In Cina, dal 2006 al 2012 é andato in onda un reality show che aveva dell’incredibile.
I personaggi, veri e non figuranti, erano condannati a morte.
Il programma ha avuto un seguito grandissimo, con punte fino a 40 milioni di spettatori.
Andava in onda il sabato sera.
Era incentrato sulle interviste fatte poche ore prima, a volte pochi minuti, dall’esecuzione, ai condannati a morte.
Era condotto dalla giornalista Ding Yu, per la televisione dell’ Henan (Cina centrale). Il titolo era “Interviste prima dell’ esecuzione”.
Nel 2012 é stato sospeso.
Tra le autorità cinesi, buona parte dei cittadini e dei dirigenti politici, vi è la convinzione che la pena di morte sia in realtà un atto di giustizia dovuto. La paura dell’esecuzione che ne scaturiva rappresentava un efficace deterrente per contenere la criminalità.
Pensando a questo reality mi viene in mente il vecchio adagio attribuito a Mao: colpirne uno per educarne cento.
La brutalità delle immagini trasmesse era da ricercare, secondo me, proprio nei volti spaventati dei condannati, nelle loro lacrime, nelle ultime parole pronunciate, verso i genitori, la famiglia o i figli.
Dopo 6 anni di messa in onda, il reality a sfondo drammatico è stato sospeso, molto probabilmente in seguito alla decisione dell’ americana ABC e della britannica BBC di mettere in onda un documentario proprio sul programma. Tutta questa attenzione da parte dell’opinione pubblica internazionale deve aver convinto i produttori della rete cinese a sospendere tutto.
La Cina resta ancora oggi il paese a detenere il record mondiale di esecuzioni capitali eseguite in un anno. Il numero effettivo è un segreto di Stato, ma secondo alcune organizzazioni umanitarie che si interessano del problema, dovrebbero essere oltre 500.
I reati per cui la pena di morte viene comminata sono molti, in totale 55. Non tutti sono di sangue. Tra questi, ad esempio, vi è la corruzione.
Le ricerche condotte da Amnesty International sulla Cina hanno portato alla luce che “centinaia di casi documentati di pena di morte, non sono presenti nel registro giudiziario online”, ritenuto nel paese un “passo avanti decisivo verso l’apertura”, e verso la trasparenza di un sistema giudiziario considerato discutibile.
In realtà sul registro sono annotate solo una piccola parte delle centinaia di condanne che Amnesty ha avuto modo di accertare, segno evidente che ci sono ancora molte cose che il governo ha da migliorare; per fare un esempio che possa chiarirci meglio la situazione, tra il 2014 e il 2016 sono state eseguite almeno 931 condanne a morte. Dal registro online, ne risultano 85.
