Arnaldo nacque a Brescia intorno al 1090. Votato alla vita religiosa volle approfondire la teologia e, poco dopo i vent’anni, si trasferì a Parigi. Nella città francese ebbe Pietro Abelardo come maestro. Il giovane Arnaldo si infervorò seguendo le lezioni e le discussioni pubbliche del maestro, del quale si ricorda una relazione con Eloisa, nipote del canonico di Notre Dame, tale Fulberto. Arnaldo quelle voci non le ascoltava, il giovane seguiva con lo sguardo i movimenti del maestro ed ascoltava quella voce suadente affrontare i problemi del XII secolo. Pietro Abelardo si aprì ai giovani raccontando di una Chiesa purificata da qualsiasi deformazione mondana. Il maestro sognava il ritorno alle origini del cristianesimo. Più o meno nello stesso periodo gli fece eco Bernardo da Chiaravalle che ricordava: “sogno di rivedere la Chiesa degli antichi giorni, quando gli apostoli gettavano le loro reti per guadagnare anime e non oro e argento”. Dopo alcuni anni trascorsi a Parigi, Arnaldo fece ritorno a Brescia dove divenne canonico agostiniano con la qualifica di prevosto. Trascorse poco tempo che il giovane mettesse a frutto gli insegnamenti di Abelardo. Intorno al 1119 iniziò una serrata propaganda anticlericale e contro la simonia (il termine è utilizzato in generale per indicare l’acquisizione di beni spirituali in cambio di denaro o prestazioni sessuali e deriva dal nome di Simon Mago, taumaturgo samaritano convertito al cristianesimo, il quale, volendo aumentare i suoi poteri, offrì a San Pietro apostolo del denaro chiedendo di ricevere in cambio le facoltà taumaturgiche concesse dallo Spirito Santo. Il rimprovero che Pietro mosse a Simone è un monito anche per i cristiani odierni poiché la storia della cristianità abbonda di casi di simonia).
L’atteggiamento di Arnaldo era innovativo per gli inizi del XII secolo. Il canonico agostiniano accusava il clero, ed in particolare il vescovo di Brescia Manfredo, di possedere terre, di interessarsi di vicende politiche e di praticare usura. Inoltre Arnaldo predicava il ritorno alla povertà evangelica, all’elemosina ed alla solidarietà. Arnaldo da Brescia rivolse discorsi in piazza al popolo, infiammandolo sulla mondanità del clero. Il popolo applaudiva a queste tesi entrando in aperto contrasto con l’autorità episcopale. Nel 1138 avvennero scontri tra il popolo, da una parte, ed il clero ed i nobili, dall’altra. Il vescovo Manfredo nel 1139 fece ricorso a papa Innocenzo II che, nel concilio Lateranense, condannò Arnaldo come eretico. Innocenzo II fece condannare anche Pietro Abelardo come eretico. Arnaldo da Brescia rischiò il rogo ma Innocenzo II si limitò ad ordinargli il silenzio cacciandolo dall’Italia. Il canonico agostiniano fece ritorno dal maestro a Parigi che, peraltro, stava passando guai seri per l’amore con Eloisa come egli stesso narrò nel romanzo drammatico Historia: raccontò della folle reazione dello zio di Eloisa, che volle vendicarsi del fatto che la nipote rimase incinta, facendo evirare il protagonista dello scritto al suo ingresso come monaco benedettino nell’abbazia di Saint-Denis. Abelardo scrisse della successiva condanna per eresia, della prigionia e della fuga fino all’assoluzione da parte del nuovo abate di Saint-Denis. Arnaldo da Brescia ritrovò Pietro Abelardo attaccato anche da San Bernardo da Chiaravalle.
Il santo dei Cavalieri Templari entrò in contrasto con Abelardo, e l’allievo Arnaldo, sull’eterodossia e sulla dottrina trinitaria da loro dibattuta. Bernardo denunciò entrambi all’episcopato francese che decise d’indire un concilio nella cattedrale di Sens, alla presenza del re, per il 2 giugno del 1140. Durante il concilio Bernardo lesse le accuse, chiedendo ad Abelardo ed Arnaldo di riconoscersi colpevoli ed abiurare. I due rifiutarono categoricamente. Bernardo lasciò Sens appellandosi ad Innocenzo II. In estate giunse la condanna al perpetuo silenzio in un monastero. Abelardo si ritirò a Cluny mentre Arnaldo, contravvenendo all’ordine pontificio, decise di tornare a Parigi per continuare a diffondere le idee del maestro. Arnaldo attaccò duramente Bernardo da Chiaravalle, che punto nell’orgoglio decise di fare ricorso al re. Arnaldo ricevette l’ordine di espulsione dalla Francia. Il canonico agostiniano decise di trasferirsi prima a Zurigo e poi in Boemia, nel 1143, dove fu accolto dal legato pontificio Guido di Castello, futuro papa Celestino II. Si recò successivamente a Viterbo dove ottenne il perdono dal nuovo papa Eugenio III. Nel 1145 si recò a Roma per un pellegrinaggio penitenziale dove, con la cacciata del pontefice in seguito alle rivolte del 1143, era stato istituito un libero comune retto da un senato oligarchico.
Arnaldo da Brescia trovò terreno fertile e decise di gettarsi completamente nell’agone politico. I punti fondamentali del suo programma di riforma, collegato alle idee del movimento milanese dei Patarini, erano: la rinuncia della Chiesa alla ricchezza, il suo ritorno alla povertà evangelica, l’abbandono del potere temporale e la predicazione estesa ai laici. Attraversò la città con accalorati comizi e le sue tesi rivoluzionarie, e anticlericali, comportarono la scomunica del papa, nel 1148. Arnaldo era talmente amato dal popolo che non fu mai perseguitato. L’esperienza del libero comune fallì; Arnaldo ed i suoi molti seguaci pensarono di far rinascere uno stato imperiale a Roma rivolgendosi a Federico Barbarossa nel tentativo di convincerlo a scendere a Roma ed instaurarvi un potere laico opposto a quello del papa. Eugenio III, nel tentativo di limitare i danni, riconobbe il Comune come entità politica, ma non riuscì godere della pace instaurata poiché morì poco dopo. Dopo il breve pontificato di Anastasio IV, salì al trono di Pietro Adriano IV, nel 1155, che si schierò violentemente contro la politica di Arnaldo da Brescia in seguito all’assassinio di un cardinale. Inoltre il papa colpì d’interdetto (è una punizione ecclesiastica che ha l’effetto di impedire l’accesso a tutte o a gran parte delle sacre funzioni della Chiesa in un luogo particolare) la città di Roma. Adriano IV promise di revocare la decisione se Arnaldo fosse stato esiliato dalla città. A questo punto i cittadini si schierarono contro il monaco bresciano che si vide costretto a scappare verso il Nord Italia. I romani fecero festa, perché il Papa sciolse l’interdetto e celebrò la Pasqua in Laterano.
Subito dopo Adriano IV si ritirò a Viterbo poiché non si era ancora fatto vivo il Barbarossa. Arnaldo, nel frattempo, fu catturato nei pressi di San Quirico d’Orcia: l’ambasceria dei cardinali, che si era recata ad incontrare il Barbarossa, ne ottenne la consegna come segno di buona volontà e di alleanza. Intorno al giugno del 1155 Arnaldo fu condannato dal tribunale ecclesiastico all’impiccagione, ed il suo corpo fu arso al rogo mentre le ceneri furono sparse nel Tevere per impedire che i seguaci ne recuperassero i resti mortali.
Fabio Casalini