Bellezza Orsini. La strega lussuriosa e il giudice bambino

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Molte storie di processi di inquisizione cominciano allo stesso modo, con una voce riportata per sentito dire, tra superstizione e paura. Qui la voce è il grido di un intero paese, Rocca di Fiano.  Anche la mia storia comincia allo stesso modo...
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Molte storie di processi di inquisizione cominciano allo stesso modo, con una voce riportata per sentito dire, tra superstizione e paura. Qui la voce è il grido di un intero paese, Rocca di Fiano.
Anche la mia storia comincia allo stesso modo.
Il mio nome è Isabella, ma tutti mi ricordano come Bellezza, per il fascino che la natura mi ha donato e che ho saputo usare con grande maestria.
Ho circa 45 o 50 anni, la mia età precisa non la so neppure io.
Sono una donna ancora bella, avvenente, intelligente, ho saputo sopravvivere da sola alle tristezze che la vita mi ha riservato.
Sono nata a Collevecchio, questo lo so, in provincia di Rieti, forse dopo la metà del 1400. Ero ancora una bambina piena di speranze quando sono andata in sposa ad un uomo più grande di me. Il mio matrimonio non è stato felice, come molti ai miei tempi.
Presto sono rimasta vedova, con un figlio da crescere. Cosa potevo fare? Cercare di campare al meglio me e il mio piccolino, Giovanni, che non aveva colpa, ma solo sfortuna.
Trovato lavoro a Monterotondo, vicino a Roma, ci siamo trasferiti a vivere presso una famiglia nobile, gli Orsini. Facevo la cuoca, ero brava, apprezzata, soprattutto dal conte, che si era accorto della mia bellezza.
Qui ho conosciuto una donna che mi ha cambiato la vita, Lucia De Lorenzo da Ponzano.
Tutti mi dicevano che Lucia era una strega. Ma lo era davvero?
Io non credevo alle voci, vedevo in lei solo una donna più grande che si voleva prendere cura di me, una che mi stava vicino. Mi insegnò a riconoscere le erbe, a raccoglierle nel periodo giusto, a catalogarle e a combinarle insieme per curare le persone.
I suoi insegnamenti mi sembravano una possibilità per migliorare la mia vita, per non essere dominata dagli eventi, ma dominatrice. L’antico sapere di Lucia nascondeva delle insidie, io non lo sapevo. Imparai in fretta sia cose buone che cose malvagie.
Mi fece leggere un libro, oscuro, nero, misterioso, con 180 fogli in cui si dicevano “tucti li secreti del mondo”. Potevo guarire dolori, malanni, ossa rotte, cancellare il malocchio, curare il mal francese e molte altre cose. Mi sentivo forte.
Non avevo pensato che il mio nuovo sapere potesse procurarmi un dolore.
Nel 1528 il Giudice di Fiano, Marco Callisto da Todi, decise che era giunto il momento di scoprire se quelle voci che giravano insistenti e numerose intorno al mio nome erano fondate. Voleva capire se la mia fama da strega era verità o solo fantasia. Voleva capire o già sapeva?
Come sempre i testimoni a me contrari non mancarono, tutti dello stesso paese, Filacciano.
Elisabetta, la vedova, ha detto che per ripicca, un giorno durante un pellegrinaggio a Roma le ho toccato il figlio Camillo, che subito si è sentito male. Si è ammalato, fino a consumarsi, il mio tocco lo ha rovinato.
Cecco, il barcaiolo, lo conosco appena, ma ha detto con certezza, che gli ho unto il nipotino, perché aveva avuto una lite con il mio Giovanni. Per fargliela pagare me la sono presa con il piccolino, che dopo pochi mesi è morto di un male inspiegabile, consumato come una candela.
E poi don Egidio, che ha tentato di fermare il mio agire malvagio con la forza della fede in Dio nostro padre, ma che è caduto lui stesso vittima del mio maleficio. Si è salvato solo perché ho avuto pietà di lui.
Ma davvero sono così potente?
Davvero basta un tocco lieve della mia mano per uccidere un bambino? Per farlo sanguinare fino alla morte?
La vita mi ha provata, fiaccata e sconfitta, non ho mai smesso di combattere, a volte sono piena d’ira, ma far del male no. So leggere, sono istruita, conosco l’uso delle erbe.
Certo, non ho un bel carattere, sono spesso ombrosa, questo alla gente non piace, mi credono pericolosa. E questo mi fa infuriare, ancora di più.

Nel mio sopravvivere ho fatto anche cose poco onorevoli. Mi sono avvicinata ai francescani, diventando terziaria, per migliorare me stessa, per smorzare la mia rabbia. I frati hanno saputo del libro oscuro da me. L’ho portato in convento, per condividere con loro il mio sapere. Mi hanno vietato di usarlo, perché hanno capito che le sue pagine non sono intrise solo di bene.
Con loro non è stato solo condividere, è stato di più, ma ora non ci voglio pensare. Ho fatto ciò che volevo, che sentivo il bisogno di fare.
Ecco il Giudice. Mi ha fatta arrestare, anche se ho tentato la fuga mi ha presa.
Sono al suo cospetto. È giovane, forse posso manipolarlo, col mio sapere, con il mio fascino. Posso stupirlo con le mie parole.
Ma non ho considerato che il giovane Giudice, quasi un bambino, vuole emergere in questa città gettata nel caos dopo il sacco del 1527, non ho pensato che sa già tutto quello che deve sapere e che questo è sufficiente per la mia condanna.
Ma che importa cosa pensa, voglio che sappia la mia verità, che capisca che se ho una colpa è solo la lussuria, che spesso ha condizionato la mia vita e il mio agire. Voglio anche che comprenda che la Chiesa è piena di pastori corrotti, che se ho sbagliato non ero sola.
Sappia Signor Giudice che al convento di San Paolo ho spesso condotto donne, giovani, vecchie, vedove, sposate, per soddisfare ogni desiderio dei frati, anche i più lascivi. Io stessa ho giaciuto con loro, per placare il mio bisogno di avere qualcuno accanto, di sentirmi desiderata.
Gli racconto tutto, anche i miei amori, voglio smuovere il suo animo, fargli capire che non sono cattiva.
Ma qualcosa non va. Ad ogni parola peggioro la mia situazione, leggo sul suo volto il disgusto, il fastidio ad avermi di fronte. Ma non è solo quello, in lui qualcosa affiora, timidamente, ma non lo ammetterà mai. Lui è il Giudice, io la strega.
Così decide che vuole la verità ad ogni costo da me, e per ottenerla vi è un solo modo. La tortura.
Non ho scampo, confesso, ma risparmiatemi. Ammetto tutto quello che volete, anche quello che hanno detto quelli là. È tutto vero, il dolore, la morte, i malanni. Sono stata e sono una fatuchiera.
Perché non mi credete Signor Giudice? Perché? La tortura su di me non ha senso, ho la lingua sciolta, abbiate pietà, non posso sopportare il dolore, meglio morire.
Mi rimettono in cella da sola. Disperata, tento il suicidio, ma mi salvano, vogliono che io sia un esempio, non possono lasciarmi la libertà della morte.
Giovanni viene in mio aiuto. Chiede al Conte Orsini di intercedere per me, ma ci vuole tempo o forse non vuole esporsi, non per me, la sua cuoca. La sua risposta tarda ad arrivare, il Giudice bambino non aspetta i comodi del Signor Conte. Vengono trovati altri testimoni.
Troppe parole su di me, troppi pastori della Chiesa coinvolti. Alla fine sono una minaccia, non solo una strega, per questa chiesa corrotta e corruttrice, che sta cercando di rinascere dalle ceneri dell’eresia.
Il mio destino è segnato.
Un altro testimone, Gian Antonio Fascio accusa sia me che mio figlio. Anche lui è di Filacciano.
L’uomo racconta di una certa Giulia, moglie di Bernardino, di cui mi sarei invaghita. La donna era costretta a letto da atroci dolori. Chiamato dal marito uno stregone, mastro Alessandro, questi riconobbe senza dubbio il mio marchio malefico sulla donna. Solo io avrei potuto salvarla. E così feci, costretta dalle minacce di Bernardino, uomo potente in paese. Ma come si può disfare una cosa che non si è fatta? Con l’inganno.
Marco Callisto ha sentito abbastanza. Ho tre giorni per confessare, poi mi aspetta la tortura.
Ma confessare cosa? Ho già detto tutto.
È il giorno. La stanza in cui mi portano è buia e fredda, fa paura. Due uomini e il Giudice bambino entrano. Mi guardano, mi spogliano, mi osservano ancora con occhi indagatori e mi fanno le stesse domande. Vogliono le risposte che si aspettano da me.
Confermo tutto Signor Giudice. Perché la corda? Come è giusto? Che vuol dire?
Procedono. Parlo non sopporto il dolore, ho il corpo in pezzi, mi sistemano le spalle, mi vogliono a posto. Mi fanno ancora più male, devo dire la verità. Ma quale? La mia o la loro?
È tutto vero, sono una strega, ma perché l’ho voluto io.

Non è stato un caso che la Lucia da Ponzano abbia scelto me. Ero io la predestinata, solo io potevo seguire gli insegnanti del libro oscuro. Mi ha spiegato perfino come fare la polvere per uccidere, prendendo un bambino nato morto senza battesimo, smembrandolo dalla testa, conservando il cervello, le punte delle orecchie, i capelli, gli occhi, il grasso del ventre, parte del fegato, del cuore e del midollo, lasciando poi tutto ad asciugare al fumo per poi ridurlo in polvere, che unita alle malevole intenzioni di chi la usava, era letale.
Ancora la corda. Il mio parlare non basta, vedo come mi guarda il giovane Giudice, ha schifo di me, di ciò che ho fatto, ma non può fare a meno di osservarmi. Il dolore mi offusca la mente, mi toglie il respiro. Cado a terra, mi pare quasi di rimbalzare, mi hanno slegato le articolazioni.
Le dico del sabba Signor Giudice, dei nostri incontri al noce verso Benevento. Ho reso streghe altre donne come me, disperate, ma anche nobildonne e signore. Sono tante, una società forte e sotterranea, pronta a maleficare il mondo, a dominarlo. Volete sapere? Allora datemi carta, penna e calamaio, io non sono come le altre, scriverò da sola la mia confessione, non voglio che la scriva il frate seduto su quella sedia.
Parole a fiumi.
Ora vere, ora inventate.
Nomi, fatti.
Tutto ciò che mi chiederete io lo scriverò. Le darò anche il libro oscuro Signor Giudice, con tutti i suoi segreti. Le racconterò cosa vuol dire essere strega, dell’ebrezza del male che si impossessa dell’anima, mentre nei sabba, nelle notti di plenilunio, ci cibiamo di bambini nati morti, rinunciando al battesimo, alla fede in nostro Signore.
La festa diventa orgia, i diavoli soddisfano le voglie delle streghe e le streghe quelle dei diavoli, senza limiti.
Lo guardo negli occhi, lo vedo quel lampo, quel luccichio che conosco bene. È affiorato.
Sono una Patrona, comando altre streghe.
Dico loro cosa fare. Tutte insieme obbediamo a una Signora, la Regina che abita a Rieti, luogo in cui Diana rinnova il suo potere unendo le forze vitali della natura e le divinità notturne.
Lo guardo di nuovo. Marco Callisto mi osserva con sdegno, ma non solo, ecco di nuovo quel bagliore negli occhi, il fuoco che ha nascosto dentro di sé, inconfessabile, lo sta dominando.
La ruota mi attende. Mi deve punire. Sono sfinita, quasi cieca, il mio corpo è straziato. Sono alla fine.
Il mio carnefice ha bisogno delle parole che dico, quasi a voler giustificare con la tortura la lussuria che sente crescere dentro, a voler soffocare lo stravolgimento che prova a sentirmi parlare di orge, di corpi avvinghiati al chiaro di luna, di piacere carnale.
Il dolore che mi infligge lo rende rosso in volto. Lo vedo. Lo sento il suo fiato corto. Potrebbe smettere, ma ciò che fa alla fine gli piace.
Hanno finito.
Il Giudice bambino è pago.
Sono in cella da sola, ombra di me stessa, della donna che ero, non ho più le ossa al loro posto. Non gli darò la soddisfazione di piegarmi, la possibilità di finirmi. Ho sempre lottato, tutta la vita, lo farò ancora. Muoio, ma per mano mia. Un chiodo mi è amico. Nella mia gola trova la strada, per due volte.
Sento il sangue fluire, la vita scivolare via. Le fiamme purificatrici non mi avranno, muoio strega, ma muoio libera. La mia più grande vittoria? Aver segnato l’animo del Giudice bambino che, rosso in volto e madido di sudore, penserà a me e alle mie parole nella solitudine della sua stanza.

BIBLIOGRAFIA

  • Bellezza Orsini. La costruzione di una strega (1528) di Michele Di Sivo Intervengono Mario – Roma del Rinascimento, 2016
  • Sante e Streghe – Marcello Craveri – Universale Economica Feltrinelli, 1980
  • Le donne più malvagie della storia d’Italia – Newton Compton Editori, 2015

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