Il massacro di Aigues-Mortes

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Aigues-Mortes è una graziosissima cittadina francese, affacciata sul delta del Rodano fra la Provenza e la regione di Languedoc-Roussillon, nel Midi. Circondata completamente da poderose mura, è una meta turistica di grande fascino. Piccola, pulita, pittoresca, piena di ristorantini dove si mangia un ottimo pesce.   Ma Aigues-Mortes appena un secolo fa era un luogo faticoso, complicato e fosco, dove si consumò una orribile strage razzista, una guerra fra poveri e fra lavoratori che finì nel peggiore dei modi, come sempre accade quando si comincia a considerare “altri” e “loro” chi semplicemente è nato in un posto diverso dal proprio. La zona è tuttora occupata da grandi saline, immense vasche sulla costa per l’evaporazione e la raccolta del sale, e alla fine dell’800 era un luogo dove erano costretti a convivere, in condizioni che si possono solo immaginare, molti lavoratori provenienti da diverse parti d’Europa. Naturalmente molti francesi, ma anche molti italiani, data anche la vicinanza fra i due paesi.
La convivenza era difficile, gli italiani erano spesso visti come quelli che “venivano a togliere il lavoro ai francesi” (dove l’abbiamo già sentita?), e spesso, perché ormai sradicati dalla propria terra e dalle proprie famiglie, erano anche disposti a subire condizioni peggiori di quanto sopportassero i locali.
Era un periodo di crisi in tutta Europa, e nell’estate del 1893 arrivarono più lavoratori stagionali del solito, e molti italiani. La Compagnie des Salins du Midi organizzava squadre all’interno delle quali erano costretti a convivere italiani e francesi, probabilmente per uniformare la produttività, ma la convivenza era sempre più tesa. Gli italiani erano sempre più visti come stranieri, apostrofati come Macaroni o Piemontais (venivano principalmente dall’Italia del nord, all’epoca il nord emigrava).
Il 16 Agosto scoppiò una rissa, per motivi certamente futili. Un insulto di troppo, una discussione sulla spartizione del cibo o chissà quale altra fesseria. In paese si sparse rapidamente una voce falsa: qualcuno disse che gli italiani avessero ucciso nella rissa alcuni lavoratori francesi. Come sempre, le notizie false più sono orribili, più rafforzano i pregiudizi, e più prendono piede e forza. Nel giro di pochissimo tempo si formarono bande di francesi inferociti, lavoratori delle saline e concittadini che erano rimasti disoccupati, e iniziò una caccia all’uomo.
Allo straniero.
Alcuni italiani vennero assediati in una panetteria a cui si cercò di dar fuoco. Intervenne la Gendarmerie ma troppo tardi. La situazione era ormai degenerata.
Ma non sarebbe finita lì. La mattina dopo i soldati cercarono di scortare gli italiani alla stazione per rimetterli sul treno e rispedirli in Italia. Ma per l’odio razziale ormai scatenato non era sufficiente neanche più la cacciata, per quanto ingiusta. Il corteo venne raggiunto dalla folla inferocita, la gendarmerie sopraffatta, e gli autoctoni ormai fuori controllo diedero vita ad un allucinante linciaggio fra i campi e i corsi d’acqua del delta. Vennero inseguite, uccise, sgozzate e gettate nei canali almeno dieci persone, e almeno altre venti ferite gravemente. Qualche corpo non fu mai più ritrovato.
Ci fu un processo, ma fu tanto razzista quanto il massacro stesso. Affidato il giudizio ad una giuria popolare (ah! il popolo, la gente…), tutti gli imputati vennero assolti. Chi pensa si tratti di un episodio minore, è legittimato dal fatto che la memoria ormai si sgretola sempre più rapidamente, e tutto concorre a cancellare e ribaltare anche il significato storico di certi avvenimenti. In realtà fu uno scandalo continentale. Il Governo Crispi protestò in modo veemente e dichiarò che i rapporti fra Italia e Francia non sarebbero più stati amichevoli come prima. Un giornale inglese scrisse \”Sulla colpevolezza di ognuno di loro, sia francesi che italiani, non c’era alcun dubbio e nessuno fu stupito dal verdetto più dei rivoltosi stessi. Ma poiché la maggior parte delle vittime della rivolta dello scorso agosto erano italiani, la giuria ha ritenuto di dover mostrare il proprio patriottismo, dichiarando in pratica che per un operaio francese uccidere un concorrente italiano non è un reato”.
Questa è la storia. Anche oggi, di fronte a fatti di violenza che sempre più spesso si ripetono, c’è subito chi si affretta a dire “si ma…” “ma chi ha cominciato?” “si però noi siamo a casa nostra” “si però dovrebbero essere loro per primi a volere l’integrazione” (dove solitamente integrazione vuol intendere sottomissione).
Invece è solo razzismo. Cercare altre parole vuol dire solo tentare di giustificare, assolvere, difendere l’indifendibile. I francesi di Aigues-Mortes di fine ottocento furono razzisti. Per povertà, disperazione, ignoranza, ma razzisti. E il razzismo li trasformò in criminali.
Chi è sempre pronto a credere alla versione di un “compaesano” di fronte a quella di uno “straniero” è razzista. Chi pretende sempre dagli “altri” comportamenti che mai ha pretesto dai suoi concittadini è razzista. Chi diffonde notizie parziali o false per sostenere una sola tesi è razzista, ed è anche il mandante di crimini. Farlo per ignoranza o per calcolo distingue solo fra buonafede e malafede, ma davvero non fa grande differenza.
Il razzismo è sempre un crimine, sia che faccia o non faccia morti.
PS: fra i pochi a raccontare questa storia, pur se inserita in un romanzo di fantasia, Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli nel loro bellissimo “Macaronì. Romanzo di santi e delinquenti” 

BIBLIOGRAFIA

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