A Palermo c’è un museo di primissimo ordine. E’ l’antica “Galleria d’Arte per le collezioni d’arte medievale”, ora “Galleria Regionale della Sicilia”, ospitata a Palazzo Abatellis, in via Alloro, nello storico quartiere della “Kalsa”.
Contiene molte opere bellissime e importanti, fra cui capolavori di Francesco Laurana e di Antonello da Messina ed ha la fortuna di ospitare, sempre di Antonello, la meravigliosa e struggente Annunciata, che cercheremo di onorare più avanti con un apposito racconto.
Ma soprattutto ospita un affresco unico nel suo genere.
Lo troviamo quasi subito, in uno spazio ricavato dall’antica cappella, dove è stato ben sistemato, con un’illuminazione proveniente dall’alto, dopo essere stato rimosso da una parete poco sicura di un altro palazzo storico Palermitano, Palazzo Sclafani ed essere stata adeguatamente restaurata per restituirne almeno l’effetto complessivo e la nitidezza delle parti rimaste.
E’ l’opera di un grande artista, ma non ne conosciamo né il nome né la storia.
Come raramente accade, l’anonimato in cui è finito per sempre il pittore del XV secolo che l’ha creato non impedisce di classificarlo come un artista di prima grandezza. L’opera parla da sé, ed è una visione, nel senso vero del termine, per intensità, effetto drammatico, originalità e composizione.
E’ quasi quadrata, ed è enorme. Sei metri per sei metri e mezzo.
Enorme e totalizzante, perché oltre a dare il nome alla sala che la ospita, e la cui parete in realtà occupa anche il primo piano, monopolizza interamente l’attenzione, e ci costringe a guardarla, con inquietudine e meraviglia.
La scena è a metà fra l’allegoria e la vita quotidiana. Sembra svolgersi all’interno di un giardino, con eleganti damigelle da un lato, ma anche poveri e derelitti dall’altro, e popolata di personaggi illustri come papi, antipapi, vescovi, uomini di legge, sultani, imperatori.
A parte le damigelle e i derelitti, il cui destino sembra comunque segnato, tutti gli altri nobili personaggi ritratti hanno in comune qualcosa di irreparabile. Sono morti.
Giacciono a terra, in pose terribili e agonizzanti, perché su di loro è già passata colei che domina la scena. Infatti al centro del quadro, in groppa ad uno scheletrico e rabbioso cavallo, imbracciando un arco da cui sta scagliando spietatamente frecce definitive, c’è lei.
La Morte.
Perché l’affresco, infatti, altro non è che la celebrazione del suo trionfo. Immagine spesso usata con riferimento a pestilenze e altre sciagure collettive ma divenuta poi simbolo allegorico della mortalità di qualunque miseria umana e prototipo delle visioni apocalittiche, questo Trionfo della Morte di Palermo brilla davvero di una luce unica e originale ancorché, ovviamente, un po’ cupa.
Tanto apocalittiche sono le intenzioni dello sconosciuto maestro (sicuramente portatore di influenze fiamminghe ma fortemente personalizzate con gusto quattrocentesco italiano e ispanico tanto da far discutere anche sul possibile risultato dell’opera di diverse mani) che la stessa rappresentazione della grande mietitrice altro non è che la fusione di due distinte visioni provenienti dall’Apocalisse di Giovanni, l’una che preannuncia la Morte con l’arrivo di un cavaliere armato di arco – “E vidi apparire un cavallo bianco, il cui cavaliere aveva un arco” (6,2) – e l’altra di lì a poco che descrive l’arrivo della protagonista unica anch’essa a cavallo – “E apparve un cavallo verdastro, il cui cavaliere aveva nome Morte; l’Inferno lo seguiva; gli fu data potestà di portare lo sterminio” (6,8) -.
E per cogliere la strabiliante modernità del pittore, basta guardare bene il terribile destriero che taglia riempiendo l’intera diagonale della composizione. Non è uno scheletro vero e proprio (come i cavalli di ossa dei dannati del Monte Calvo di Disney, nel primo Fantasia). E’ un cavallo di carne e pelle, ma del quale si vedono anche le ossa, come se il suo interno e il suo esterno fossero una sola cosa.
E ora guardate bene il suo muso mentre nitrisce: somiglia tremendamente a certi straordinari e modernissimi cavalli di Pablo Picasso. E non è un caso se il grande genio cubista catalano si ricorderà di questo affresco quando dovrà rappresentare una indimenticabile scena di morte e distruzione nel suo capolavoro, Guernica.
Come tutte le grandi visioni, continuare a parlarne non aggiungerebbe altro, se non per ricordare a chiunque passi per Palermo ed abbia a cuore l’arte di qualunque secolo, di non mancare assolutamente di passare ad ammirare il Trionfo della Morte, in tutto il suo sinistro splendore.
27 Settembre 2006
Anonimo del XV Secolo, Il Trionfo della morte
(1446 ca.)
Palermo, Galleria Regionale della Sicilia Palazzo Abatellis