carità e Koch. Banda Carità è la denominazione gergale con la quale durante la Repubblica Sociale Italiana divenne noto il Reparto dei Servizi Speciali di Firenze, poi rinominato Ufficio Polizia Investigativa, formalmente dipendente dalla Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, fondato e capeggiato da Mario Carità, nel corso dell’ultimo biennio della seconda guerra mondiale. Fu il gruppo che inflisse i maggiori danni all’organizzazione partigiana in Toscana e nel Veneto. Era il braccio armato dell’antiresistenza e i suoi metodi erano brutali e includevano attentati, infiltrazioni, provocazioni, esecuzioni sommarie e l’uso costante della tortura. Inoltre cercavano di corrompere i fiancheggiatori e persino i partigiani. Un caso classico era l’infiltrazione nelle bande partigiane o l’assassinio dell’élite intellettuale (come fece all’Università di Padova).

Secondo la testimonianza del tenente Giovanni Castaldelli, lo scopo era quello di «creare una polizia militare con il compito di scoprire e contrastare ogni favoreggiamento ai piani militari del nemico». Pietro Koch è stato un militare, criminale di guerra e ufficiale di polizia politica italiano. Negli ultimi anni della seconda guerra mondiale, fu a capo di un reparto speciale di polizia della Repubblica Sociale Italiana, noto anche come Banda Koch, che operò principalmente a Roma e in seguito, brevemente, anche a Milano, macchiandosi di numerosi crimini contro nemici catturati e oppositori politici, come torture e omicidi. A Firenze collaborò inizialmente con Ferdinando Pretini, un parrucchiere che aveva organizzato un servizio di soccorso per i prigionieri alleati. Don Epaminonda infatti, all’inizio dette ospitalità ad alcuni militari del disciolto esercito e ad una missione badogliana, nel convento della Chiesa di Santa Trinità, di cui era viceparroco. Arrestato nel negozio del Pretini dalla banda Carità, ne divenne poi un componente – uno dei più stimati– dopo aver subito i primi maltrattamenti e dopo essere stato anche ricattato: venne trovato in possesso, oltre che di stampa antifascista clandestina, perfino, sembra, di alcune lettere galanti. In seguito, al processo contro la banda Carità, si disse che aveva ceduto al ricatto nel timore di essere scoperto dal cardinale Dalla Costa; però, c’è anche chi sostiene che fu lo stesso Epaminonda a denunciare il Pretini a Carità. In ogni caso divenne una spia di Carità, tradendo i suoi vecchi compagni di cospirazione e inoltre, a Villa Triste, durante le torture si divertiva a suonare al pianoforte le canzoni napoletane o L’Incompiuta di Schubert. Seguì Pietro Koch, di cui era amico e “consigliere spirituale”, prima a Roma e poi a Milano, divenendo membro dell’omonima banda e prendendo parte a vari crimini: al processo contro la banda Koch, ammise di aver fatto parte dell’OVRA a Firenze e di aver lavorato per Koch come informatore, nell’ambiente religioso. Fu anche accusato di aver partecipato personalmente alle torture, anche se respinse queste gravi accuse; comunque, molto probabilmente, fu responsabile dell’irruzione compiuta dai tedeschi e da Koch nella Basilica di San Paolo fuori le mura a Roma.

Nel dopoguerra, dopo essersi rifugiato in America Latina, tornò in Italia per affrontare i processi contro la banda Carità e la Banda Koch. Il 10 agosto 1946, la Sezione Speciale della Corte d’Assise di Milano condannò Don Epaminonda a 28 anni di reclusione. Scontò pochi anni di carcere, per poi beneficiare dell’amnistia Azara, nel 1953.Morì nel 1984, all’età di sessantanove anni.