Yahaya Sharif-Aminu ha 22 anni.
Da qualche mese è detenuto nella prigione di Kano, nello Stato di Kano, nel nord della Nigeria.
Yahaya è un cantane gospel, molto apprezzato nella sua confraternita. Tutti ammirano le sue esibizioni, e la sua solare personalità.
A marzo di quest’anno ha posato in rete una canzone scritta da lui, per esprimere la sua ammirazione nei confronti dell’imam della confraternita musulmana di Tijaniya, originaria del Senegal.
Sono bastate poche ore, pochi click, perché la sua via cambiasse.
Yahaya è stato accusato di blasfemia.
È stato travolto dalle proteste di chi ha intrepreto la sua canzone come una bestemmia contro Maometto. Ha vissuto per un po’ nascoso, fino al giorno in cui la casa dei suoi genitori è stata data alle fiamme.
In Nigeria, in 12 stati su 36, viene applicata la sharia, la legge sacra islamica, tratta dai quattro fondamenti del diritto: il Corano, la Sunna o consuetudine, il consenso della comunità e la deduzione analogica. Prevede una serie di punizioni che vanno dalle fustigazioni, all’amputazione, fino alla pena di morte.
Yahaya è stato arrestato e condotto davanti all’Alta Corte della sharia dello stato di Kano, che lo ha giudicato, senza ombra di dubbio, colpevole.
La blasfemia può essere lavata in un solo modo: con la vita.
Verrà impiccato.
Il capo delle proteste, Idris Ibrahim, ha dichiarato: «la sua condanna servirà da deterrente per chiunque pensi di poter insultare la nostra religione o il Profeta».
In tanti stanno cercando di salvare la vita di Yahaya Sharif-Aminu.
Con lui, ad attendere la morte, un altro uomo, Abdulazeez Inyass, condannato per lo stesso motivo.
È detenuto dal 2016.
Per lui si stanno battendo in molti, per salvargli la vita e per proteggerlo in prigione, in cui non è al sicuro.
Il futuro di Yahaya è incerto. È una delle tante vittime di una legge ingiusta che non garantisce il rispetto dei diritti umani.