Tra l’inizio del novembre 1925 e la fine dell’ottobre 1926, Benito Mussolini scampò a quattro attentati. Secondo molte voci questi eventi finalizzati ad uccidere il Duce erano ispirati da potenze straniere. Mussolini ne ricavò la certezza d’essere protetto da una buona stella. L’attentato che più mise in pericolo la vita dell’uomo nato a Predappio fu l’ultimo dei quattro, evento avvenuto a Bologna il 31 ottobre del 1926. L’accadimento della città emiliana destò profondo dolore per l’esecuzione sommaria dell’attentatore, un ragazzo che aveva da poco superato i 15 anni. Quel ragazzo si chiamava Anteo Zamboni. Secondo alcune ricostruzioni, l’attentato sarebbe stato, in questo caso, il risultato di una cospirazione maturata all’interno degli ambienti fascisti avversi alla normalizzazione inaugurata da Mussolini, contrario a ulteriori eccessi rivoluzionari e allo strapotere delle formazioni squadriste. Secondo tali ipotesi, il colpo di pistola non sarebbe provenuto da Anteo Zamboni, che sarebbe stato una vittima delle circostanze. Le indagini di polizia si svolsero inizialmente negli ambienti squadristi bolognesi, ipotizzando in un primo tempo un coinvolgimento di ras locali come Roberto Farinacci e Leandro Arpinati, ma non portarono ad alcun risultato. A quel punto si concluse che l’attentato non poteva che essere opera di un elemento isolato. Un’ulteriore indagine sollecitata dal Ministero dell’Interno fu svolta ancora dai magistrati del Tribunale Speciale ma anch’essa approdò alle medesime conclusioni conseguite dalla polizia.
L’attentato promosso da Anteo Zamboni, anche se molti dubbi ancora oggi avvolgono la figura del reale esecutore dell’evento, fu raccontato dallo stesso Mussolini con le seguenti parole: «degli attentati da me subiti, quello di Bologna non fu mai completamente chiarito. Certo che me la cavai per miracolo. L’esecutore, o presunto tale, fu invece linciato dalla folla. Con questo atto barbarico, che deprecai, l’Italia non dette certo prova di civiltà». Se molti dubbi permangono sulla figura dell’esecutore materiale dell’attentato di Bologna, nessuna ombra sulla figura che attentò alla vita di Mussolini il 7 aprile del 1926 a Roma.
Cosa accadde quel giorno di primavera nelle vie della capitale?
Benito Mussolini aveva da poco lasciato il palazzo del Campidoglio, dove aveva inaugurato un congresso di chirurgia, quando una donna sparò un colpo di pistola al suo indirizzo. Il proiettile ferì di striscio al naso il capo del Governo. La donna con la pistola si chiamava Violet Gibson ed era figlia del Lord Cancelliere d’Irlanda.
Prima di cercare di comprendere le motivazioni di tale gesto, cerchiamo di ricostruire la figura di Violet Gibson.
La donna nacque a Dublino nel 1876. Suo padre, Edward Gibson, era un importante avvocato e politico irlandese. Suo madre, Frances, era una scienziata dalla profonda fede cristiana. Edward Gibson fu nominato consigliere della regina nel 1872 e, tre anni dopo, divenne membro del Parlamento. Nel 1877 fu nominato procuratore generale d’Irlanda. Nel 1885 fu nominato Lord Cancelliere d’Irlanda. Nello stesso anno, dopo aver ricevuto l’importante carica, Gibson fu elevato alla nobiltà come Barone Ashbourne, di Ashbourne nella contea di Meath. Edward Gibson morì nel il 22 maggio 1913. Il politico irlandese fu sempre troppo indaffarato per dare affetto ai propri figli. La piccola Violet fu costantemente colpita dalle malattie, dalla peritonite alla pleurite, e dai lutti famigliari, dalla morte dell’amato fratello a quella del padre.
Questi eventi potrebbero aver contribuito a minare la salute fisica e psichica della giovane. Violet crebbe insoddisfatta, distaccata dai problemi che perturbavano la vita dei suoi coetanei. Questa sua insoddisfazione si trasformò in uno sfrenato interesse per i principi della Teosofia professati da Helena Blavatsky. Il termine Teosofia, unione delle parole greche Dio e Sapienza, indica diverse dottrine esoterico-filosofiche storicamente succedutesi dal XV al XXI secolo. Nell’ambito della Società Teosofica del XIX secolo, la teosofia si configurò essenzialmente come scienza esoterica. Helena Blavatsky definì la teosofia, nel suo testo La dottrina segreta, come “la saggezza accumulata nel corso delle ere, provata e verificata da generazioni di profeti”. I tre principi e scopi su cui si basò la Società Teosofica erano: formare un nucleo di fratellanza universale dell’umanità senza alcun tipo di distinzione, incoraggiare lo studio comparato delle religioni e delle scienze ed investigare le leggi inesplicate della natura e le capacità latenti dell’uomo. Nel 1902, forse nuovamente annoiata, Violet decise di convertirsi al cattolicesimo, religione ritenuta non adeguata alla sua classe sociale poiché la maggior parte delle famiglie abbienti del Regno Unito erano protestanti. Durante la Prima Guerra Mondiale viaggiò tra Italia e Svizzera avvicinandosi ai Gesuiti. Finita la guerra si impegnò attivamente all’interno dei movimenti pacifisti. Nel 1923 iniziò a dare segni di squilibrio quando inseguì per strada la cameriera con un coltello e, poche settimane dopo, cercò di uccidere un paziente in un ospedale. Dopo questi atti fu rinchiusa per sei mesi in un ospedale psichiatrico. All’interno della struttura i medici diagnosticarono che Violet Gibson era affetta da mania omicida. Dopo aver trascorso sei mesi all’interno dell’ospedale psichiatrico, fu trasferita in un convento di Roma. Nel 1925 tentò il suicidio. L’intenzione della donna era quella di morire per gloria di Dio.
Tra un inseguimento con il coltello ed un tentato suicidio, si giunse alla primavera del 1926 ed all’attentato a Benito Mussolini. Il capo del Governo era appena uscito dal Campidoglio, dove aveva inaugurato un congresso di chirurgia, quando Violet gli sparò un colpo di pistola, ferendolo di striscio al naso. Secondo lo scrittore Arrigo Petacco a salvare Mussolini sarebbe stato un saluto romano che porgeva nel momento dello sparo: tirando indietro il capo irrigidendosi, come sua abitudine nel saluto, avrebbe portato la testa fuori dalla traiettoria. La Gibson, sottratta ad un tentativo di linciaggio, fu condotta in Questura. Fu interrogata ma non rivelò la ragione dell’attentato. Alla polizia che l’accusava di far parte di un complotto internazionale, Violet dapprima rispose affermativamente prima di ritrattare tutto. Al giudice dichiarò che con il suo gesto intendeva liberare l’Italia dal fascismo e che aveva ricevuto messaggi da Dio per questa missione. Dopo diverse settimane di esami clinici, i medici la certificarono affetta da paranoia cronica. L’attentatrice, per volontà dello stesso Mussolini, fu assolta dal Tribunale Speciale per totale infermità di mente e successivamente espulsa dall’Italia verso l’Inghilterra, dove rimase per trent’anni ricoverata in una clinica psichiatrica prima di morire il 2 maggio del 1956.
Benito Mussolini come reagì all’attentato?
Il giorno dopo lo sparo irlandese, Mussolini compì un viaggio in Libia dove si mostrò, a Tripoli, con un vistoso cerotto sul naso. Forse fu in quella occasione che Claretta Petacci scrisse al capo del Governo una lettera di felicitazioni per lo scampato pericolo. La lettera colpì Mussolini, tanto da volerla conoscere.
Anche Pio XI scrisse una lettera di congratulazioni per lo scampato pericolo, lo stesso Papa che tre giorni dopo la firma dei Patti Lateranensi, del 1929, parlerà di Mussolini come “un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare”.
Fabio Casalini