Origo Gentis Langobardorum
Tra le varie fonti disponibili, la più vicina a quella che può essere stata la tradizione orale è questo breve testo del VII secolo. Secondo ciò che vi è scritto, la sede ancestrale dei Longobardi si trova nella terra di Scadanan, cioè in Scandinavia. Anticamente i Danesi occupavano la costa sud dell’attuale Svezia, mentre i Goti erano stanziati nel centro del paese. A nord c’erano Svevi ed Eruli. Dove fossero stanziati di preciso i Longobardi non si sa, ma doveva trattarsi di una zona interna, non sulla costa: essi sono considerati “Vichinghi di terra” proprio per la tendenza a stanziarsi lontano dal mare, come accadrà del resto anche in Italia. Secondo alcuni storici la sede originaria dei Longobardi si trovava invece verso la foce del fiume Elba, e le testimonianze archeologiche tendono a confermare che essi per un certo tempo abbiano dimorato lì. Ma ovunque fosse questo paese sconosciuto, da lì prende avvio la migrazione durata cinque secoli o più, che finirà per portare i Longobardi nel nostro paese.
Il mito delle origini
«Nelle terre del nord c’è un’isola di nome Scadanan, dove abitano molte genti. Tra di esse c’è un piccolo popolo, quello dei Winnili. Con loro c’era una donna di nome Gambara che aveva due figli, chiamati Ybor e Agio, i quali insieme con la madre regnavano sui Winnili. I duchi dei Wandali, che si chiamavano Ambri e Assi, mossero contro i Winnili con il loro esercito e dissero: o ci pagate un tributo, o vi dovete preparare alla battaglia e combattere con noi.» Possiamo immaginare la cerchia di ascoltatori che si raduna attorno al fuoco, dove un “uomo della memoria” racconta questa storia accompagnandola con l’arpa. Il loro orgoglio nel sentire la fiera risposta della donna pur non essendo chiamata regina, di fatto regnava: «Meglio prepararci alla battaglia piuttosto che pagare tributo ai Vandali». Da questo punto in poi, il racconto della Origo Gentis Langobardorum passa sul piano spirituale. I Wandali chiedono al dio Godan (Odino) di dare loro la vittoria sui Winnili. Risposta: «Darò la vittoria ai primi che vedrò domani, al sorgere del sole». Gambara invece si rivolge a Frea, moglie di Godan, la quale dà il seguente consiglio: «Al sorgere del sole vengano i Winnili con le loro donne. Ed esse sciolgano i capelli attorno al volto, in modo che sembrino barbe.» Al sorgere del sole Frea gira il letto di Godan verso oriente e lo sveglia. Il dio chiede stupito: «Chi sono questi longibarbi?» Frea risponde: «Così come hai dato loro nome, da’ loro la vittoria.» Da allora i Winnili sono chiamati Langbardar, popolo dalla lunga barba. Che poi, se si guarda alle fonti iconografiche, sembra non abbiano mai portato particolarmente lunga.
I Longobardi di Procopio
La migrazione dalle terre del nord fino all’Italia non è solo un percorso geografico di migliaia di chilometri, ma la formazione di un popolo in oltre cinque secoli di storia. Purtroppo queste vicende furono tramandate solo dalla tradizione orale, che è perduta. Sappiamo che si spostarono verso est e verso sud, combattendo contro numerose genti e tribù leggendarie, e che forse furono sconfitti dagli Unni, pur senza essere fagocitati nella loro confederazione: ma vi sono ben poche certezze. La sola fonte che fornisce informazioni chiare sui Longobardi prima del loro ingresso in Italia è la Guerra Gotica scritta da Procopio, consigliere del generale bizantino Belisario. Si tratta più che altro di accenni, sparsi qua e là in un testo che descrive con straordinaria efficacia le vicende delle quali egli fu testimone. Il quadro che ne emerge, tuttavia, non è quello di un popolo di selvaggi. Il periodo della narrazione di Procopio va dal 538 al 552 ma si accenna anche a fatti precedenti, svoltisi verso la fine del V secolo. Nelle vicende belliche dell’epoca, i Longobardi combattono di volta in volta: 1) da soli contro gli Eruli; 2) con il sostegno dei Romani (cioè i Bizantini) contro i Gepidi; 3) con i Romani contro i nemici di questi ultimi, vale a dire i Goti. In tutte queste alleanze e battaglie, mai una volta vi sono contrapposizioni tra i Longobardi e il potere romano: si tratta insomma di alleati dell’impero. Tanto fedeli da respingere la richiesta di aiuto che a un certo punto rivolge loro Vitige, re dei Goti: non possiamo combattere per voi, è la risposta del re dei Longobardi, i Romani sono «nostri amici e alleati». In premio per la loro fedeltà, l’imperatore Giustiniano assegna ai Longobardi la Pannonia, che corrisponde a parte dell’attuale Ungheria. Vi resteranno per quarant’anni prima di invadere l’Italia. Da notare che in quel periodo, mentre gli Eruli sono ancora pagani e i Gepidi ariani, i Longobardi sostengono che, in materia di religione, «la pensano come i Romani»: si dicono cattolici, insomma. Solo al momento di invadere l’Italia re Albwin si proclama ariano, in contrapposizione ai Bizantini.
Paolo Diacono
La principale fonte storica sui Longobardi è la Historia Langobardorum di Paolo Diacono, scritta attorno al 780 d.C. Il regno longobardo è ormai finito: il re dei Franchi, in seguito chiamato Carlo Magno, ha risposto all’appello del Papa e i suoi eserciti l’hanno cancellato dalla faccia della terra. Paolo è tra gli esponenti di quella che viene chiamata “rinascenza carolingia”: un gruppo di letterati (altro esponente famoso è Alcuino da York) che si raccoglie nella Schola Palatina fondata da Carlo Magno. Forse la Historia viene scritta su richiesta dello stesso Carlo, che desidera tramandare la memoria storica dei popoli da lui assoggettati. In quest’opera monumentale, Paolo raccoglie cose tratte da fonti precedenti: l’Origo e una piccola Historia commissionata dalla regina Teodolinda al monaco Secondo di Non nel VI secolo. Di certo attinge anche alla tradizione orale, che a quel tempo dev’essere ben viva. L’autore proviene infatti da una famiglia longobarda di antiche origini, stanziata nella città di Cividale. Per quanto ci trasmetta informazioni preziose, Paolo scrive condizionato da due fattori: la necessità di compiacere Carlo Magno, e il fatto di essere monaco. Il mito delle origini viene da lui liquidato con la definizione di ridiculae fabulae. Quante altre cose avrà taciuto, o raccontato a modo suo? Il mio romanzo storico “L’uomo dei corvi” è un tentativo di immaginare come questa fonte sia stata scritta. A un certo punto Paolo, non potendovi inserire informazioni che suonerebbero spiacevoli alle orecchie di Carlo Magno, le raccoglie in una Historia Segreta, come aveva fatto prima di lui Procopio. Chissà che non l’abbia scritta davvero? Molte cose sono andate perdute.
E poi?
Dopo il crollo del loro regno, i Longobardi sono fagocitati nel grande impero carolingio. Gli incarichi più prestigiosi passano nelle mani dei Franchi, ma tra la nobiltà minore e i secundi milites, molti sono longobardi. Per un tempo lunghissimo, l’Italia centro-settentrionale continua a essere chiamata “Langobardia”. Nella frammentazione che fa seguito al tracollo dell’impero carolingio nel IX secolo, le istanze di libertà tornano a farsi sentire. Arduino d’Ivrea, quando nel 1004 si proclama re, è incoronato con la Corona Ferrea dei re longobardi: e i cronisti di quel periodo, nel descrivere gli scontri tra l’esercito di Ottone III e i seguaci di Arduino, definiscono senz’altro questi ultimi “Longobardi”. Ma la sopravvivenza più importante sarà nel sud, dove la “Langobardia Minor” che fa capo al ducato di Benevento resterà autonoma ancora per tre secoli, fino alla conquista normanna.
La “questione longobarda”
La disputa sulle presunte colpe o i meriti di questi “barbari” ha fatto scorrere nei secoli fiumi d’inchiostro. Ogni epoca e ogni osservatore propongono dei Longobardi una visione condizionata dalle vicende storiche di quel periodo. Il caso più famoso è quello del Manzoni, che nel suo Adelchi proietta sui Longobardi i sentimenti della lotta risorgimentale: li accusa di essere oppressori, di avere rotto l’unità del nostro paese assoggettandone il popolo. Una visione che purtroppo ricorre anche oggi, soprattutto nei testi di impronta cattolica. Diametralmente opposta è la visione di Machiavelli, che nel 1513-19 dedica a essi una riflessione nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio. Egli critica la funesta iniziativa papale di chiamare i Franchi in Italia, vedendo in essa la causa dei mali devastanti della sua epoca. I nazisti dedicano grande attenzione allo studio dell’Alto Medioevo italiano, una tessera importante nel loro “pangermanesimo”. Certo è che fino a epoche recenti, questo genere di studi era appannaggio di specialisti tedeschi. Solo negli anni ’60 ha inizio nel nostro paese un’indagine archeologica seria sugli insediamenti altomedievali. In questo senso svolgono un ruolo trainante le ricerche di G. P. Bognetti su Castelseprio, e il prestigioso Centro Italiano Studi Alto Medioevo. Ora che i ritrovamenti archeologici si moltiplicano e le mostre dedicate ai Longobardi attirano migliaia di visitatori, possiamo solo augurarci che la “questione longobarda” sia per chiudersi: e che, al di là di ogni ideologia, possiamo finalmente saperne di più su questi scomodi, meravigliosi antenati.