In un documento del 1475, scritto in latino, così scriveva il suo nome: Wladislaus Dragwlya Vaivoda Partium Transpalpinarum. Wladislaus è il nome dell’uomo che combatté per impedire l’avanzata degli Ottomani nel cuore dell’Europa. Dragwlya è un diminutivo di Dracul, epiteto portato dal padre in seguito all’ingresso nell’Ordine del Drago, ordine cavalleresco fondato da Sigismondo d’Ungheria nel 1408. Vaivoda, o Voivoda, è traducibile come principe. Partium Transpalpinarum è traducibile con “delle parti transalpine”.
Vlad III di Valacchia si firmava come Vlad figlio del Drago Principe delle parti transalpine.
Il futuro terrore dei turchi nacque a Sighisoara, città della Transilvania, nel 1431. La giovinezza la trascorse a Targoviste in compagnia del fratello minore, Radu il Bello, apprendendo la geografia, la matematica e l’arte della guerra.
Il padre nel 1436 salì al trono della Valacchia, regno che perse e riprese in diverse occasioni.
Nel 1444, in seguito a pesanti accordi di pace, il padre inviò alla corte ottomana i propri figli, Vlad III e Radu. I ragazzi furono educati alla logica, all’arte della guerra ed indirizzati alla fede musulmana. La posizione dei figli di Vlad risultò subito delicata: il figlio maggiore, Mircea, aveva espresso la chiara intenzione d’indire una crociata contro i turchi, mentre il padre, dando per spacciati i figli, tornò a lottare per la riconquista della terra che riteneva gli appartenesse di diritto. Correva l’anno 1447 e il regnante d’Ungheria si unì ai rivoltosi per destituire la famiglia di Vlad dal potere in terra di Valacchia. Le battaglie furono aspre e portarono alla morte di Vlad, padre, e del figlio maggiore Mircea. Gli ottomani, impauriti dal veder cadere quello stato nelle mani dell’Ungheria, liberarono Vlad, figlio, con l’intento di fermare l’avanzata del popolo ungherese. Il fratello Radu, convertitosi all’Islam, entrò a corte del Sultano. Grazie all’appoggio dell’esercito ottomano, Vlad passò il Danubio e conquistò il regno di Valacchia.
Meglio una vittoria sperata o una pace certa?
Il reggente d’Ungheria non si pose la domanda e decise d’attaccare il nuovo sovrano delle terre di Valacchia. Nuovamente aiutato dai rivoltosi ostili a Vlad, l’Ungheria si riappropriò del trono costringendo il figlio del Drago alla fuga in Moldavia. Il ragazzo riparò presso la corte del nipote della matrigna.
Se la Valacchia piangeva, la Moldavia non rideva.
Diversi rivali si contendevano il trono.
La fortuna di Vlad consistette nel fatto che tutti i regnanti che si alternarono al potere in Moldavia lo tennero in vita, poiché rappresentava il futuro sovrano di quella terra martoriata da guerre intestine.
Lo rieducarono al Cristianesimo.
Il ragazzo era distante, quasi distaccato dalla religione.
Era interessato al potere, a riprendersi quello che riteneva gli appartenesse di diritto.
Seguendo l’idea che i nemici di oggi sono gli amici di domani, il reggente d’Ungheria, colpito dalla vasta conoscenza del mondo musulmano del ragazzo, decise di riconciliarsi con lui.
L’esperienza nella terra figlia del nobile popolo degli Ungari fu importante per Vlad poiché conobbe il futuro sovrano Mattia Corvino.
Il cielo d’Europa si oscurava.
Fosche nubi salivano da meridione.
Costantinopoli cadde.
L’Europa tremava di fronte all’avanzata ottomana.
La guerra era alle porte.
Vlad, approfittando della confusione generata dall’avanzata del Sultano, lasciò l’Ungheria per tornare in Valacchia e riprendersi il trono.
Strinse rapporti con i vicini, auspicando una futura battaglia contro gli infedeli.
Una parte del popolo, sottomesso dopo il ritorno di Vlad, brontolava.
Alcune fazioni cospiravano contro il nuovo regnante.
Vlad fu costretto ad intervenire con il pugno di ferro.
Utilizzò le tecniche apprese durante il suo forzato esilio presso il Sultano.
Rapidamente spezzò i rivali.
Una battaglia, tra le tante, passò alla storia: il massacro della Pasqua di Sangue.
L’assedio alla città di Brasov, 1459, modificò per sempre l’idea che qualsiasi essere umano poteva avere del regnante di Valacchia: il ragazzo figlio del drago divenne Vlad Tepes, l’impalatore.
Vlad apprese dai turchi il metodo dell’impalamento, modificandolo in base alle proprie esigenze.
Non vi è un solo metodo per impalare un uomo.
Il primo consisteva nell’uso di un’asta appuntita che trafiggeva il condannato all’altezza dell’addome per poi issarlo in alto. La morte poteva essere immediata o sopraggiungere dopo diverse ore di agonia.
Un secondo metodo consisteva nell’uso di un’asta arrotondata all’estremità che cosparsa di grasso veniva inserita nel retto del malcapitato. In seguito l’asta, inserita nel corpo della vittima, era issata consentendo la penetrazione accurata grazie al peso del condannato. La morte poteva sopraggiungere dopo due giorni di terribile agonia.
Un terzo metodo consisteva nel cospargere il palo di miele per attirare gli insetti, che avrebbero incrementato le pene di colui che veniva impalato.
Vlad Tepes odiava i ricchi mercanti sassoni che transitavano per le sue terre.
Per loro ideò delle aste ricoperte d’argento. Il palo era di lunghezza superiore alla norma per consentire all’impalato di godere dello spettacolo dall’alto.
Durante gli assedi e le battaglie non risparmiò nessuno da questa terribile morte: bambini, donne in gravidanza, ladri, turchi, assassini, vecchi e traditori.
Documentare la crudeltà dell’uomo non è impresa facile.
Nel 1459 fece invitare a pranzo alcuni mercanti che, secondo Vlad, gli avevano mancato di rispetto. Alla fine del banchetto, molto tranquillamente, sventrò uno dei due obbligando l’altro a mangiare il contenuto dello stomaco. Fu in seguito bollito e dato in pasto ai cani.
Nello stesso anno Papa Pio II, durante il Concilio di Mantova, organizzò una nuova crociata contro gli ottomani. Il ruolo principale fu ricoperto da Mattia Corvino. Con i soldi del Papa riuscì ad assoldare un esercito composto da 12,000 uomini e acquistare 10 navi da guerra. In quello stesso periodo Maometto II, Sultano, mandò degli emissari da Vlad per riscuotere l’annuale tributo dovuto in seguito agli accordi di pace firmati dal padre dell’impalatore.
Vlad non voleva pagare.
S’inventò che gli emissari furono irriguardosi nei suoi confronti poiché non tolsero il turbante quando si presentarono al suo cospetto.
Gli ambasciatori, nella veste di coloro che riscuotono un tributo, furono catturati dagli uomini di Vlad che, senza esitare, fece inchiodare alle loro teste i turbanti.
Il Sultano, probabilmente non felice della morte dei suoi uomini, inviò 1000 uomini per trattare con il regnante di Valacchia. Gli uomini di Vlad Tepes si mossero in anticipo, accerchiando e sconfiggendo gli ottomani.
Tutto l’esercito, inviato da Maometto II, fu impalato per la gioia del figlio del Drago.
Tra guerre sante e battaglie private la fama dell’impalatore oltrepassava i confini della Valacchia.
Papa Pio II fu colpito, tanto da scrivere che “Vlad è un uomo di corporatura robusta e d’aspetto piacente, che lo rende adatto al comando. A tal punto possono divergere l’aspetto fisico e quello morale di un uomo”.
Vlad non era un uomo in missione per conto di Dio.
La sua guerra non era santa, era guerra.
Nel 1462 decise d’oltrepassare il Danubio per attaccare i turchi in terra di Bulgaria.
Con morigerata gioia scriveva a Mattia Corvino che “ho ucciso contadini, donne, vecchi e giovani che vivevano dove il Danubio sfocia nel mare. Abbiamo ucciso 23884 turchi senza contare quelli che sono stati bruciati vivi nelle loro case o quelli le cui teste sono state tagliate dagli ufficiali. Così Vostra Altezza deve essere noto che ho rotto la pace con lui”.
La frase finale dello scritto è da mettere in relazione la fatto che Vlad Tepes ruppe i rapporti con il sultano.
La risposta degli ottomani non si fece attendere.
Il Sultano, scosso dalla violenza di Vlad Tepes, sollevò un esercito di oltre 80,000 soldati e 30,000 irregolari.
Vlad non poté impedire l’accesso dell’esercito turco in Valacchia ma, grazie ad azioni notturne, riuscì a ritardare gli eventi.
Viste le impreviste difficoltà, lo stesso Maometto II partì per guidare l’esercito in battaglia.
Tutto fu vano.
Vlad Tepes riuscì, con la metà degli uomini, a sconfiggere l’esercito turco.
La vittoria fu celebrata dal Papa con grandi elogi.
Secondo alcuni stati italiani, tutti i cristiani dovevano celebrare la vittoria di Vlad III di Valacchia.
Maometto II non poteva attendere oltre. Decise d’incaricare il fratello di Vlad, Radu II, di organizzare l’esercito per la battaglia decisiva. Grazie alla superiorità delle forze in campo gli ottomani riuscirono a sconfiggere, definitivamente, l’esercito della Valacchia.
Vlad Tepes riparò in terra d’Ungheria, sperando d’essere accolto a corte da Mattia Corvino.
Il reggente d’Ungheria, che non voleva entrare in conflitto con i turchi, decise d’incarcerare Vlad.
Al prigioniero fu riservato un trattamento di favore poiché il Papa era riconoscente verso quell’uomo, tremendo e vendicatore, che in prima persona aveva difeso la cristianità dall’invasione della mezzaluna.
La prigionia durò dal 1462 al 1474. Dopo oltre 10 anni di prigionia Vlad fu liberato da Mattia Corvino con il fine, non più segreto, di riprendere la Valacchia dalle mani del regnante, Radu II fratello di Vlad, poiché impostava la politica in funzione delle decisioni che giungevano dal Sultano.
Sul finire del 1476 Vlad Tepes trovò la morte in battaglia.
Le circostanze esatte della fine dell’uomo divenuto l’impalatore sono avvolte da un fitto mistero.
Le nubi della Valacchia hanno portato con se il suo figlio prediletto.
Per sempre.
La fama e l’orrore riuscirono a trasformare le montagne in pianure, i fiumi in torrenti e i mari in laghi.
Di bocca in bocca il suo nome travalicò le nazioni.
Pochi anni dopo la morte un libro stampato a Norimberga recitava: “questa è la storia crudele e terribile di un uomo selvaggio e assetato di sangue, Dracula il Voivoda. Di come impalò e arrostì i turchi, i ladri e i traditori e li fece a pezzi come cavoli. Arrostì anche bambini e costrinse le madri a mangiarli. Fece altre cose che sono scritte in questo libello”.
Bram Stoker s’ispirò a Vlad Tepes per la stesura del famoso romanzo Dracula?
Esiste una seconda via.
Dovremmo attraversare gli oceani del tempo per ritrovarla.
Fabio Casalini