Auschwitz, fucina di mostri, crogiolo di pazzia.
Campo di concentramento e di sterminio. Teatro di orrore. Se chiudo gli occhi mi sembra di vedere quel fumo che “saliva lento” dalle ciminiere, il pennacchio di fuoco scintillare nella notte, la cenere cadere come neve sulle ombre umane che popolano il campo, mentre mostri con la divisa urlano loro incessantemente ordini incomprensibili.
L’odore acre, nauseabondo, di carne bruciata. La paura.
Il rumore della morte. Le grida di dolore.
Il sangue lavato dal “muro della morte” del blocco 11.
I carretti con i resti dei corpi di milioni di uomini, donne e bambini, uccisi dopo inumane sofferenze, oppure immediatamente dopo una breve selezione.
Famiglie divise, vite distrutte, cancellate, o almeno così avrebbero voluto i nazisti.

Ma i sopravvissuti, le testimonianze, le foto, i documenti parlano e raccontano quella triste verità, quei giorni di morte e devastazione, lasciando un segno indelebile nella storia del mondo, un segno che le nuove generazioni hanno il dovere di ravvivare.
E fino a noi arrivano anche le testimonianze su di lui, Carl Peter Vaernet.
Vaernet nasce ad Astrup, in Danimarca, il 28 aprile 1893 da una facoltosa famiglia di commercianti di cavalli; il suo vero cognome è Jensen.
Nel 1920 si sposa con Edith Frida Hamershoj. Dalla loro unione nascono tre figli. Il primo, Kjeld, seguirà le sue orme in medicina e sperimentazione.
Nel 1921 prende la decisione di cambiare cognome, assumendo quello di Vaernet: il suo era troppo diffuso in Danimarca.
Nel frattempo intraprende gli studi di medicina, laureandosi con successo nel 1923 insieme a colui che successivamente diventerà il capo del Partito Nazionalsocialista del Lavoro di Danimarca, Fritz Clausen. Poco tempo dopo, nonostante i figli siano ancora piccoli, decide di abbandonare la Danimarca e la famiglia, per cominciare una nuova vita in Germania. Non ha esitazione, non ha ripensamenti
Arrivato lì conosce una donna, Gurli Marie, con cui contrae un nuovo matrimonio. Dalla loro unione nascono altri tre figli. Durante questo periodo felice si specializza in endocrinologia.
Durante il suo percorso accademico conosce Knud Sand, sostenitore in Danimarca della teoria della castrazione degli omosessuali. Fra il 1930 e il 1932 si trasferisce a Copenaghen, dove prosegue i suoi studi su una possibile cura all’omosessualità. Utilizza come cavie i gatti, mentre Sand preferisce impiegare le galline.

La teoria che il dottor Sand è intenzionato a provare si basa sulla convinzione che i soggetti “malati” sarebbero guariti tramite il trapianto di testicoli provenienti da un soggetto “sano”.
La carriera di Vaernet è solo agli inizi; dopo la sua esperienza a Copenaghen, decide di tornare in Germania e successivamente si sposta in Francia, andando a vivere a Parigi, dove si specializza nell’uso degli ultrasuoni. Rientrato nuovamente in Danimarca, nel 1939 inizia la ricerca sul testosterone. I suoi studi e conclusioni sono riportate su numerosi giornali dell’epoca. Questa inaspettata notorietà dà un’accelerazione improvvisa alla sua carriera medica: diventa uno dei medici più importanti del paese.
La sua fama subisce una battuta d’arresto con lo scoppio del secondo conflitto mondiale nel settembre dello stesso anno.
Il medico non fa mistero della sua simpatia per le idee di Fritz Clausen, suo amico dei tempi dell’università, e per quelle di Werner Best, Reichsbevollmächtigter, ossia plenipotenziario del Reich, in Danimarca. Quest’ultimo raccomanda caldamente il dottor Vaernet presso le autorità naziste.
Da quel momento il passo è breve verso la sperimentazione umana, a cui può accedere senza limiti andando a lavorare in uomo dei numerosi campi di concentramento disseminati per tutta Europa.
Le teorie di Vaernet, molto simili a quelle del suo collega Sand, si basano sulla convinzione che alla base dell’omosessualità vi sia una carenza ormonale.
Nel 1942 seleziona un insegnante gay per entrare a far parte del suo esperimento: impianta nel volontario un tubetto in metallo all’altezza dell’inguine, dal quale rilasciare nel corpo ormoni per un periodo variabile da uno a due anni, a seconda della gravità del caso. Secondo il medico i risultati sono soddisfacenti, dato che l’uomo decide, dopo il trattamento, di sposarsi.

Un successo che gli consente di brevettare il suo sistema prima in Danimarca e poi in Germania. In Danimarca riesce anche a dar vita ad una clinica in cui sviluppare i propri studi che, grazie presumibilmente all’intervento di Best, è successivamente venduta alle forze di occupazione tedesche presenti nel paese dal 1940.
I vertici dei Reich si accorgono di lui. Al regime la questione “degli omosessuali” sta molto a cuore.
Nel 1943 Heinrich Himmler, gli propone un contratto di lavoro alla Deutsche Heilmittel GmbH, società di proprietà delle SS impegnata nel settore della ricerca medica. Il 15 novembre dello stesso anno il dottor Carl Peter Vaernet firma il contratto che cambia la sua vita: entra ufficialmente nella folle macchina della sperimentazione nazista. Quel giorno con lui c’è il comandante della Gestapo, Ernst Kaltenbrunner e, Ernst-Robert Grawitz, comandante del servizio medico delle SS. Il contratto, oltre ad uno stipendio decisamente importante per l’epoca, prevede il diritto per la Deutsche Heilmittel di sfruttare tutte le scoperte scientifiche del medico per 15 anni, che comunque manterrà la paternità e il brevetto di tutte le sue ricerche. Himmler è molto contento: ritiene di aver trovato la soluzione definitiva all’annoso ed imbarazzante problema dell’omosessualità.
Un mese dopo Vaernet viene promosso col grado di Maggiore. Nel febbraio del 1944 si trasferisce a Praga con la famiglia. Si spostano tutti in un palazzo di proprietà di una famiglia ebrea, deportata in un lager.
Nei mesi successivi si reca personalmente più volte al campo di concentramento di Buchenwald con lo scopo di selezionare soggetti idonei su cui effettuare i propri esperimenti. Gli internati omosessuali maschi, secondo il paragrafo 175, per altro rimasto in vigore per molti anni dopo la fine della guerra, sono indicati con un triangolo di colore rosa. Stretti collaboratori di Vaernet sono il capitano Gerhard Schiedlausky, comandante medico del campo, e Erwin Ding-Schuler, impegnato anche nella sperimentazione del “tifo petecchiale”. Nel giugno 1944 il dottor Vaernet fa diverse visite a Buchenwald, per selezionare personalmente soggetti idonei. In un memorandum di luglio, il capitano Schiedlausky scrive: «
Durante la nostra prima conversazione abbiamo raggiunto [con Vaernet] un’intesa con la quale cinque omosessuali “autentici” che verranno ritenuti adatti saranno scelti per verificare le sue ipotesi. Prima che intervento chirurgico venga effettuato, verranno esaminati i livelli di ormone su campioni di urine[…] Se i risultati saranno soddisfacenti saranno realizzati gli interventi chirurgici. |
Il campo viene bombardato nel mese di agosto; questo incidente causa un ritardo nell’inizio della sperimentazione di qualche settimana. I primi test iniziano il 13 settembre, mentre una seconda fase parte l’8 dicembre. Gli esperimenti interessano circa 40 prigionieri, non tutti omosessuali. Una parte di essi sono criminali comuni. Di ciò che avviene rimane traccia solo di 17 interventi, durante i quali ai pazienti viene innestata sottopelle una speciale “ghiandola artificiale”, ideata e brevettata dallo stesso Vaernet, nelle quali è contenuto un diverso dosaggio di testosterone.
15 pazienti muoiono nelle settimane successive all’intervento.
Di quella fase della sperimentazione Vaernet scrive:
« […] Le operazioni a Weimar-Buchenwald sono state effettuate il 13 settembre 1944 su cinque prigionieri omosessuali. Di questi due sono stati castrati, uno sterilizzato e due non “trattati”. A tutti è stata impiantata la “speciale ghiandola sessuale” maschile. […] » |
Il medico è talmente convinto delle sue tesi che in merito ad un prigioniero, Bernhard Steinhoff, numero di internamento 21.686, teologo gay di 55 anni, scrive:
«La ferita causata dall’operazione è guarita e non c’è stata reazione alla ghiandola impiantata. La persona si sente bene e ha sogni riguardanti donne […] » |
Fra tutti i prescelti, solo Helmut Corsini sopravvive al trattamento; per tutta la vita convivrà con la ghiandola speciale e non smetterà mai di essere omosessuale.
Quando ha inizio la fase due, vengono selezionati altri 13 prigionieri; conosciamo l’identità solo di sette loro: Reinhold, Schmith, Ledetzky, Boeck, Henze, che non sopravvisse all’intervento, Köster e Parth. Molti di loro moriranno a causa delle complicazioni post- operatorie.
Il 10 febbraio del 1945 il dottor Carl Vaernet, con gli alleati alle calcagna, stila un rapporto finale ad Himmler, nel quale non parla affatto dei fallimentari esperimenti di Buchenwald. Forse lui stesso si è reso conto che non aver ottenuto nulla e che le sue teorie sono frutto solo dei vaneggiamenti di un uomo che si è sempre creduto un Dio-medico.
Nel marzo del 1945 il dottore fugge in Danimarca. In seguito alla liberazione del paese, il 5 maggio, viene arrestato e condotto al campo di Alsgade Skole, vicino a Copenaghen. Inizialmente si confonde fra i detenuti comuni, ma dopo pochi giorni alcuni prigioniero sopravvissuti a Buchenwald lo riconoscono e lo denunciano agli alleati. Il suo destino cambia: viene inserito nella lista di coloro che saranno processati come criminali di guerra. Ma Vaernet non smette di credere che le sue teorie siano fondate. Durante la prigionia, in attesa di processo, prende contatto con la compagnia farmaceutica anglo-americana Parke, Davis & Comp. Ltd., London & Detroit e con il colosso chimico statunitense DuPont, a cui espone le proprie tesi. Sembra che le compagnie si siano mostrate interessate all’acquisto dei suoi brevetti.

Nei mesi successivi la sua salute peggiora. Rilasciato, riesce ad ottenere il nulla osta per andare a curarsi in Svezia. Da lì sparisce, fuggendo per l’Argentina con un passaporto falso e molti soldi. Viene rintracciato nel 1947 grazie alla testimonianza di un emigrato danese nel paese Sudamericano, che invia una lettera al giornale danese Berlingske Tidende, in cui racconta di aver riconosciuto Vaernet a Buenos Aires e che lavora per il Ministero della Sanità. La testata pubblica la lettera, fornendo finalmente una traccia concreata per la sua cattura.
Ma nessuno prenderà la decisione di rintracciarlo e di catturalo per sottoporlo al giusto processo che merita.
Nonostante la crudeltà e l’inutilità dimostrata dei suoi esperimenti, l’uomo resta un pesce piccolo da recuperare, rispetto alla marea di squali nazisti che si sono dispersi nel mondo grazie alla collaborazione di insospettabili organizzazioni.
Carl Peter Vaernet cambia il suo nome in Carlos Vaernet. Apre nella città Argentina, in Calle Uriarte 2251, uno studio medico, continuando a collaborare con le autorità del paese in alcuni progetti per la cura dell’omosessualità.
Muore il 25 novembre 1965 libero e impunito, dopo aver contratto una malattia di tipo febbrile che non verrà mai specificata. L’attenzione verso di lui non è mai stata così alta da giustificare un intervento per ricondurlo in Danimarca o in Germania, dove sarebbe stato sottoposto ad un giusto processo.
Kjeld Vaernet, figlio del primo matrimonio di Carl seguirà le orme di suo padre, compiendo esperimenti per la cura dell’omosessualità tramite cure ormonali su circa 4.000 pazienti. Avrà modo, negli anni ’50 di collaborate anche con il dottor Walter Freeman per l’impiego della lobotomizzatone sugli omosessuali.