La Riserva Menominee, racconto di un viaggio indimenticabile

Tempo di lettura: 10 minuti

Quello che segue è il racconto di un un’esperienza di viaggio che rimarrà impressa nella mia memoria per sempre. Nell’estate del 2017, insieme ad Anna, la mia compagna, ho trascorso una decina di giorni in Wisconsin, nei pressi di Keshena, nella riserva della tribù Menominee....
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Quello che segue è il racconto di un un’esperienza di viaggio che rimarrà impressa nella mia memoria per sempre. Nell’estate del 2017, insieme ad Anna, la mia compagna, ho trascorso una decina di giorni in Wisconsin, nei pressi di Keshena, nella riserva della tribù Menominee.
Abbiamo avuto il privilegio di essere ospiti di una famiglia davvero speciale: i Fernandez. Wade Fernandez, il capofamiglia, è un bluesman e un polistrumentista eccezionale: passa con disinvoltura dalla chitarra al flauto tradizionale e le sue canzoni – le mie preferite sono Sawaenemiyah (Blessed) e Still Standing Proud – vibrano di amore per la vita e serenità. La musica che compone fonde con eleganza il blues e il rock con influenze indiane e tradizionali, creando atmosfere coinvolgenti ed evocative. Nei suoi testi si riflette l’attualità della vita in Riserva, ma anche un messaggio più ampio e universale di comunione e fratellanza.
Il suo nome nativo è Wiciwen Apis Mahwaew, che significa “cammina con il lupo nero”. Si trova spesso in tour in Europa – soprattutto in Germania e Svizzera, dove è molto noto e apprezzato – ed è così, durante una sua tournée italiana organizzata dall’Associazione Soconas Incomindios, che ci siamo conosciuti.
Paula Fernandez, sua moglie, ha dedicato l’intera vita ad apprendere e divulgare la cultura della propria tribù e dei nativi americani e, come amo definirla, è una vera e propria enciclopedia vivente in materia. Il suo nome nativo è Kamewanukiw, che significa letteralmente “Donna della pioggia”, ma ha in realtà un significato più ampio. Una traduzione più accurata è “spirito della prima pioggia che porta la vita in primavera”. Il nome le è stato attribuito a causa dei suoi sforzi per riportare in vita la cultura e le tradizioni menominee.

È stata per noi un’amica, una guida e una maestra. I loro cinque figli, Wade Jr, Cedar, Quentin, Blaize e Rain, sono stati gentili con noi e abbiamo trascorso insieme molte ore di gioco e relax.
Ho imparato molto in quei giorni, ma ho esitato a lungo prima di accingermi a scrivere. In parte per un profondo rispetto e per la paura di “tradire”, con la mia interpretazione, la bellezza e la profondità dei contenuti che mi sono stati trasmessi.  In parte, perché penso che occorrerebbe uno scrittore migliore di me per cantare questa canzone, per trasmetterne intatto il significato.
In ogni caso, alla fine, mi sono deciso, perché ho pensato che il regalo che ci è stato fatto da Wade e Paula sia troppo bello per tenerlo per me stesso.
La loro storia, quella del loro popolo, merita di essere raccontata e conosciuta. Non importa, spero, che io sia un bianco che parla di tradizioni non sue: in fondo, siamo tutti uomini che vivono, amano e muoiono su questa terra. Conoscerci meglio, forse, può aiutarci ad andare oltre le differenze, rispettandole senza cancellarle, per trovare un terreno comune di dialogo e comprensione.
Chi sono i Menominee
Vista dallo spazio, la riserva dei Menominee è un rettangolo verde. Nel resto dello stato del Wisconsin, il verde è molto più pallido, in seguito ad anni di disboscamento, allevamento intensivo e inquinamento: quello che chiamano “progresso”, insomma.
La riserva, oggi, è una frazione piccolissima di quella che era in origine la terra ancestrale di questo popolo, erosa progressivamente dai trattati e dagli inganni dell’uomo bianco. All’interno dei suoi confini, i nativi sono riusciti a rispettare la foresta, applicando tecniche di taglio selettivo che oggi vengono studiate in tutto il mondo.

Oltre alla vegetazione, i Menominee hanno conservato anche un ricco e vasto patrimonio di tradizioni e pratiche, purtroppo quasi sconosciuto ai più perché rimasto lontano dai riflettori hollywoodiani, da sempre puntati sugli indiani delle grandi pianure e sulle battaglie della seconda metà del 1800. La storia di questo popolo, tuttavia, ha un fascino profondo e discreto che merita di venire divulgato, perché i Menominee continuano a lottare ancora oggi, per esistere e per conservare la ricchezza inestimabile della loro lingua e delle loro tradizioni.
I Menominee sono una tribù nativa nordamericana che fa parte della famiglia degli Algonchini, un ceppo attestato tra Stati Uniti e Canada che comprende varie altre tribù (Ojibwa, Delaware, Shawnee…), affini tanto per la lingua che per tradizioni e folklore.
Menominee è la traslitterazione del modo in cui i vicini Ojibwa chiamano questa tribù, che significa “popolo del riso selvatico”, ma i Menominee chiamano se stessi in un altro modo, Mamaceqtaw, che significa semplicemente “il popolo” (questo è il significato comune di molti altri nomi di tribù aborigene, pensiamo ad esempio ai Lakota). Un altro modo per definirli è Kiash Machatiwuk, ovvero “gli uomini Antichi”, le altre tribù della zona li chiamano così.
Preistoria
Quest’ultimo nome risulta essere particolarmente azzeccato. Conversando con diversi membri della tribù, all’interno della riserva, mi è capitato spesso di sentir dire “noi siamo qui da sempre”. E le radici di questo “sempre” affrontano davvero nella notte dei tempi, in quanto esistono prove archeologiche che attestano che la presenza di nativi in Wisconsin risale a oltre 14.500 anni fa.
La riserva dei Menominee è un luogo incredibilmente ricco di resti archeologici: al suo interno, una piccola equipe di archeologi, guidata dal Dott. David Overstreet, lavora in collaborazione con i nativi per riportare alla luce i segni e le prove di questo passato remotissimo. Il lavoro dell’archeologo, in questo caso, non si limita semplicemente al ritrovamento di reperti, ma va anche nella direzione opposta: restituire alla terra che le ospitava le reliquie sacre un tempo trafugate. Il lavoro scientifico, in questo caso, non va a detrimento delle credenze tradizionali, ma collabora con esse: nel corso degli anni, Overstreet si è guadagnato la stima e il rispetto dei locali.
Uno dei ritrovamenti più sensazionali di questo studioso risale al 1994, quando la sua equipe rinvenne uno scheletro quasi completo di mammut: oggi, è possibile ammirare questo imponente e suggestivo reperto nel Milwaukee Public Museum.
Questo mammut, significativo già di per sé, è ancora più importante per un dettaglio: su alcune delle sue ossa sono presenti delle incisioni derivanti da strumenti in pietra, che indicano che il mastodonte era stato macellato da esseri umani. Questi graffi, datati al radiocarbonio, hanno spostato a 14.500 anni fa la presenza umana in Wisconsin mentre, sino ad allora, si pensava che i primi insediamenti risalissero a 13.000 anni fa, con la cosiddetta civiltà Clovis.
Conversare con il Dott. Overstreet è terribilmente interessante: lo ascolto rapito e vorrei che il nostro incontro non finisse mai. Frequenta la Riserva da oltre vent’anni ed è bello sentirlo raccontare di come, analizzando i racconti e le leggende Menominee o aggirandosi per la foresta in compagnia degli anziani, sia riuscito a trovare resti archeologici, vasellame e tumuli funerari. Storia e leggenda, in questo caso, coincidono, e, incastonati nella tradizione orale, ci sono molti tesori ancora da scoprire.

I ritrovamenti di Overstreet e della sua equipe nei pressi del Wolf River, il fiume che attraversa la riserva, ci parlano di una civiltà antica ma, per certi versi, sorprendente, che coniugava la caccia e la raccolta di frutti spontanei con la coltivazione della terra.
Sebbene i Menominee siano definiti “il popolo del riso selvatico”, in realtà coltivavano anche mais e altri tipi di cereali. Proprio il mais consentì a questa popolazione di sopravvivere alla Piccola Glaciazione dell’8000 a.C.  circa, che mieté invece molte vittime in Europa: la maturazione rapida di questo cereale, infatti, si adattava meglio alla stagione più corta e permetteva di placare la fame.
I segni di queste antiche coltivazioni sono tutt’ora visibili in molte parti della foresta, dove non è infrequente imbattersi nei “beds”,  i “letti”:  larghi solchi scavati nel terreno migliaia di anni fa, utilizzati per far crescere i cereali. La terra veniva arata con bastoni di legno, le cui punte vennero progressivamente ricoperte prima in osso e poi in rame, per aumentarne la durezza e la durata. Le zolle venivano poi rivoltate con scapole di bisonte. Il rame utilizzato era di origine vulcanica, quindi non veniva fuso ma semplicemente battuto a freddo.
Lo stoccaggio e la cottura dei cereali avvenivano in vasi di terracotta temperati con gusci di conchiglia. L’utilizzo dei gusci di conchiglia per la cottura del vasellame svolgeva una duplice funzione: oltre a conferire maggiore durezza ai contenitori, rilasciava carbonio, che andava ad arricchire gli alimenti, prevenendo le patologie derivanti da un grande consumo di mais, quali pellagra e osteoporosi. Simili raffinatezze mettono in crisi la sommaria classificazione di “civiltà primitiva”!
È importante evidenziare come l’archeologia, in casi come questo, non sia un mero studio accademico ma assuma sempre dei forti connotati politici. Nel corso degli anni, molti studiosi, non sempre intellettualmente onesti, hanno cercato di posticipare il più possibile la data di insediamento dei Menominee e di altre popolazioni native, al fine di giustificare, in qualche modo, la successiva colonizzazione avvenuta ad opera dei bianchi. C’è stato chi, addirittura, ha ipotizzato che l’insediamento dei nativi americani, i cosiddetti “indiani”, sia avvenuto ai danni di una civiltà antecedente, la cosiddetta “Civiltà dei Mounds”, come per attenuare le colpe derivanti dal genocidio causato dagli Europei. Secondo questo discutibile modo di argomentare, colonizzare un popolo colonizzatore sarebbe, teoricamente, meno grave di imporsi su chi ha abitato quella terra da sempre.
Gli studi attuali, come quelli operati da Overstreet e dalla sua equipe, dimostrano il contrario e, nel corso degli anni, hanno smontato le teorie di chi sosteneva che i Menominee si fossero insediati in un periodo recenziore, dimostrando che il legame tra questo popolo e la terra che abita è vecchio come il mondo e merita tutto il rispetto possibile.
Il Dott. Overstreet considera in modo critico la famosa “teoria dello stretto di Bering”, che sostiene che i nativi americani siano giunti nel “Nuovo Mondo” percorrendo a piedi la Beringia, un istmo che collegava Asia e America. A suo giudizio, infatti, i ritrovamenti recenti dimostrano che l’America era stata raggiunta molto tempo prima, per mezzo di imbarcazioni, sia dalla Polinesia, che dalla penisola iberica, che dal Giappone. Nell’America Meridionale, ad esempio, esistono siti che risalgono a 22.500 anni fa, la cui semplice esistenza basterebbe a confutare l’ipotesi dello Stretto di Bering, ma, forse per orgoglio accademico, la teoria continua a godere di credito.
La ricerca sul passato non si limita soltanto agli scavi: nella Riserva si pratica anche un innovativo sistema di archeologia sperimentale, che consiste nel ricreare un antico insediamento, riproducendone le capanne (wigwam) e le colture, ma anche l’uso e la costruzione di lance e di altri utensili per la vita quotidiana in quel passato remoto. Nel corso di questo esperimento si è scoperto, ad esempio, che quel tipo di vita era estremamente duro, che presupponeva la cooperazione di tutta la comunità, perché una famiglia isolata non ce l’avrebbe mai fatta.
La cosa positiva di questi progetti è che non vengono imposti, ma sono fatti nel pieno rispetto delle credenze e della cultura tribale e, di conseguenza, godono di credito e collaborazione da parte dei residenti nella riserva. Il dottor Overstreet è oggi in età avanzata e a succedergli sarà probabilmente una giovane studiosa menominee, che ha imparato ad amare l’archeologia attraverso i campi estivi organizzati da lui.
All’interno della riserva si trovano ben due musei. Uno è dedicato al taglio della foresta, una vasta esposizione di asce, carrucole, cordame e ogni sorta di utensile per tagliare e spaccare la legna. Il secondo, piccolo ma molto curato e interessante, è dedicato alla storia della tribù e raccoglie manufatti e testimonianze materiali di questo popolo.

[continua]

Gian Mario Mollar

BIBLIOGRAFIA

 

  • Patty Loew, Indian Nations of Wisconsin, Wisconsin Historical Society Press, 2013
  • David R. M. Beck, Siege & SurvivalHistory of the Menominee Indians (2 volumi), University of Nebraska Press, Lincoln & London, 2002

La musica di Wade Fernandez

Sawaenemiyah (Blessed) https://www.youtube.com/watch?v=Z365f3ZS8Sw

Still standing proud https://www.youtube.com/watch?v=QXJTQmoyPFY

Commodity Cheese Blues https://www.youtube.com/watch?v=nixY43jOxBY

 

Il sito della tribù Menominee e della Riserva

http://www.menominee-nsn.gov/

 

Testo: Gian Mario Mollar

Consulenza e revisione del testo: Paula Fernandez

 

Foto: Anna Di Stefano

 

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