È mancato l’8 dicembre 2019 Piero Terracina, uno degli ultimi sopravvissuti di Auschwitz- Birkenau. Aveva 91 anni e ancora tante cose da raccontare. Guardando le sue foto in rete, di lui mi ha colpito molto lo sguardo, indomito è pieno di vita, ma soprattutto la luce fulgida dei suoi occhi sorridenti, che dopo aver visto la morte hanno ripreso a risplendere grazie all’amore.
Piero Terracina nacque a Roma il 12 novembre 1928, da una famiglia di origine ebraica. Viveva in una palazzina in piazza Ippolito Nievo, zona Trastevere, insieme ai genitori e a tre fratelli, Leo, Cesare e Anna.
La sua vita cambiò drasticamente con l’applicazione delle leggi razziali. I compagni di scuola, quelli che ogni giorno era abituato a chiamare amici, smisero improvvisamente di salutarlo e di guardare a lui semplicemente come a un bambino. Fu costretto a vivere in clandestinità per sfuggire alle rappresaglie delle SS e dei fascisti dall’ottobre del 1943 fino all’aprile del 1944. La sera del 7, tutta la famiglia, riunita per festeggiare la Pasqua ebraica, fu arrestata da alcuni uomini in borghese. Erano 4 fascisti che avevano pedinato la piccola Anna. Furono condotti a Regina Coeli, poi nel campo di Fossoli a Carpi.
Di quel luogo ricordava il fango pesante e maleodorante che non di staccava mai dalle scarpe. A Fossoli restarono un mese, fra la paura e l’incertezza per il loro destino, con la morte sempre in agguato, nascosta nella canna del fucile o di una pistola di una delle guardie.
Da lì poi furono deportati tutti ad Auschwitz, ammassati sui treni come bestie destinate al macello, fra le feci, le lacrime, i morsi della fame e la sofferenza per la sete. Nel suo vagone furono stipate 64 persone o, come dicevano le SS, 64 pezzi, perché una volta saliti sui treni nessuno aveva più un’identità o un nome; i deportati erano semplicemente dei pezzi destinati ai campi di sterminio. Il numero che gli fu tatuato sul braccio era A-5506. Lo portò sempre con orgoglio, perché la vergogna non era sua, ma di chi gli impresse quel numero. Sopravvisse alla fame, alla paura, al freddo pungente, alla solitudine, ma soprattutto sopravvisse alla consapevolezza che in quel luogo probabilmente avrebbe perso tutta la sua famiglia. Durante la detenzione non pianse mai. La sola volta in cui si lasciò prendere dalle emozioni fu quando gli venne comunicato che uno zio a cui era molto affezionato era morto nelle camere a gas.
Dalla Germania ritornò solo. Non dimenticò mai quei giorni, durati fino alla liberazione del gennaio 1945. Aveva solo 15 anni quando fu preso, ma la cenere che scendeva dai camini accesi giorno e notte fu un ricordo che non lo abbandonò mai.
Ora Piero Terracina se n’è andato, fra gli abbracci della famiglia e di tutti coloro che lo hanno conosciuto, nelle scuole, nei teatri, in ogni luogo dove ha portato la propria testimonianza per ricordare quello che la shoah ha rappresentato per l’Europa e per il mondo.
A lui vanno queste poche righe, il nostro ricordo affettuoso ma soprattutto un grazie alla sua forza e al suo sorriso pieno di vita. Grazie alle sue testimonianze, e a quelle degli altri sopravvissuti come lui, potremo cercare di insegnare alle generazioni future che ciò che accadde con il nazismo e con il fascismo non dovrà mai più accadere.
