Parco Nazionale di Yellowstone: sospeso tra realtà e fantasia

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Il Parco Nazionale di Yellowstone è quell’incredibile parte del territorio americano, più grande dell’Umbria. Le tribù native americane che vi si sono spinte (prevalentemente Blackfeet, Crow e Shoshone ma almeno 26 diverse tribù vengono oggi associate all’area del Parco di Yellowstone) lo hanno fatto, in genere, mantenendo sempre una certa sacra soggezione verso quei paesaggi così strani ed anomali....
0b455-foto_n.1 Sergio Amendolia
Quando, nel 1869, Charles W. Cook tornando da un’esplorazione di quello che sarebbe diventato il primo Parco Nazionale del Pianeta, presentò un’accurata descrizione delle meraviglie che aveva incontrato per la pubblicazione sulla rivista scientifica “Lippincott’s Magazine of Literature, Science and Education” di Filadelfia, ricevette dalla redazione un cortese rifiuto con la risposta: “Grazie, ma noi non stampiamo racconti fantastici”.
Il Parco Nazionale di Yellowstone è quell’incredibile parte del territorio americano, più grande dell’Umbria, incastonata nel bel mezzo delle Montagne Rocciose e compresa nella parte nord-occidentale dello Stato del Wyoming, al confine con Montana e Idaho, coperta da sconfinate pianure erbose e ampie foreste attraversate dallo Yellowstone River, il più importante affluente dell’alto corso del fiume Missouri. Tutta l’area rappresenta il nucleo centrale del Greater Yellowstone Ecosystem, uno dei più grandi ecosistemi intatti della zona temperata rimasto sulla Terra, oltre ad essere il più antico Parco Nazionale terrestre (fondato nel 1872 durante la presidenza di Ulysses S. Grant) e la più grande Riserva Naturale degli Stati Uniti, patrimonio dell’UNESCO. Il Parco, visitato annualmente da oltre 4 milioni di persone provenienti da tutto il mondo, vanta dei numeri da capogiro: oltre 300 geyser e più di 10.000 sorgenti calde (200 °C) connesse ad una profondità di 14.000 metri con il più grande “super vulcano” del Pianeta (90 per 55 km circa).

Il geyser più famoso, l’Old Faithful (Vecchio Fedele, per la sua regolarità e frequenza nelle emissioni) arriva a sparare getti d’acqua bollente alti tra i 30 e i 55 metri con un volume d’acqua variabile tra 14.000 e 32.000 litri. Lo Steamboat Geyser (il più alto attualmente attivo nel mondo) arriva addirittura a 91 metri di altezza. Ma vi sono altri geyser con caratteristiche uniche a Yellowstone, come per esempio il Giant Geyser che erutta quasi quattro milioni di litri d’acqua oppure il Great Fountain Geyser che spara acqua bollente in direzione perfettamente verticale sopra una pozza piatta. L’acqua fuoriuscita dalle migliaia di sorgenti calde è ricca di minerali a base di calcio, magnesio e silicati che creano, nei terreni attorno, coni e terrazze dai colori variopinti. L’esempio più famoso è quello del Mammoth Hot Springs dove sono sorti dei cumuli di deposito minerale che toccano addirittura i 90 metri. Esistono anche molte formazioni rocciose bagnate da acque sorgive che assumono connotazioni di veri e propri vulcani di fango. Lo Yellowstone River scorre da nord, dal Montana, scavando un canyon di 32 chilometri di lunghezza con pareti scoscese e due spettacolari cascate, per poi gettarsi nel cuore del parco, costituito dall’enorme caldera del super vulcano, lo Yellowstone Lake, il più grande lago di montagna del Nord America, posto ad un’altitudine di 2.357 metri sul livello del mare.

In tale contesto ecologico, che è stato meno soggetto ad alterazioni umane rispetto ad altri in tutto il mondo, vivono 67 tipi diversi di mammiferi, tra i quali diverse specie a rischio estinzione (sono circa 800 gli orsi grizzly, almeno 13 i branchi di lupi e 5.000 i capi di bisonte americano) oltre 300 specie di uccelli (numerose le aquile, i corvi, i cigni, i falchi pescatori, gli aironi e i pellicani) circa 25 varietà di pesci, rettili e anfibi, un’innumerevole diversità di flora, bacche, muschi e funghi di varie specie (Yellowstone ospita più di 1.350 specie di piante vascolari, di cui 218 sono non-native) in ambienti particolari formati da foreste, steppe, zone umide e idrotermali. Ogni anno circa 200 ricercatori scientifici sono autorizzati a utilizzare i siti di studio all’interno nel Parco mentre molti altri, provenienti da 30 Stati Americani e 8 Paesi stranieri tra i quali l’Italia, vi conducono ricerche per monitorare le importanti variazioni climatiche dell’ecosistema, nonché la continua e mutevole presenza di microrganismi, batteri, virus e ogni altra forma di vita in grado di sopravvivere e svilupparsi in condizioni vulcaniche e idrotermali estreme. Tutto ciò rende il parco di Yellowstone non solo una riserva naturale inestimabile, ma anche un patrimonio di informazioni preziose per l’umanità intera. La natura ancora oggi è padrona a Yellowstone, così come lo è stata per millenni. Ma mentre oggi l’uomo combatte contro sé stesso per riuscire a preservarla intatta, per secoli l’intera area è stata vista con sospetto e timore dalle comunità umane che, sin dall’era glaciale, vi si sono avventurate unicamente per cacciare il cibo, raccogliere piante, estrarre ossidiana, anche usando le acque termali per scopi religiosi e medicinali, ma mai per viverci in maniera stanziale.
Le tribù native americane che vi si sono spinte (prevalentemente Blackfeet, Crow e Shoshone ma almeno 26 diverse tribù vengono oggi associate all’area del Parco di Yellowstone) lo hanno fatto, in genere, mantenendo sempre una certa sacra soggezione verso quei paesaggi così strani ed anomali. Gli uomini rossi generalmente evitavano Yellowstone, ad eccezione di un clan famigliare di pastori, una piccola banda di Shoshone, che risulta abitasse in una valle tra quelle montagne (Lamar Valley) il cui accesso era possibile esclusivamente attraverso antichi sentieri indiani. Quando, nel 1834-1835, il Trapper Osborne Russell giunse in quell’angolo di Paradiso e scoprì la presenza di queste famiglie isolate, le paragonò ad Adamo e Eva nell’Eden. In realtà, già dalla fine del 1700 i commercianti di pellicce francesi, in viaggio lungo gli affluenti del fiume Missouri, vennero a conoscenza di quel mondo nascosto grazie alle informazioni ricevute dalle comunità indiane incontrate nel tragitto con le quali commerciavano. Ma le notizie restarono vaghe ed isolate ancora per molto tempo, neanche la spedizione esplorativa di Lewis e Clark, inviata ad Ovest dal Presidente Jefferson (1804-1806) si addentrò nell’area, preferendo proseguire oltre l’Idaho in cerca di uno sbocco sul Pacifico. William Clark, nel 1809, nell’ambito dei suoi resoconti redatti al termine della spedizione, in ordine a quella parte di montagne rocciose, scrisse:
“… Alla testa di questo fiume i nativi raccontano che spesso c’è un forte rumore, come il tuono che fa tremare la terra, affermano che raramente vanno lì perché i loro figli non riescono a dormire … e credono che quelle terre siano possedute da spiriti contrari al fatto che gli uomini possano sostare vicino a loro…”.

Al ritorno dalla spedizione del 1806, Clark acquisì e catalogò per anni tutte le segnalazioni che, di volta in volta, gli venivano fornite da commercianti di pellicce che si erano spinti in quei luoghi misteriosi. Uno di questi era John Colter, un ex membro della spedizione “Lewis e Clark” che rimase sulle montagne, spingendosi in un’avventura solitaria attraverso un epico viaggio invernale nel cuore della regione di Yellowstone. Colter giunse fin sulle sponde del Lago Jackson e, dopo aver attraversato il Continental Divide, esplorò la valle di Jackson Hole posta alla base del Teton Range. Probabilmente arrivo anche fino al Lago Yellowstone, nei pressi del quale può avere assistito all’eruzione di geyser e ad altre manifestazioni geotermiche. Egli non solo percorse centinaia di chilometri senza guida, in pieno inverno e con temperature di -34 °C, ma dovette anche veder ridicolizzare i suoi resoconti, poiché pochi furono coloro che gli credettero a proposito di spruzzi bollenti e pozze d’acqua fumante. Sostanzialmente, durante tutta la maggior parte del diciannovesimo secolo, Yellowstone esistette nella mente pubblica occidentale come un racconto incantato e leggendario, i cui segreti restavano ben protetti non solo dalle aspre montagne che lo circondavano ma anche dall’incredulità popolare. Esploratori, cacciatori e cercatori d’oro tendevano a scavalcare l’area che gli indiani chiamavano “la cima del mondo”. I ricercatori hanno spesso sostenuto che i primi nomi assegnati a certe caratteristiche di Yellowstone: Hell Roaring Mountain (montagna infernale che ruggisce), Devil’s Cauldron (calderone del diavolo) e simili, fossero un tributo speciale agli aspetti infernali del paesaggio, anche se la nomenclatura satanica era più che compensata, già nell’800, dalla raffigurazione di geyser e sorgenti termali come “templi”, “santuari” e “luoghi sacri”.

Dopo le frammentarie e fantastiche notizie portate ad Est da William Clark e da John Colter, altre spedizioni provarono a rivelare i segreti di Yellowstone, tra le quali quella guidata, nel 1860, dal 39enne Capitano William F. Raynolds, ingegnere militare esperto in topografia, incaricato di esplorare un territorio vasto “più del doppio della Gran Bretagna” per accertare “… per quanto possibile tutto ciò che riguarda … gli indiani che abitano quei territori, le sue risorse minerarie … la navigabilità dei suoi corsi d’acqua, le sue caratteristiche topografiche e ogni ostacolo che queste ultime possano presentare alla costruzione di ferrovie o strade comuni …”. Il Capitano Rynolds, nonostante le disavventure e le sofferenze della spedizione (che dovette fare i conti anche con diserzioni e tentativi di ammutinamento) si rivelò all’altezza delle aspettative, acquisendo importanti mappature del territorio, poi confermate ed ampliate in quegli anni da altre importanti esplorazioni (Folson-Cook-Peterson del 1869, Washburn-Langford-Doane del 1870, Hayden e Barlow del 1871). Il Presidente Grant, continuamente spinto e sollecitato da interessi scientifici e naturalistici, si convinse quindi dell’importanza unica e delle immense potenzialità che quella parte nascosta delle Montagne Rocciose rappresentasse per gli Stati Uniti, promuovendo un disegno di legge che nel 1871 mutuava quanto già legiferato 7 anni prima per la Yosemite Valley (la Yosemite Act aveva infatti escluso la valle dagli insediamenti privati affidandone il dominio pubblico allo Stato della California). Ma le meraviglie di Yellowstone – mostrate attraverso le fotografie di Jackson, i dipinti di Moran e gli schizzi di Elliot – catturarono a tal punto l’immaginazione del Congresso da far ritenere necessario istituire, nel 1872, un vero e proprio Parco Nazionale, che beneficiasse di una legislazione ancora più restrittiva. Il 1 ° marzo dello stesso anno, il presidente Ulysses S. Grant firmò la legge sulla protezione del parco Nazionale di Yellowstone.

Ovviamente i primi visitatori di quelle zone selvagge dovevano essere necessariamente più esploratori e avventurieri piuttosto che turisti. Gli Stati Uniti infatti erano ancora in guerra con le tribù indiane e, per quanto il Governo si sforzasse di rassicurare le persone desiderose di addentrarsi a visitare quelle terre, il Parco di Yellowstone restava una zona pericolosa e difficilmente gestibile, anche per la presenza di bracconieri e taglialegna non autorizzati. L’estate del 1877 portò a Yellowstone la tragedia dei Nez Percé, allorquando una tribù di 800 uomini, donne e bambini, con al seguito quasi 2.000 cavalli, lasciò la propria terra (odierni Oregon e Idaho) perseguitati dall’Esercito degli Stati Uniti, penetrando nell’area del Parco. La loro guida “Chief Joseph” si era rifiutato di subire la deportazione della propria gente in una riserva, lontana dalla terra ancestrale, capeggiando l’esodo della propria tribù in direzione del Canada. Nell’area di Big Hole, nel Montana, molti guerrieri, donne e bambini Nez Percè furono uccisi in una battaglia contro le unità di cavalleggeri che li tallonavano per trasferirli nei luoghi a loro assegnati dal Governo. I sopravvissuti, nella fuga, penetrarono nel Parco Nazionale il 23 agosto incontrando un gruppo di 25 visitatori bianchi. Ne nacque un violento scontro che provocò la morte di 2 turisti, la presa in ostaggio degli altri, trattenuti per qualche giorno dai guerrieri durante la loro fuga in direzione delle Absaroka Mountains. Rilasciati gli ostaggi, la tribù di Capo Giuseppe fu raggiunta giorni dopo e accerchiata nel Montana, nei pressi delle Bear Mountains, a sole 40 miglia dal confine canadese. Ne seguirono feroci combattimenti tra gli Squadroni dell’Esercito e gli assediati, i quali dopo una strenua difesa non poterono fare altro che arrendersi il 5 ottobre 1877, per essere confinati in un’arida terra in Oklahoma. Il doloroso esodo dei Nez Percè (1.170 miglia) è rimasto nella memoria collettiva fino ad oggi e, nel 1986, è stato tracciato un percorso storico che ne ricorda tristemente le tappe, anche attraverso il Parco di Yellowstone dove, ancora oggi, i discendenti della gente di Capo Giuseppe si riuniscono in cerimonie commemorative.

Da quei terribili giorni ci vollero altri 9 anni perché l’area del Parco diventasse un luogo sicuro, il 20 agosto 1886 l’Esercito entrò in forze nella Valle dello Yellowstone prendendo il comando di tutta l’area, sorvegliando e pattugliando le principali attrazioni naturalistiche da chiunque non fosse autorizzato ad accedervi. Naturalisti come George Bird Grinnell e giornalisti come Emerson Hough, contribuirono non poco, negli anni successivi, a migliorare la difesa dell’ambiente e della fauna di Yellowstone, fino all’approvazione del “National Park Service Organic Act (1916) che prevedeva l’istituzione di un corpo di Rangers specificamente dedicato al controllo del Parco e dei suoi flussi turistici. Dopo molte avventure, il primo Parco Nazionale al mondo, così come lo conosciamo oggi, era finalmente nato.

“… ho guardato nell’abisso … i lati di quel dirupo erano una selvaggia macchia di colore: cremisi, smeraldo, cobalto, ocra, ambra, miele spruzzato di vino di porto, vermiglio, limone e grigio argento … non cadevano a picco, ma erano scolpiti dal tempo, dall’acqua, dall’aria in mostruosi volti di capi, di re … uomini e donne dei tempi antichi … il fiume Yellowstone scorreva come una striscia di giada ..”. (Note americane, di Rudyard Kipling).
 
Materiale informativo dell’Ente Parco e Fotografie di proprietà dell’autore
 

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