Sonderkommando, al servizio della morte

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Chi era il Sonderkommando? Era una unità, composta da prigionieri, per la maggior parte di origine ebraica, costretti a collaborare alla attività del campo in cui erano internati, spalla a spalla con i soldati tedeschi. Le parole di Primo Levi, spiegano perfettamente l’essenza del Sonderkommando: «Aver concepito ed organizzato i Sonderkommandos è stato il delitto più demoniaco del nazionalsocialismo. [...] Attraverso questa istituzione, si tentava di spostare su altri, e precisamente sulle vittime, il peso della colpa, tal ché, a loro sollievo, non rimanesse neppure la consapevolezza di essere innocenti.»....
Sonderkommando. Una delle tante parole che hanno fatto parte del secondo conflitto mondiale, la grande guerra teatro del massacro di milioni di persone ammassate nei campi di concentramento e stermino.
Ma chi era il Sonderkommando? Era una unità, composta da prigionieri, per la maggior parte di origine ebraica, costretti a collaborare alla attività del campo in cui erano internati, spalla a spalla con i soldati tedeschi.
Le parole di Primo Levi, in uno dei suoi libri, secondo me, spiegano perfettamente l’essenza del Sonderkommando: «Aver concepito ed organizzato i Sonderkommandos è stato il delitto più demoniaco del nazionalsocialismo. […] Attraverso questa istituzione, si tentava di spostare su altri, e precisamente sulle vittime, il peso della colpa, tal ché, a loro sollievo, non rimanesse neppure la consapevolezza di essere innocenti.»
L’attività principale che svolgevano era quella di assistere al processo di sterminio delle camere a gas, con il compito successivo di liberarle a procedimento ultimato, smaltendo i cadaveri nei forni crematori o nelle fosse crematorie, che bruciavano ininterrottamente 24 ore su 24. Erano i veri testimoni del genocidio, silenziosi spettatori della fine che faceva la fiumana di gente disperata che quasi ogni giorno arrivava stipata su treni freddi e maleodoranti, con la promessa che avrebbero lavorato, dando il loro contributo forzato allo sforzo bellico.
Operarono in diversi campi: Auschwitz, con i suoi sottocampi, Sobibór, Treblinka, Majdanek e Bełżec.  Venivano scelti all’arrivo ai campi, fra i giovani più robusti e atletici, fra coloro che a prima vista avevano meglio sopportato l’estenuante viaggio, vista la pesantezza delle mansioni a cui erano destinati. Godevano di alcuni privilegi, se così possono essere considerati, rispetto al resto dei prigionieri, per mantenerli in forza.
Occupavano una parte speciale del campo, separata dal resto delle baracche, avevano una razione giornaliera di cibo più abbondante, ma comunque insufficiente, vestiti migliori e qualche volta alcolici. Sopportavano turni massacranti, che dipendevano dalla frequenza di arrivo dei treni carichi di deportati. Potevano restare in servizio anche un giorno intero, fino a che le guardie non davano loro il cambio.
La loro attività era a tempo “determinato”, essendo testimoni dello stermino di massa che avveniva nelle camere a gas: periodicamente, dopo circa 3 mesi, ma non era una regola fissa, l’unità intera, circa 20/25 membri, veniva sterminata, gettata nei forni e sostituita. Non dovevano trapelare notizie, non dovevano sopravvivere testimoni. Nessuno avrebbe dovuto raccontare cosa in realtà accadeva nelle camere a gas, di come la maggior parte dei deportati fossero immediatamente destinati alla morte e poi ai forni, selezionati fra un fiume di gente terrorizzata perché ritenuti inutili.
Nel solo campo di Auschwitz, durante il periodo di operatività, si susseguirono 12 diversi sonderkommando. Ogni vola che si concludeva una aktion, cioè uno sterminio di un diverso gruppo nazionale, l’unità veniva terminata.
Chi veniva selezionato per il Sonderkommando non aveva possibilità di scelta e non era avvisato prima del compito che avrebbe svolto. Chiunque si fosse rifiutato di ricoprire quel ruolo, sarebbe stato immediatamente fucilato e sostituito.
Rispetto ai lavori svolti dai prigionieri comuni, il sonderkommando ricopriva incarichi particolari all’interno del campo: il loro compito principale consisteva, come già detto, nella pulizia delle camere a gas dopo i trattamenti.
Già questo sarebbe stato sufficiente per annullare la mente di qualsiasi essere umano, ma in realtà questi uomini erano costretti a sopportare ben altro. Prima di leggere alcune testimonianze di membri di sonderkommando sopravvissuti miracolosamente alle marce della morte, mimetizzati fra i prigionieri comuni, non mi ero mai soffermata a pensare a quanta sofferenza si trovassero di fronte ogni volta che le porte stagne delle camere a gas venivano riaperte.
Il processo di eliminazione li coinvolgeva direttamente. Erano costretti a portare un peso più grande della consapevolezza della morte che li attendeva. Erano complici, collaboratori, disprezzabili e testimoni scomodi.
Una volta selezionate all’arrivo delle stazioni, le persone destinate alle “docce”, erano condotte in fila verso un’area distaccata del campo. Qui il sonderkommando, seguendo le istruzioni dei soldati, li conduceva in ordine verso gli spogliatoi, cercando di mantenere un’aria rassicurante e usando parole che non inducessero sospetti o reazioni di resistenza, che avrebbero rallentato il processo di sterminio. Se avessero parlato, o lasciato capire qualcosa, sarebbero stati fucilati immediatamente. Una volta entrati, i prigionieri dovevano lasciare a terra tutto ciò che indossavano, effetti personali compresi. Chi non era in grado di svestirsi da solo, era aiutato dal sonderkommando in turno, che aveva l’incarico di favorire le operazioni e di evitare qualsiasi intralcio. Uomini e donne insieme, giovani e vecchi, bambini, mostravano con pudore la loro nudità, piangendo e sperando che quella fosse l’ultima umiliazione.
Da lì erano condotti per un corridoio alle camere a gas, dove entravano ignari del loro destino. Le porte a tenuta stagna erano chiuse dal sonderkommando. Il gas, monossido di carbonio durante una prima fase di sperimentazione, Zyklon B nella fase successiva, svolgeva la sua opera di distruzione, lasciando a terra corpi contorti e ammassati. All’apertura era compito del sonderkommando ripulire: vomito, feci, lacrime, sangue, urine. Il pavimento, scivoloso, era coperto dei fluidi della morte.

Con l’introduzione del Zyklon B il lavoro si era parecchio complicato. Gli effetti del gas erano devastanti. I cadaveri si presentavano irrigiditi, la pelle viscida e squamosa si spaccava appena il corpo veniva afferrato per essere portato verso i carretti utilizzati per il trasporto ai forni. A volte era necessario trascinarli con cinture e bastoni, per evitare un ulteriore scempio dei resti umani. La morte era lenta e violenta, 15 interminabili minuti di agonia, dopo i quali sopraggiungeva l’anossia e il decesso.
Gli uomini del sonderkommando non potevano avere esitazioni o tentennamenti, nessuna commozione, nessuna debolezza. Dovevano svolgere il proprio lavoro indifferenti, efficienti. Se non lo avessero fatto, il capo turno li avrebbe massacrati a bastonate, con la pala, con ciò che trovava. Bastava nulla per morire, il valore della loro vita era come quello degli altri prigionieri, pari a zero.
Prima di essere “cremati” i corpi dovevano essere ulteriormente ripuliti dagli uomini dell’unità di ciò che poteva essere riutilizzato: le teste di donne e bambine dovevano essere rasate, i capelli accuratamente imballati e inviati in Germania per l’utilizzo nell’industria, i denti d’oro estratti, spesso dopo la rottura delle mandibole irrigidite dal rigor mortis. La fase successiva consisteva nel trasporto verso i crematori, dove in ciascun forno il sonderkommando doveva stipare più corpi. Quando i forni erano imballati, i carretti erano condotti verso le fosse crematorie, tra fango e liquami.
Il processo di eliminazione dei cadaveri si concludeva con la raccolta delle ceneri e con la successiva dispersione nei corsi d’acqua o nei boschi, in modo che nessuna traccia di quanto era accaduto fosse eventualmente rinvenuta.
Durante l’ultima fase della guerra, con l’avvicinarsi della fine del conflitto, i Sonderkommandos furono incaricati di cancellare le tracce dello sterminio di massa che era stato messo in atto. Fu compito loro distruggere i forni, demolire i fabbricati, sistemare i terreni, dissotterrare i cadaveri seppelliti e non ancora cremati, distruggere i documenti inerenti il genocidio.
All’interno dei campi gli uomini del sonderkommando, a causa dei privilegi di cui godevano, erano invisi agli altri internati.  Facevano parte di una categoria separata. Si organizzarono anche per cercare di resistere e di evadere dall’orrore quotidiano a cui erano sottoposti. Dove fu possibile alcuni di loro scrissero diari in cui raccontavano giornalmente la loro esperienza e quanto avveniva nelle camere a gas, preziosi scritti che furono chiusi in contenitori metallici e seppelliti vicino ai forni. Dopo la fine della guerra, alcuni di questi manoscritti furono ritrovati, anche dopo molti decenni, e stampati. Altre testimonianze furono rese direttamente dai sopravvissuti, che diventarono un prezioso grido di accusa durante processi e cacce ai fuggitivi nazisti.
Anche durante il conflitto la loro azione fu sempre attiva, proprio per portare alla luce quanto stava accadendo. A rischio della vita, in momenti successivi, i Sonderkommandos fecero arrivare alla resistenza, soprattutto polacca, prove fotografiche e scritti sottratti ai tedeschi. In molti casi però il materiale che arrivò nelle mani degli alleati fu ignorato o sminuito.
Quando fu possibile, organizzarono operazioni di sabotaggio, al fine di rallentare il processo di sterminio.
A Sobibór riuscirono a dar vita a una rivolta. Il 14 ottobre 1943, un gruppo di uomini del sonderkommando, con a capo un ufficiale russo,  Aleksandr Pečerskij, riuscirono ad uccidere 11 guardie delle SS e alcune guardie ucraine. Scoperti, i prigionieri iniziarono a fuggire, non rispettando i piani stabiliti. In 600 riuscirono a conquistare la libertà, ma stanchi e denutriti, furono ripresi quasi tutti per essere fucilati nel campo nei giorni seguenti. Soltanto 50 di loro sopravvissero alla fine della guerra. Dopo questo episodio, il Reich decise lo smantellamento del campo, che fu demolito in modo sistematico e minuzioso. Al suo posto, per cancellare ogni traccia, furono piantati centinaia di alberi.
Una seconda rivolta dei Sonderkommandos avvenne ad Auschwitz, il 7 ottobre 1944, pochi mesi prima dell’ingresso delle truppe alleate al campo.
Di questo episodio ho potuto leggere una testimonianza diretta, grazie al libro di Shlomo Venezia, membro dell’unità addetto al crematorio 4, sopravvissuto al conflitto. La rivolta si risolse in un bagno di sangue e con la distruzione di un forno, grazie all’esplosivo che i ribelli avevano ottenuto da alcune civili impiegate presso le fabbriche belliche.
I rivoltosi furono tutti uccisi, a mani nude, massacrati, o fucilati. Alcune collaboratrici furono individuate, dopo pochi giorni di indagini: 4 donne polacche, Ròza Robota, Ella Garner, Estera Wajcblum e Regina Safirsztaj, furono impiccate il 6 gennaio 1945.

Come si sia arrivati a concepire uno “strumento” come il sonderkommando non riesco a capirlo. Se penso all’intero meccanismo di eliminazione degli indesiderati messo in atto dal nazismo, non posso far altro che considerare l’unità come un giusto corollario di un piano malato, malvagio. Il materiale fotografico a nostra disposizione non è molto, per ovvi motivi. Il sonderkommando era un fantasma, che si aggirava nel campo e come tale primo o poi si sarebbe dissolto nel fumo, nel vento. Erano isolati, per non poter raccontare la morte, per non far capire a chi sopravviveva agli stenti, agli esperimenti, che quei camini alti, da cui usciva giorno e notte fumo bianco, diffondendo un odore acre di carne bruciata, sarebbero stati la sola via di fuga della maggior parte dei prigionieri.
Tocca a noi oggi raccontare e ricordare, raccogliere dai testimoni la loro pesante eredità di dolore e distruzione per tramandarla alle generazioni future, per non commettere gli stessi errori, per non consegnare la nostra vita all’orrore di quei giorni.
… Ad Auschwitz tante persone, ma un solo grande silenzio. È strano, non riesco ancora a sorridere qui nel vento.
Io chiedo, come può un uomo uccidere un suo fratello. Eppure siamo a milioni in polvere qui nel vento….

BIBLIOGRAFIA

  • Shlomo Venezia – Sonderkommando Auschwitz. La verità sulle camere a gas. Una testimonianza unica – Rizzoli, 2007
  • La voce dei sommersi. Manoscritti ritrovati di membri del Sonderkommando di Auschwitz – Marsilio – 1999
  • Testimoni della catastrofe. Deposizioni di prigionieri del Sonderkommando ebraico di Auschwitz (1945) – Ombre Corte – 2004
  • Hermann Langbein – Uomini ad Auschwitz. Storia del più famigerato campo di sterminio nazista – Mursia – 1992

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