Il mio nome è Claudia Colla e sono morta con mia madre Elena a causa dell’ignoranza e della superstizione per mano dell’uomo che un tempo ha detto di amarmi.
La storia di Piacenza ci ricorda come le “Romane” arse vive. Sono nata da un gentiluomo di corte, il parmigiano Camillo Colla e da Elena Torti, discendente di una famiglia notabile di Castell’Arquato. Benestanti, ma non nobili.
A quindici anni conosco un uomo più grande di me, ricco e potente. Il suo nome è Ranuccio I Farnese, quarto Duca di Parma e Piacenza, quinto Duca di Castro, figlio del grande condottiero Alessandro Farnese e di Maria D’Aviz. La sua fama non è delle migliori, è conosciuto come un uomo diabolico, superstizioso, sospettoso, confiscatore di beni altrui.
A quindici anni conosco un uomo più grande di me, ricco e potente. Il suo nome è Ranuccio I Farnese, quarto Duca di Parma e Piacenza, quinto Duca di Castro, figlio del grande condottiero Alessandro Farnese e di Maria D’Aviz. La sua fama non è delle migliori, è conosciuto come un uomo diabolico, superstizioso, sospettoso, confiscatore di beni altrui.
Ci incontriamo durante una festa nella sua residenza, il castello di Gragnano Trebbiense, in aperta pianura, a pochi chilometri dalla città di Piacenza.
Sono giovane, molto bella e intelligente. È difficile restare indifferenti alla mia avvenenza. Ranuccio mi nota immediatamente, si invaghisce di me e io vedo in lui un uomo che può fare la differenza nella mia vita. Anche mia madre, Elena, fa di tutto perché la nostra storia diventi seria. In breve tempo divento la sua amante. I nostri incontri clandestini si fanno sempre più frequenti.
Andiamo a vivere a Parma, a Palazzo Ducale, con cortigiani e nobili, che malvolentieri, viste le nostre origini, sono costretti a considerarci loro pari per non contrariare il Duca.
La mia vita scorre serena, non amo Ranuccio, ma posso con lui elevare il mio stato. Resto incinta due volte, partorisco figli sani e forti. Continuo a sperare che un giorno si deciderà a sposarmi, a riconoscere i nostri bambini come suoi, come eredi della casa Farnese, continuo a sognare la sicurezza che un titolo nobiliare può darmi in questi tempi.
Ma la mia vita cambia nel 1599, quando per ragioni di stato, Ranuccio decide di sposare Margherita Aldobrandini, nipote di Papa Clemente VIII. Cerco di oppormi, ma nulla posso. Piango mi dispero, supplico, cerco di fargli capire che ha due figli in perfetta salute che possono essere suoi eredi. Ma non serve a nulla.
In dicembre si sposano.
Margherita non è bella, anzi è bruttina e malaticcia, ma è molto ricca ed influente. E questo a Ranuccio piace. Il potere è la sua linfa vitale.
Nel giro di breve tempo emergono i primi problemi legati alla possibilità di avere dei figli. Il loro primo nato, vede la luce l’8 agosto 1602. Sopravvive poche ore.
L’anno seguente Margherita è di nuovo incinta, questa volta partorisce una femmina, che muore in pochi giorni.
Ranuccio è furioso. Non si dà pace. Due figli bastardi sani. Due figli legittimi morti. Come può essere tanta malasorte?
I fatti che accadono dopo non sono certo più felici. Due aborti successivi e finalmente un bimbo che riesce a sopravvivere, Alessandro. Ma la gioia dura poco perché il piccolo è sordomuto ed epilettico, malattia ereditata dal padre.
Ed io, dove sono finita? Dopo un primo allontanamento da Palazzo, cerco di convincere Ranuccio a riprendere la nostra relazione, non voglio perdere i miei privilegi e voglio che riconosca i nostri figli.
Per consolarsi delle sventure familiari, il Duca cede alle mie lusinghe e riprende a farmi visita la notte. Tra le mie braccia trova conforto e piacere ed io, fra le sue, la speranza che possa un giorno lasciare quella donna incapace di dargli un erede.
Che errore. Come ho potuto fidarmi di lui? Come ho potuto credere che avrebbe preferito me al potere, al denaro?
In breve tempo la salute di Ranuccio peggiora. Ancora malasorte.
Soffre di mille disturbi, io gli sono accanto, sempre, perché continuo a sperare: atroci mal di testa, sofferenze psicologiche, palpitazioni al cuore, un sistema nervoso pressoché a pezzi, singhiozzo convulso. Nelle ultime settimane, prima del mio arresto, comincia a sentire e vedere cose che sono solo nella sua testa.
Al Castello di Gragnano giungono, chiamati da Margherita, i migliori medici della zona. Nessuno sa cosa sia successo, nessuno capisce cosa scateni la follia del Duca. Nessuno lo sa, ma Ranuccio non ha dubbi, è vittima di un sortilegio, un maleficio lo ha colto improvvisamente, rendendolo schiavo dei fantasmi che popolano la sua mente.
Chi può aver fatto questo?
“Non io Ranuccio, io sono estranea al male che ti ha colto!”
Ma il Duca non ha dubbi, sono colpevole.
Mio Dio! Non posso scappare, non posso fare nulla. Dove vado?
Il 27 aprile 1611 le guardie di Ranuccio bussano alla mia porta. Ho Paura, per me e per mia madre, ormai è anziana, che le faranno?
Ci dividono dai bambini, i miei adorati figli, li trascinano via, lontano da me. Li sento urlare, il cuore mi va in pezzi. Mia madre piange, urla, ma la sento così lontana, come se non fosse qui accanto a me, come se tutto questo non stesse succedendo a me. Il buio. Perdo i sensi.
Mi risveglio in un posto che non conosco. Ho male ai polsi, sono legata a spesse catene. Madre dove sei? La chiamo, molte volte, urlo, piango, poi sento la sua voce lontana, forse nella stanza accanto.
“Madre che ci faranno?”
Mi guardo attorno, una scrivania alta e spoglia è posta davanti a me, alle spalle un camino acceso, il fuoco è vivo, ma io ho freddo, il buio tutto intorno. Mi accorgo che non ho più nulla indosso se non la mia camicia bianca.
Non ci sono finestre, le pareti sono umide. Ora capisco, sono nel sotterraneo del castello. Ranuccio mi ha nascosta qui, nessuno deve sapere cosa sta per succedere, nessuno deve sapere che presto morirò. I miei bambini. Penso a loro, alla paura che avranno senza di me.
Entrano tre uomini, due frati e un altro, non so chi sia. Si avvicinano a me, mi parlano, ma io non capisco bene, cosa vogliono? Cercano in me lo stigma diaboli, ma io non so cosa sia.
Mi guardano, dappertutto, cercano, piango ancora, mi sento male, sporca. Hanno violato il mio corpo, mi hanno toccata come se fossi un oggetto senza valore.
Scrivono, ma cosa? Parlano fra loro, vogliono che confessi che è solo colpa mia se la sventura ha colpito Ranuccio, perché sono malvagia, sono una strega. Io una strega? No, sono solo una donna, ambiziosa, forse sciocca, ma non so nulla di demoni e malefici.
Sento urlare. È mia madre. Un tonfo, sordo e poi nulla. La paura mi scuote, non riesco a trattenermi, devo urinare. Uno dei frati si accorge che ho fatto pipì, mi dà uno schiaffo, forte. Cagna schifosa, ecco cosa sono.
Non sento più mia madre. La porta si apre, entra un uomo che bisbiglia qualcosa all’orecchio del frate. Parlano di lei ma non capisco. Mi guardano, tocca a me.
Nelle mani dei frati è solo dolore, disperazione e desiderio di morire. Se muoio non sento più nulla. Perdo i sensi, molte volte, il tempo si è fermato, ma i miei aguzzini sono premurosi, mi fanno rinvenire. Le domande incalzano, sono sfinita, sporca.
Confesso, si devo confessare, così smetteranno. Dico tutto quello che vogliono, loro prendono nota: parlo dei filtri d’amore che ho preparato per ammaliare Ranuccio, di come con mia madre per tenerlo vicino a me abbiamo preso a bacchettate un’immagine della Madonna recitando un incantesimo: “La Vergine nascette in Airò; sia benedetto quello profeta che la proffettizzò; sia benedetto quell’angelo che l’annuntiò; disse Ave Maria ed pupi s’inzenocchiò”. E il malessere di Ranuccio? Opera mia. La sua epilessia, le voci in testa, sono demoni mandati da me per renderlo debole.
I figli suoi e di Margherita li ho fatti morire io, non sopportavo che vivessero, che prendessero il posto dei miei. Per farlo, con Ranuccio in viaggio, io e mia madre abbiamo piantato nella cantina del castello un bastone, dentro ad una buca profonda. Ogni germoglio nato è un nuovo Farnese. Strappato il germoglio il piccolo muore.
Confesso, ammetto tutto, come un fiume in piena. Alle mie parole si aggiungono anche dei testimoni che confermano quanto io sia malvagia, confermano i miei rapporti con il Demonio.
Fra questi, Antonia Zanini, un’apprendista strega, istruita da me per nuocere al Duca. Ma chi è questa donna? Quando l’ho conosciuta? Ma non serve ricordare, non importa.
Non ci sono più dubbi.
Come un sacco mi gettano a terra, resto li ad attendere la fine, sono passati giorni, non so quanti. Non sono più io, sono l’ombra di me stessa, della giovane donna bella ed intelligente, dell’amante di Ranuccio I Farnese. Sono una strega, lo hanno deciso loro, hanno emesso la sentenza prima ancora di capire chi avevano di fronte.
La mia vita non vale più nulla, di fronte a loro sono nulla. Il rogo segnerà la mia fine. Mia madre, quel che resta di lei, accanto a me.
La leggenda dice che il mio spirito vaghi ancora, senza trovare pace, nei sotterranei del castello.
La leggenda fu creata dall’uomo per nascondere la verità, vi chiederete quale sia: fui arsa viva sul rogo. La folla gaudente urlava e gridava: brucia strega! Brucia!
Nelle mani dei frati è solo dolore, disperazione e desiderio di morire. Se muoio non sento più nulla. Perdo i sensi, molte volte, il tempo si è fermato, ma i miei aguzzini sono premurosi, mi fanno rinvenire. Le domande incalzano, sono sfinita, sporca.
Confesso, si devo confessare, così smetteranno. Dico tutto quello che vogliono, loro prendono nota: parlo dei filtri d’amore che ho preparato per ammaliare Ranuccio, di come con mia madre per tenerlo vicino a me abbiamo preso a bacchettate un’immagine della Madonna recitando un incantesimo: “La Vergine nascette in Airò; sia benedetto quello profeta che la proffettizzò; sia benedetto quell’angelo che l’annuntiò; disse Ave Maria ed pupi s’inzenocchiò”. E il malessere di Ranuccio? Opera mia. La sua epilessia, le voci in testa, sono demoni mandati da me per renderlo debole.
I figli suoi e di Margherita li ho fatti morire io, non sopportavo che vivessero, che prendessero il posto dei miei. Per farlo, con Ranuccio in viaggio, io e mia madre abbiamo piantato nella cantina del castello un bastone, dentro ad una buca profonda. Ogni germoglio nato è un nuovo Farnese. Strappato il germoglio il piccolo muore.
Confesso, ammetto tutto, come un fiume in piena. Alle mie parole si aggiungono anche dei testimoni che confermano quanto io sia malvagia, confermano i miei rapporti con il Demonio.
Fra questi, Antonia Zanini, un’apprendista strega, istruita da me per nuocere al Duca. Ma chi è questa donna? Quando l’ho conosciuta? Ma non serve ricordare, non importa.
Non ci sono più dubbi.
Come un sacco mi gettano a terra, resto li ad attendere la fine, sono passati giorni, non so quanti. Non sono più io, sono l’ombra di me stessa, della giovane donna bella ed intelligente, dell’amante di Ranuccio I Farnese. Sono una strega, lo hanno deciso loro, hanno emesso la sentenza prima ancora di capire chi avevano di fronte.
La mia vita non vale più nulla, di fronte a loro sono nulla. Il rogo segnerà la mia fine. Mia madre, quel che resta di lei, accanto a me.
La leggenda dice che il mio spirito vaghi ancora, senza trovare pace, nei sotterranei del castello.
La leggenda fu creata dall’uomo per nascondere la verità, vi chiederete quale sia: fui arsa viva sul rogo. La folla gaudente urlava e gridava: brucia strega! Brucia!