C’era una volta l’amore, quello travolgente. E con esso la passione, quella che ti sconvolge le viscere e ti lascia senza fiato.
Ma come cantava tanti anni fa Fabrizio De André… “l’amore spesso conduce a soddisfare le proprie voglie, senza indagare se il concupito ha il cuore libero oppure ha moglie”.
E fu così che una travolgente storia d’amore si trasformò in una di vendetta mortale.
Torniamo indietro nel tempo, nella Sicilia dell’anno 1000.
Oggi come allora la terra siciliana era piena di sole e di passione. Molte donne bellissime popolavano le città dell’isola, all’epoca dominata dagli arabi.
Tutto ebbe inizio il 17 giugno 827, con lo sbarco dell’esercito arabo a Capo Granitola, presso Mazara del Vallo. Le truppe d’invasione approfittarono della disgregazione dell’Impero Bizantino, che sull’isola aveva dominato fino a quel momento. Una flotta di 70 navi, con un esercito composto in gran parte da berberi, guidati da arabi o persiani, arrivò quel giorno sulle coste siciliane. Il primo centro ad essere occupato fu Lilibeum, oggi Marsala, in arabo Marsa Alī, \”il porto di ʿAlī\” o Marsa Allāh, ossia il \”porto di Dio”. Città principale durante la dominazione araba fu Palermo. Ed è proprio lì che si svolsero i fatti che vi vorrei raccontare.
Verità e leggenda si perdono nelle pieghe del tempo, rendendo ancora più misteriosa questa storia.
Si racconta che un giorno, per le vie dell’antico quartiere Kalsa di Palermo, all’epoca chiamato “Al Hàlisah” (l’eletta), camminasse un giovane moro, sbarcato in città da poco. L’uomo era molto aitante e fiero, un vero guerriero dal fascino misterioso. Passando per le vie gremite di gente indaffarata dal vivere quotidiano, si accorse di una bellissima giovane donna, intenta a prendersi cura delle piante e dei fiori sul suo rigoglioso balcone. I due si guardarono e in un attimo la magia dell’amore invase i loro cuori. Senza indugiare il giovane corse verso la casa della ragazza, spalancò la porta e, trovatasela di fronte, le dichiarò tutto il suo amore.
La fanciulla, che mai prima di allora aveva amato nessuno, cedette alle lusinghe del bel moro, perdendosi in quell’abbraccio che aveva il sapore delle terre d’oriente. I due divennero amanti.
La passione governava tutti i loro incontri. Ogni minuto trascorso insieme era fuoco, ardore e sentimento, almeno così credeva la ragazza. Ma l’uomo celava un segreto ingombrante: nelle sue terre di origine aveva moglie e figli, una casa a cui tornare, una vita che lo aspettava.
La fanciulla era per lui una piacevole compagnia, qualcuno da avere accanto e che lo facesse sentire meno solo. Il tempo passava e il moro sarebbe presto dovuto tornare a casa. Quando la bella siciliana lo venne a sapere si sentì tradita.
Il suo cuore spezzato sanguinava. Si era concessa, come un candido giglio, a un uomo che aveva solo colto un’occasione. Il rancore la trasformò in assassina. Dopo un ultimo appassionato incontro, mentre il moro si era fiduciosamente addormentato fra le bianche lenzuola della loro alcova, la donna, senza esitazione lo colpì a morte e gli tagliò la testa.
Fra le lacrime, ma senza pentimento, decise di esporre quel macabro trofeo sul suo balcone. Scavò un buco nel cranio dell’amato e vi piantò del basilico, che nel linguaggio dei fiori simboleggiava un augurio per il passaggio all’aldilà. La pianta crebbe rigogliosa, annaffiata dalle lacrime di nostalgia per quell’amore perduto versate dalla ragazza. Gli abitanti del quartiere vedevano di giorno in giorno crescere quella piantina, fino a diventare un rigoglioso cespuglio. Quale segreto si celava in tanta esuberante bellezza?
Mossi da gelosia verso la bellezza di quel basilico, si fecero costruire dei vasi raffiguranti la testa di un moro, sperando che anche le loro piante avrebbero avuto la stessa felice sorte. Da quel giorno, quei vasi divennero un simbolo per la città e poi per tutta l’isola.
Esiste un’altra versione sull’accaduto. L’inizio della storia è uguale. L’amore travolse i due amanti che vissero la loro passione senza farsi problemi sull’opinione della gente. Ma un brutto giorno, essendo la giovane di nobili origini, qualcuno per lavare l’onta del disonore di quell’unione sconsiderata, uccise i due amanti decapitandoli ed esponendo le loro teste mozzate sul balcone della ragazza, come monito per chi volesse fare la stessa cosa.
Le teste di moro oggi fanno parte della tradizione della Sicilia; in dialetto sono chiamate Graste. Vasi in ceramica dalla pregiata fattura, raffigurano un moro e una fanciulla, uniti dal filo invisibile della passione che solo il ricordo può conservare.