L’impossibilità umana, di porre un arresto alla morte, al degrado naturale del corpo dopo il decesso, è stata sempre fonte di paura e terrore da parte della società che sin dai suoi albori ha cercato un rimedio per sfuggir a tale processo, che spesso portava malattie, ed altra morte.
Un esempio comune è l’arte della mummificazione, nella quale si cercava di mantener il corpo più integro possibile nel tempo o la cremazione che addirittura scavalcava la putrefazione. Con l’avvento della fotografia (data ufficiale 1839, ma non bisogna dimenticare i lavori e gli studi di Niépce negli anni venti dell’ottocento) si ottenne la possibilità di immortalare l’eternità in un’immagine, e successivamente con i primi ritratti figurativi, si arrivò in epoca Vittoriana, ad immortalare i cadaveri in fotografie, come se esse potessero sottrarre alla morte la brutalità del degrado della carne, che spesso veniva associata anche all’anima, che per rigor collettivo, doveva comparir armoniosa e docile.
Un esempio comune è l’arte della mummificazione, nella quale si cercava di mantener il corpo più integro possibile nel tempo o la cremazione che addirittura scavalcava la putrefazione. Con l’avvento della fotografia (data ufficiale 1839, ma non bisogna dimenticare i lavori e gli studi di Niépce negli anni venti dell’ottocento) si ottenne la possibilità di immortalare l’eternità in un’immagine, e successivamente con i primi ritratti figurativi, si arrivò in epoca Vittoriana, ad immortalare i cadaveri in fotografie, come se esse potessero sottrarre alla morte la brutalità del degrado della carne, che spesso veniva associata anche all’anima, che per rigor collettivo, doveva comparir armoniosa e docile.
Il motivo per cui tale moda divampò è ancora poco chiara, ma sicuramente in all’epoca, la morte faceva parte del quotidiano, e la perdita di un familiare era un evento non raro, soprattutto in tenera età. Nelle città, si svilupparono veri e propri laboratori di fotografie per immortalar l’evento, in una prima fase, i morti erano fotografati nelle loro bare, o nei loro letti, con occhi chiusi quasi come se dormissero, ma successivamente una nuova fase più macabra si sviluppò, i cadaveri venivano ritratti con gli occhi aperti, spesso dipinti, in posture di vita quotidiana, circondati dagli stessi parenti o amici.
Spesso venivano posti anche in posizione eretta, con l’aiuto ed il sostegno di un cavalletto, che permetteva al cadavere di non cadere, come descritto precedentemente, i soggetti più frequenti erano i bambini, anche perché divenivano le uniche immagini in ricordo della loro fugace esistenza. Curioso è notare come con l’aiuto di cere e colle i morti sembrassero ancora vivi, ma come i volti dei vivi soprattutto i bambini avessero uno sguardo di terrore.
Questo rito, che svanì negli anni quaranta del novecento, dove come ultima fase i defunti venivano fotografati dormienti su dei divani, insieme ai vivi, sia collegabile allo spiritismo che in quegli anni sfociò come corrente filosofica, che affermava l’esistenza di una vita dopo la morte, e che spesso gli spiriti si rivelassero ai vivi con manifestazioni paranormali, quali movimento inspiegabile di oggetti, rumori , voci ecc. Come interlocutori di tali fenomeni, nacquero i medium, persone dotate di una sensibilità sopraffina capaci di entrare in contatto con i defunti e portar messaggi di essi ai loro cari in vita. Fu un fenomeno, che convolse tutta l’aristocrazia dell’epoca che invitava presso i propri salotti, numerosi scienziati e ricercatori durante le sedute spiritiche per testimoniarne l’evento. Ci furono anche molte fotografie che con ottime tecniche di sviluppo catturavano la presenza di queste essenze. Di prove concrete non si possiedono fonti credibili, ma resta chiaro e continuo, il bisogno naturale dell’uomo di credere nell’immateriale.
Simone De Bernardin