DANIEL LA PLANTE, L’ASSASSINO NEL MURO

Tempo di lettura: 5 minuti

Daniel J. La Plante é nato il 16 maggio 1970, a Townsend, nel Massachusetts.
Visse  fino alla carcerazione, con sua madre e il patrigno.
La sua infanzia  fu caratterizzata da abusi sessuali e psicologici  che lo segnarono profondamente.
Il suo principale aguzzino  fu il padre, che non perdeva occasione di picchiarlo,  punirlo e umiliarlo.
Anche la scuola per lui non fu un luogo accogliente: la dislessia gli ha condizionó la vita, non si  sentì mai parte di un gruppo e i suoi compagni erano soliti definirlo “inquietante e strano”. Faceva spesso a botte,  veniva preso in giro e il suo rendimento  era insufficiente.
L’adolescenza fu ancor più complicata. Era trasandato, poco pulito e aveva un comportamento strano, che la sua famiglia non riusciva a controllare. Per cercare di prendere in mano la sua vita, fu costretto ad andare in  terapia da uno psichiatra. Ma anche questo  serví a poco, anzi  peggiori la sua situazione: il medico gli diagnosticó un disturbo di iperattività, per il quale gli prescrisse moltissimi farmaci, che lo rendevano ancor più strano agli occhi delle persone che gli stavano intorno. Ma la cosa peggiore, di cui Daniel non riuscì mai a parlare, fu che durante le sedute il dottore abusava sessualmente di lui.
Quando prendeva i farmaci, riusciva a controllare il suo modo di comportarsi, ma non li assumeva con regolarità. Molto spesso riusciva ad eludere il controllo della madre e del patrigno. A 15 anni inizió a introdursi nelle case delle persone del suo quartiere, a volte per passarci qualche ora, a volte per passarci la notte perché non gli piaceva ritornare a casa.
Quando lo faceva, almeno in una prima fase, era solito dormire nascosto oppure semplicemente giocare con i giocattoli con i figli dei proprietari. Col passare del tempo inizió a spostare qualche oggetto, proprio per insinuare il sospetto che qualcuno fosse entrato di nascosto, poi passò a piccoli furti, cose semplici come un cappellino oppure una sciarpa, ed infine a rubare oggetti preziosi.
Nel 1986 conobbe una ragazza molto carina che abitava poco lontano da casa sua con il padre e una sorella. La madre era morta l’anno precedente a causa di una malattia incurabile. In qualche modo riuscì ad avere il suo numero di telefono e cominciò a chiamare la ragazza per corteggiarla.
Annie Andrews era molto felice di avere qualcuno che la trovasse carina ed interessante e così decise di dare appuntamento al suo corteggiatore.
Quando Annie vide Daniel per la prima volta davanti alla sua porta, si tovó di fronte ad una persona completamente differente da quello che si era immaginato. Il ragazzo si era descritto come un tipo affascinante, atletico, biondo, con un’ottima educazione e una famiglia praticamente perfetta.
In realtà Daniel era l’opposto, aveva i capelli neri e unti, l’aspetto trasandato e gli occhi scuri e profondi che incutevano timore.
Nonostante questo Annie decise di dargli una possibilità.
Chiacchierarono tutta la sera, parlando soprattutto della famiglia della ragazza e di come la morte  a causa del cancro, della madre, le avesse lasciato una profonda ferita nel cuore. Daniel fece tantissime domande: cosa aveva detto in punto di morte, se aveva sofferto, come aveva i capelli, si era dimagrita…
Ma dopo quel primo appuntamento non ne seguirono altri.
Ma per Daniel, nonostante fosse stato solo un incontro, la cosa non finì lì.
In qualche modo riuscí ad intrufolarsi nella casa della sua giovane amica e a ricavare un nascondiglio nel vano sottoscala che portava al piano superiore.
Improvvisamente incominciarono i rumori e gli scriccioli nella casa degli Andrews.
All’inizio il padre, Brian, aveva creduto che le figlie, ancora sconvolte per la morte della madre, stessero passando un momento difficile.
Poi cominció ad accorgersi che in casa qualcosa stava succedendo: oggetti spostati, cose mancanti, abiti della moglie spariti improvvisamente dall’armadio.
Tutto questo andò avanti per qualche tempo.
Un  giorno, rientrati a casa, trovarono una scritta rossa sul muro della cantina: “Sono nella tua camera. Vieni e trovami”.
Solo qualche settimana dopo, sulla parete della camera di Annie, comparve la scritta: “Sono tornato. Trovami se ci riesci”.
Allertata la polizia, Brian Andrews cominciò a capire che non erano solo fantasie delle figlie ma che qualcuno effettivamente si era introdotto nella loro casa
Tutto cambiò un giorno quando finalmente il padre decise di dare retta alle proprie figlie e tornó prima a casa per vedere se effettivamente qualcuno le stava infastidendo.
Sul muro della sua camera da letto trovó una nuova scritta: “Sposami”.
Dall’altra parte della stanza un’ombra nell’angolo, quella di un ragazzo con addosso l’abito della defunta moglie, la faccia truccata, un parrucca bionda e in mano un’accetta.
Era Daniel  La Plante.
Dopo l’arresto di Daniel  la polizia scoprì l’intercapedine nella scala che il ragazzo aveva utilizzato come giaciglio. Trovó anche diversi buchi nei muri dai quali il giovane poteva controllare ogni spostamento di Annie all’interno della casa.
Questa bravata gli costò ben poco: pochi mesi di riformatorio ed era di nuovo in libertà. Nell’ottobre del 1987 era già in libertà e ricominció di intrufolarsi nelle case dei vicini. Durante  una delle sue incursioni riuscí persino a procurarsi due pistole, regolarmente registrate a nome del proprietario di casa.
A dicembre Daniel si introdusse di nascosto nella casa della famiglia Gustafson, poco distante dalla casa degli Andrews.
Priscilla, incinta all’ottavo mese, e i suoi due figli  Abigail e William erano fuori per delle commissioni, il papà per lavoro.
Al loro rientro Daniel li aspettava in casa.
Prese in ostaggio la donna, la portò al piano di sopra, la chiuse in camera da letto.
Priscilla fu brutalmente picchiata, violentata, sodomizzata ed infine uccisa con diversi colpi di pistola alla nuca. Poi si occupò dei bambini.
William venne annegato nella vasca da bagno del piano superiore, Abigail in quella del piano inferiore.
Durante la fuga Daniel, probabilmente preso dal panico, ladció numerose tracce.
Alla sera il padre, rientrato dal lavoro, trovò la sua la sua famiglia sterminata.
I sospetti della polizia ricaddero immediatamente sul ragazzo, che qualche giorno dopo fu arrestato il seguito a un tentativo di furto in un’altra casa.
Trovato in possesso dell’arma che aveva ucciso Priscilla e di alcuni oggetti provenienti dalla casa dei Gustafson, Daniel La Plante fu arrestato con l’accusa di triplice omicidio, furto, sequestro di persona e violenza sessuale.
La sentenza, unanime, lo condannò all’ ergastolo per omicidio di primo grado.
Dal 1988 al 2014 fece numerosi tentativi di appellarsi per avere una riduzione della pena ma inutilmente. Secondo i giudici che presero in esame le sue richieste, Daniel non mostrò mai un vero e proprio pentimento.
La sua vita fu sempre caratterizzata dalla violenza e dalla sopraffazione.
Ora non potrà far altro, in carcere, che riflettere su ciò  che ha fatto e cercare dentro di sé il vero pentimento.

BIBLIOGRAFIA

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