I misteri di Alleghe

Tempo di lettura: 17 minuti

Questa storia vera è ambientata ad Alleghe, nel cuore di una vallata delle Dolomiti bellunesi in riva all’omonimo lago. Poche case, qualche esercizio commerciale e alcuni alberghi per accogliere i turisti durante la stagione: tutti si conoscono come normalmente accade nei piccoli paesi....
Se questo caso fosse un romanzo, non sarebbe difficile accostarlo alla penna di Georges Simenon, noto al grande pubblico per avere dato vita al commissario di polizia Jules Maigret.
Questa storia vera è ambientata ad Alleghe, nel cuore di una vallata delle Dolomiti bellunesi in riva all’omonimo lago. Poche case, qualche esercizio commerciale e alcuni alberghi per accogliere i turisti durante la stagione: tutti si conoscono come normalmente accade nei piccoli paesi.
Prologo
Nella piazza principale di Alleghe esisteva l’Albergo Centrale, di proprietà della famiglia Da Tos: è attorno a questo edificio che ruotano i personaggi della nostra storia. Fiore Da Tos, il patriarca della famiglia, ha sposato per mero interesse la proprietaria dell’albergo Elvira Riva, più vecchia di lui di 11 anni. La coppia ha due figli: Adelinala maggiore che lavora nell’albergo, sposata con Pietro De Biasio, e il figlio minore Aldoche gestisce la macelleria sull’altro lato della piazza.
Tutto ha inizio l’ 8 maggio 1933. Emma De Ventura, la bella cameriera sui vent’anni dell’Albergo Centrale, è seduta nella sua stanza al terzo piano e sta scrivendo una lettera al suo fidanzato. E’ una lettera d’amore scritta con parole semplici di una giovane ragazza del tempo, ma a un certo punto la lettera assume un tono diverso, preoccupato. “ ….. Mi è rimasto espressa il caso che mi è successo ieri e a te solo confidarmi non posso proprio nascondere la verità. Mentre guardavo dalla finestra vidi arrivare una macchina, si fermò un momento ed io conobbi subito che si trattava di …..” qui la lettera si ferma, Emma probabilmente rimette tutto nel cassetto per continuare successivamente: chi aveva visto Emma? Cosa sapeva di così importante da non riuscire più a resistere al silenzio desiderando di parlarne con qualcuno?
Sono le 11:30 del 9 maggio 1933. La tranquillità del luogo viene sconvolta dalle urla di Adelina che, precipitandosi in strada alquanto turbata, chiede aiuto per Emma che si è tagliata la gola con un rasoio, nella camera numero 6. Avventori, curiosi e clienti sono ancora sconvolti quando arrivano i carabinieri, il medico condotto e le autorità del luogo incluso il segretario politico del Fascio Raniero Massi. L’ipotesi che prende subito corpo è quella del suicidio: il volto di Emma è macchiato di tintura di iodio: prima una sorsata di veleno e poi, per terminare la propria agonia, un unico, profondo fendente. Tutto come da manuale se non fosse che più di una persona fa notare come la bottiglietta si trovi appoggiata su una mensola mentre il rasoio è chiuso in un armadio ad almeno sei passi dalla vittima supina sul pavimento in una pozza di sangue. Perché poi uccidersi? L’ipotesi del suicidio per amore vacilla, e non poco. Emma è felicemente fidanzata, appena prima del fatto molti l’hanno sentita canticchiare mentre rifaceva i letti ai piani e qualcuno ha addirittura risposto a un saluto che, timidamente, era solita mandare da uno dei balconi dell’albergo. Nonostante le evidenze nessuno sembrerebbe interessato ad approfondire, le autorità archiviano frettolosamente il caso come suicidio.
Sono le 8:00 della mattina del 4 dicembre 1933. Il freddo pungente di quei giorni ha ghiacciato le acque del lago così due ragazzini decidono di approfittarne per andare a pattinare. Non fanno in tempo ad avvicinarsi all’imbarcadero che uno dei due nota qualcosa che sporge in una parte del lago risparmiata dal gelo. Incuriosito, il bambino si avvicina e gli basta d’uno sguardo per accorgersi che quello che ha visto è il cadavere di donna. Una corsa a perdifiato per chiamare i soccorsi ma ormai è tardi. La gente si accalca sul posto, c’è anche Pietro De Biasio, marito di Adelina Da Tos, che da lontano senza un attimo di esitazione esclama: è Carolina. In effetti si tratta di Carolina Finazzer, novella sposa di Aldo Da Tos, figlio minore dei proprietari dell’Albergo Centrale. I due, freschi di nozze, il giorno precedente hanno interrotto inaspettatamente il viaggio per richiesta di Carolina che, rientrata visibilmente turbata, doveva incontrare sua madre da lì a poche ore.
Si avanza subito l’ipotesi che Carolina fosse depressa, in più soffre di sonnambulismo. Qualcuno dice addirittura di aver visto una donna la sera prima in vestaglia aggirarsi nei pressi del molo. Suicidio.
Anche questa volta l’ipotesi non convince, soprattutto i famigliari, che fanno notare evidenti incongruenze come il ventre trovato privo d’acqua al suo interno, i denti stretti e gli evidenti lividi sul collo della ragazza. Anche il medico legale li ha notati quei segni ma minimizza dicendo che sono macchie dovute a un inizio di putrefazione. Molto strano, ribadiscono in molti, visto che Carolina è stata ritrovata solo poche ore dopo la sua morte e per di più immersa in acque gelide. Ma anche questa volta nessuno sembra aver voglia di andare oltre le apparenze. Carolina Finazzer, coniugata Da Tos, s’è uccisa. Caso chiuso.
Questi due delitti furono in più occasioni accostati da molta gente del paese, seppur con molta cautela, ad altrettante morti piuttosto misteriose: Paolino Da Rivadetto il Gobbo, il calzolaio, e di Guido Gardenal, garzone del macello di Aldo Da Tos. Il Gobbo, che aveva la bottega proprio davanti al Centrale, si mormorava sapesse troppo e il garzone, sebbene morì sul letto, una volta era stato chiuso nel macello dei Da Tos dove un toro infuriato l’aveva investito ferendolo gravemente.
Il paese piano piano sembra ritornare alla normalità. Dall’ultimo fatto passano giorni, mesi, anni: ne passano ben tredici fino a che succede nuovamente qualcosa.
È il 18 Novembre 1946 è da poco passata la mezzanotte. Luigi Del Monego e Luigia de Toni, Gigio e la Balena come li chiamano “affettuosamente” nel paese, hanno appena chiuso le porte del circolo ENAL che gestiscono e si apprestano a ritornare a casa nei pressi del Vicolo La Voi a pochi passi dal lago. Gigio si attarda all’orinatoio mentre la moglie è poco più avanti. Improvvisamente due spari ravvicinati rompono il silenzio della valle: i due coniugi vengono freddati a poca distanza l’uno dall’altro. Nessuno nel paese si preoccupa all’udire degli spari e nemmeno si prova ad affacciare perché la guerra è terminata da poco e molti hanno ancora armi nelle case che talvolta usano per festeggiare: quei colpi nella notte non destano pertanto particolari sospetti.
Luigi e Luigia Del Monego vengono così ritrovati solo la mattina successiva precisamente alle ore 6:00 da Angelo De Toffol, fruttivendolo e cognato della Balena che stava recandosi in bottega. Anche questo all’apparenza è un caso semplice visto che dalla borsetta manca l’incasso della serata: rapina a carico d’ignoti le conclusioni. Vengono anche fermate un paio di persone tali Fontanive e Verocai su “segnalazione” di Raniero Massi che è sempre risultato presente nelle indagini. I due sospettati vengono però presto rilasciati per mancanza di indizi sufficienti per convalidarne il fermo. Tra l’altro, come per gli altri casi, c’è sempre qualcosa che non torna: gli spari sono stati pressoché simultanei ma i cadaveri si trovano piuttosto distanti l’uno dall’altro, suggerendo un agguato piuttosto che una rapina. “E’ una rapina” si affrettano ad affermare gli inquirenti “a carico di ignoti ma pur sempre di rapina si tratta”. Altro caso chiuso.
Due suicidi e altrettanti omicidi allo scopo di rapina: ecco i misteri di Alleghe che vengono ostinatamente sussurrati da qualche persona del paese ma rimangono soffocati per tanto tempo nelle bocche della maggior parte degli abitanti che sembra sappiano ma sono spaventati a raccontare. Tutto rimane avvolto nel silenzio fino a quando Sergio Saviane, giovane aspirante giornalista che aveva passato molta della sua gioventù ad Alleghe, legge sul giornale dell’assassinio degli amici Gigio e la Balena e decide di saperne di più.
La storia
Quattro sono gli episodi che spingono Saviane a scavare nei misteri di Alleghe e che aiuteranno a districare la complicata matassa e arrivare alla risoluzione del caso.
Il primo una strana storia di rumori notturni e delle campane del vecchio paese sepolto dalla frana del monte Spitz che si diceva suonassero di notte. “Se state attenti, par di sentir qualche rintocco …. Viene da sott’acqua” mormorava la gente: “guardate, nei giorni di bel tempo, quando il lago è limpido ….. sotto …. molto sotto ….. si vede la punta del vecchio campanile … “. Tutte leggende che però, talvolta, sembravano brevi allusioni a fatti accaduti nel passato.
Il secondo è un fatto legato ai soggiorni estivi di Saviane ad Alleghe. Una sera passando davanti all’Albergo Centrale con l’amico Luigi Del Monego che stava riaccompagnando a casa, indicando le finestre dell’albergo gli disse: “questi non hanno la coscienza pulita, …”. Saviane cercò di sapere qualcosa di più ma Gigio rimase in silenzio fino alla porta di casa dove, come di consueto faceva con chi lo portava a casa a notte alta, lo salutò con un bacio.
Il terzo è la dichiarazione che fece il Professor Erler, proprietario della “Villa degli Spiriti” a pochi passi dal lago, che trascorreva l’intera villeggiatura rinchiuso in casa “per non incontrarsi ogni momento con gli assassini dei Del Monego sulla piazza del paese” come ebbe a dire più volte.
L’ultimo, forse il più importante, è la misteriosa lettera anonima che ricevette Eugenio Finazzer, fratello di Carolina sposa di Aldo Da Tos, dove gli veniva annunciato che la scrivente – una donna – conosceva il nome dell’assassino di Carolina ma che l’avrebbe rivelato solo in punto di morte perché aveva timore di incorrere nella vendetta.
Alla luce di quanto sopra Saviane si fece convinto che i delitti fossero tutti collegati e compiuti da una stessa mano: ma quale? Fu proprio l’amico barbiere, Bepi Checchini, che gli disse chiaramente “qui molti sanno …. scrivi, racconta questa storia portala fuori …”. Così dopo un breve incontro con Ugo Indrio, l’allora direttore del Lavoro Illustrato, venne incaricato di fare un’inchiesta e scrivere un articolo mettendo in relazione le 4 morti classificandole come delitti insinuando che dietro quelle morti violente ci fosse un’unica mano ancora libera di colpire di nuovo.
Il 13 Aprile 1952 usci l’articolo dal titolo “La Montelepre del Nord” che ipotizzava l’esistenza di un filo che collegava le morti della cameriera del famoso albergo alleghese, Emma De Ventura, della cognata della titolare Carolina Finazzer e dei due coniugi gestori del bar con esplicito riferimento all’omertà degli abitanti del paese del sud legato al bandito Salvatore Giuliano.
Nel Dicembre dello stesso anno Saviane venne citato in giudizio per diffamazione, querelato dagli albergatori del Centrale cioè Fiore e Aldo Da Tos che, nonostante non apparissero in alcun modo nell’articolo si sentirono stranamente tirati in causa. Il processo costò a Saviane 8 mesi di carcere con la condizionale, il pagamento delle spese processuali e 700.000 Lire come risarcimento ai Da Tos per danni morali.
Dopo questo duro colpo sembra che su Alleghe fosse destinato a richiudersi nuovamente il sipario lasciando che il tempo dissipasse ogni ombra sui delitti. Ma questa volta no, perché l’articolo di Saviane attira l’attenzione di un giovane  brigadiere dei carabinieri, Ezio Cesca, che assieme al suo comandante il maresciallo Domenico Uda della stazione di Agordo, riaprono le indagini seppur sotto copertura.
Il Brigadiere Cesca è un giovane brillante, con molto intuito e particolarmente intelligente ma soprattutto non è conosciuto in paese perché è appena stato trasferito: un ottima occasione per fingersi una persona qualunque senza destare sospetti. Cesca è un ostinato ma paziente investigatore le indagini procedono e il cerchio si stringe, tra l’altro, attorno a tale Giuseppe Gasperin ritenuto ancora un punto oscuro della vicenda.
Durante un colloquio con il suo superiore, in cui riporta le proprie impressioni e il parziale risultato delle indagini, Cesca riferisce che ha scoperto esserci ancora una persona indirettamente coinvolta nel delitto dei coniugi Del Monego: Corona Valt un’anziana signora che ha le finestre che affacciano proprio sul Vicolo La Voi la quale ha riferito a una parente e al parroco di aver visto tutto la notte del delitto dei Del Monego nel Novembre 46 senza però fare i nomi.
Cesca conosce la figlioccia di Corona Valt e chiede al Maresciallo Uda il permesso di corteggiare la giovane per arrivare, suo tramite, all’anziana donna. Uda in un atto di estremo coraggio assumendosi delle responsabilità a cui non era tenuto, visto che il regolamento dei carabinieri non lo prevedeva in alcun modo, acconsente. Cesca comincia il corteggiamento e tra i due nasce un sincero e profondo affetto, ma ben sapendo qual era il suo scopo il brigadiere si controlla per evitare di commettere errori nei confronti dell’innocente ragazza. Ben presto riesce ad entrare nelle grazie di Corona Valt che lo considera un buon compagno per sua nipote e riesce ad entrare così tanto in confidenza da risultare praticamente di famiglia.
Una sera, approfittando dell’assenza della giovane nipote e dopo aver provato diverse volte nei precedenti 6 mesi, riesce finalmente ad aprire un varco nella diffidenza dell’anziana zia che comincia a raccontare “ L’ho visto con questi occhi come se fosse ieri, è scappato proprio sotto qui, io ero dietro le persiane … “e fece il nome di Beppin Boa. Per un momento Cesca rimase stordito perché quel nome gli era completamente nuovo ma quando chiese delucidazioni Corona rispose “Si chiama Gasperin, abita nella casa qui sotto, a due passi …. L’ho visto scappare … “. A questo punto le tessere del mosaico cominciavano ad incastrarsi e il disegno a diventare più chiaro: i conti tornavano!
Quando Cesca provò a chiedere chi fossero gli altri due, Corona non volle dire più nulla se non che aveva visto uno con un cappellaccio scappare per i campi e che il Fontanive e il Verocai erano brava gente e non avevano nulla a che fare con il delitto e il nome dei complici avrebbe potuto chiederlo direttamente a Beppin Boa, così il brigadiere concentra le sue attenzioni su Gasperin.
Con estrema abilità lo avvicina, si procura un lavoro nello stesso cantiere, stringe amicizia e comincia a frequentarlo invitandolo spesso in osteria alla sera per bere insieme un bicchiere di vino e, in mezzo a molti discorsi “inutili”, infila astutamente dei riferimenti ai delitti di Alleghe: Cesca è convinto di avere davanti a se uno degli assassini dei Del Monego ma vuole avere le prove. L’occasione si presenta una sera quando il Gasperin ha bevuto un po’ più del solito, Cesca allora approfitta chiedendo se avesse mai sparato e poi rincara la dose domandando se avesse mai ucciso un uomo. Gasperin, pensando di aver di fronte un compagno particolarmente coraggioso, rivela di averlo fatto parecchi anni fa durante la guerra.
Era la prova che cercava, in accordo con il Maresciallo Uda il giorno successivo con una scusa fece convocare Gasperin alla caserma di Caprile per generiche “comunicazioni”. Non appena Beppin Boa si avvicina alla caserma Cesca si identifica e lo fa arrestare. Dopo un primo vano tentativo da parte di Gasperin di coprire i suoi complici, crolla e non solo fa i nomi delle due persone che insieme a lui avevano partecipato all’uccisione di Gigio e la Balena ma anche di chi sta dietro ai delitti di Alleghe.
Pochi giorni dopo le camionette dei carabinieri arrivano in paese agli ordini del maresciallo Uda e arrestano Pietro De Biasio e Aldo Da Tos. Adelina, ancora in libertà, viene messa sotto pressione da Cesca che quotidianamente la va a trovare in divisa per cercare di convincerla a parlare facendo leva sul fatto che il marito e il fratello stavano ormai raccontando tutti i fatti. Adelina resiste qualche mese ma a Settembre le prove contro di lei sono ormai schiaccianti e le manette scattano anche per l’ultima componente del “clan” Da Tos in quanto il patriarca Fiore e sua moglie Elvira sono ormai morti da tempo: l’accusa è quella di omicidio. Ma perché? Cos’è successo veramente?
Per saperlo dobbiamo tornare a quell’8 Maggio del 1933 quando Emma scrive quella lettera interrotta omettendo il nome di Giovanni Riva. Ma chi è costui? Quando Fiore Da Tos sposa Elvira Riva lei è già incinta di un altro uomo ma Fiore, interessato solamente al patrimonio della sua futura moglie, acconsente comunque al matrimonio. Quando viene il momento di partorire Elvira torna al suo paese, Mirano, a pochi chilometri da Venezia e affida il bambino a degli zii. Fiore fa finta di niente ma la presenza seppur lontana di Giovanni, il veneziano, come lo chiama per disprezzo proprio non gli va giù. Quando il figlio illegittimo, ormai maggiorenne, si presenta d’improvviso all’albergo a chieder conto della propria parte di eredità senza indugio, probabilmente nella cucina da dove vengono udite delle grida, Fiore aiutato da Aldo e Adelina uccidono il “bastardo”. Emma deve avere in qualche modo assistito a questo delitto o scoperto il cadavere inizialmente nascosto nelle cantine dell’albergo quindi andava anche lei eliminata. Voci di paese raccontano tra le altre cose anche di una mano di cadavere umano vista da due anziane signore, qualche giorno dopo il delitto, nel cesto della carne della macelleria di Aldo Da Tos che si sospetta aver tagliato a pezzi il cadavere di Giovanni potendo mascherare il sangue sul grembiule con quello delle bestie.
Il 9 Maggio Adelina si occupa di Emma sorprendendola alle spalle nella camera numero 6 dell’albergo Centrale: le chiude la bocca con un braccio e le taglia la gola poi, assieme agli altri, inscena un suicidio con tutta la semplicità e la sicurezza di chi si crede intoccabile protetto da amicizie potenti come quella di Raniero Massi. Il delitto si profila, in questo caso, anche a sfondo di gelosia e vendetta visto che il marito di Carolina, Pietro De Biasio, non lesinava complimenti alla bella cameriera anche – e soprattutto – in presenza alla moglie che, per quieto vivere, sopportava.
Aldo, considerato dalla famiglia non particolarmente sveglio, debole di carattere e probabilmente destabilizzato da quelle morti violente sta diventando un problema specie quando alza un po’ troppo il gomito. La famiglia teme che possa parlare quindi si adoperano per cercargli moglie nella speranza che la presenza di una donna possa tranquillizzare quel figlio problematico. Fiore con molta diplomazia convince i genitori di Carolina Finazzer a combinare il matrimonio e nonostante la giovane non sia convinta, avendo sentito insistenti voci di paese su quella strana famiglia, alla fine si lascia convincere e sposa Aldo. Durante il viaggio di nozze Aldo, costantemente tormentato da quei pensieri, crede di trovare in Carolina una valvola di sfogo tanto più che ormai la sente come di famiglia e una sera si lascia andare alle confidenze più intime delle malefatte della famiglia sperando di poter parzialmente trovare un appoggio e del sollievo.
Al contrario Carolina si spaventa e vuole tornare immediatamente a casa, arrivata ad Alleghe telefona alla madre e la implora di venirla a prendere il giorno dopo pianificando la fuga. La sera è, però, obbligata a passarla nell’albergo Centrale, e prova a simulare sicurezza: Aldo non è molto sveglio e non capisce mentre per Fiore e gli altri è tutto chiaro. Durante la cena Carolina si trova sola di fronte alla famiglia Da Tos, a loro basta uno scambio di sguardi per convincersi che lei sa e non starà zitta: così firma la sua condanna a morte. All’omicidio viene obbligato a partecipare anche Aldo: quando Carolina sale in camera sua la seguono in tre e, mentre Aldo e Adelina la tengono per le braccia e per le gambe, Pietro le mette le mani al collo e la uccide. Terminato anche questo delitto bisogna sbarazzarsi del corpo: è Aldo che lo dovrà fare visto che ha combinato il pasticcio deve assumersi la responsabilità di gettare il cadavere nel lago mentre ad Adelina viene ordinato di mettersi una vestaglia sopra i vestiti e inscenare una persona in sonnambula sulle rive del lago affinché testimoni possano vedere e riferire.
Aldo si carica il corpo di Carolina sulle spalle e comincia a percorrere la strada che porta al lago, ma accade un imprevisto. Ci sono 5 persone che rientrano alle proprie case dopo esser stati a ballare a una festa di paese dall’altra parte del lago. Arrivati ad Alleghe si salutano, le loro strade si separano: tre vanno da una parte mentre gli altri due entrano in paese in direzione Vicolo La Voi e scorgono, senza essere a loro volta visti, Aldo Da Tos che si dirige verso il lago con in spalla qualcosa di pensante, una massa scura che assomiglia a un corpo. Questi due fidanzati che vedono qualcosa da mettere in relazione con il corpo di Carolina l’indomani al ritrovamento del suo corpo nel lago sono Luigi e Luigia Del Monego. Dopo 13 anni dall’evento forse i Da Tos temono che la coppia voglia rompere il silenzio e rivelare quel particolare scomodo che metterebbe in pericolo tutta la famiglia.
Così Pietro De Biasio, Aldo Da Tos e Beppin Boa quella sera di Novembre del 1946 si danno appuntamento nel vicolo La Voi e tendono l’agguato a Gigio e la Balena freddandoli e inscenando la rapina.
Il processo si tiene nel Marzo del 1960: in un tempo record di 4 mesi e dopo 9 ore di camera di consiglio la corte d’Assise di Belluno condanna i fratelli Da Tos e Pietro De Biasio all’ergastolo e Beppin Boa a 30 anni. L’unico a salvarsi è il Cav. Raniero Massi nonostante il Pubblico Ministero gli dica apertamente che a suo parere egli è coinvolto nei fatti molto più di quello che afferma. Nel 1962 c’è il processo d’appello che conferma la sentenza e chiude definitivamente il caso, almeno sulla base di quanto sono riusciti a trovare, partendo da un articolo di uno scrittore, un coraggioso maresciallo e un ostinato brigadiere (scomparso il 27 agosto 2017, all’età di 88 anni).
Di tutto quanto riportato in questo scritto per chiudere definitivamente il cerchio, all’appello mancherebbe solamente una prova concreta sull’effettiva esistenza di Giovanni Riva, il figlio illegittimo dei Da Tos, di cui, nonostante le insistenti testimonianze di paese, non si è riuscito a trovare nemmeno un certificato di nascita.
Forse l’unico a sapere la verità è il lago che manterrà il segreto nel fondo delle sue acque, sotto …. molto sotto ….. e chissà se un giorno di bel tempo, quando il lago è limpido guardando verso la punta del vecchio campanile si possa sentire un ultimo rintocco che metta definitivamente la parola fine a questa triste storia di delitti.

BIBLIOGRAFIA

  • I misteri di Alleghe di Sergio Saviane (Edizione integrale 1966) – Ed. Mondadori
  • Epoca n. 411 del 17 Agosto 1958. Si ringrazia Leonardo e il team di www.petitesondes.net
  • RAI “Blu Notte – I misteri di Alleghe” di Carlo Lucarelli.

CONDIVIDI

Condividi su facebook
Condividi su twitter
Condividi su linkedin
Condividi su pinterest
Condividi su whatsapp
Condividi su email

COMMENTI

ARTICOLI CORRELATI

Le nostres storie direttamente nella tua mailbox