L’inverno, penetrava fitto nei cuori e nell’animo della gente fino ad incarnarsi nell’animo più profondo scuotendone il tormento, ed il pallido sole morente non lasciava scampo a funesti presagi di sventura e di morte.
Natale non fu sempre un periodo di amore caritatevole.
Natale non fu sempre un periodo di amore caritatevole.
I dodici giorni di festività prima della venuta di Cristo, e della sua fede, i demoni, fantasmi e dei tornavano sulla terra per portar giudizio o morte fra i viventi, prima della rinascita del sole.
Furono nominati “Cacciatori”.
Fu una notte colma di neve, mi ero avventurato stupidamente nelle tenebre più profonde, ed in questi giorni di nera magia fu una cosa molto insensata, ma il mio cavallo era fuggito spaventato per colpa dei miei avi trapassati tornati per festeggiare come ogni anno la vigilia del 25 dicembre con un banchetto ricco per il loro lungo viaggio dall’aldilà, essi controllavano le stalle, le cucine e lo stato della mia famiglia ma qualcosa nella loro visita è stato di poco gradimento, sul grosso camino ardente un nuovo simbolo religioso appariva in sostituzione degli dei antichi, un uomo morente su di una croce fu il nostro nuovo Dio da lodare, ma dovevo per forza riportar il cavallo nella stalla il prima possibile, rischiai nonostante le lacrime di mia moglie, che mi scongiurava di uscire all’alba, perché “la Dea” sorvolava già i cieli neri cavalcando il suo spettrale cavallo accompagnato dalla sua schiera di bambini fantasmi. Berchta era il suo nome, un’antica Dea mostruosa, uno spettro dai lunghi capelli grigi, fredda come la morte stretta nella sua veste nera cavalcante il suo stallone dagli occhi infuocati, venerata e temuta con altari eretti in suo onore e fuochi sempre accesi da rami sempreverdi per benedire il proprio futuro e spesso per farselo predire, ma in quelle notti, essa passava casa dopo casa per giudicare gli uomini e mandare pestilenze e carestie a chi non fosse stato meritevole, ma chiunque l’avesse guardata o spiata sarebbe divenuto cieco o ammazzato dagli imponenti zoccoli del suo maestoso cavallo. Con la debole fiamma della mia lanterna tormentata per la gelida brezza che spirava come un demone affamato, mi ritrovai ai piedi della foresta, silenziosa e parlante per via del vento che si spezzava sulle alte cime dei pini, quando all’improvviso udì un suono terrificante di gemiti di bambini e il nitrito di un cavallo, il mio cuore gelò quando alzando gli occhi vidi la Dea con la sua schiera di fanciulli fantasma che discendeva luminosa dal cielo verso la nuda terra e la mia vita. Mi nascosi dietro un albero sperando che essa non mi avesse notato e quando tocco il suolo con il suo nobile cavallo il tonfo di quegli zoccoli tuonarono come campane funebri sulla candida neve, mi accorsi che un bambino di pochi mesi continuava a cadere sulla neve gelida perché mai la vita gli donò il tempo per imparare a camminare, ed io padre preso da questo innato istinto corsi verso di lui per rimetterlo in piedi, ma quando la Dea si accorse della mia presenza mi levò uno sguardo potente come uno schiaffo, ma sorrise come una madre e mi disse , e scomparì dietro la tormenta. Non ritrovai mai più il mio cavallo, ma ebbi in cuor la certezza della serenità dei miei figli. Non ebbi mai dono più grande.
Le storie seguenti, frutto della mia fantasia, narrano leggende popolari nord europee ed italiche esistenti.
Il prete
La Santa Messa della vigilia di Natale era terminata.
Le campane picchiavano solennemente la mezzanotte.
Mentre la gente scompariva lentamente dalla chiesa come lumi in balia del vento, abbandonati alla gelida notte e a quella fitta neve ricoprente.
Sistemai l’altare, tra le docili melodie che lentamente soffocavano in lontananza, di pifferi e tamburelli e di bambini festosi. Levai la mia vecchia tunica e chiusi la sacrestia, rimasi solo con la mia candela ed il vecchio Abraham, l’erborista del paese, un uomo colto, misterioso e solo a tal punto da dialogare con se stesso. Era magro come la bacchetta di un nocciolo affranta dall’autunno, e amava a tal punto l’esoterismo che fu allontanato dagli insegnamenti accademici.
Stringeva la sua borsa in cuoio e non appena fui da lui illuminandone il viso sorrise e mi disse di aver con sé tutto l’occorrente; l’erba di San Giovanni, il fiore estivo usato per combattere le anime che tornavano sulla terra, un rametto di alloro per allontanare il demonio e i suoi oscuri servitori, ed un ramo di biancospino i cui i suoi frutti rossi difendevano dagli attacchi delle forze maligne.
Uscimmo silenziosamente dalla chiesa e ci avviammo verso il desolato cimitero, la fiamma della mia candela danzava impaurita in quella macabra atmosfera che si stava creando tra la nebbia e l’ impietoso canto del vento.
Giunti al campo santo ci nascondemmo dietro una colonna del portico e chiesi al vecchio Abraham quando sarebbero “apparsi”, ma lui tacque come questa notte che improvvisamente smise di ansimare.
Le Campane rintoccarono l’una.
Eccoli! Sussurrò il vecchio in un lamento, e dopo un lampo di luce apparvero le ombre di chi sarebbe morto entro la fine dell’anno venturo. Vedemmo i loro volti, riconobbi la maestra ed il vecchio mugnaio, camminavano in fila percorrendo il gelido corridoio del cimitero ma non appena la fine del gruppo stava per apparire scorsi il mio viso fra quelle ombre che mi fissava divertito per poi sparire nel nulla.
Natale rappresentava in molte credenze la possibilità di prevedere il futuro ed era un periodo dove il paganesimo manteneva vivo il suo antico ricordo con le sue tradizioni e superstizioni, in questo periodo nero la morte del sole e della luce segnavano le antiche paure della morte e del male.
I Krampus
Il raccolto dell’anno fu misero, e alle porte del Natale il granaio era spoglio di ogni provvista per il lungo inverno e presto la fame e la miseria bussarono alle porte del mio piccolo villaggio di montagna.
Decidemmo quindi noi giovani del paese di travestirci usando imponenti pellicce di animali, grosse piume di rapaci e corna su di una maschera orribile per terrorizzare gli abitanti dei paesi vicini e prender le provviste per il lungo gelo.
Non conoscevamo bene chi dietro quelle maschere si nascondesse, ci ritrovavamo di notte intimoriti e con le fiaccole partivamo per spaventare e far fuggire i paesani limitrofi portando via con noi le loro provviste.
Ben presto la violenza nacque da parte di uno di noi, che appena poteva, oltre che a spaventare malmenava le vittime brutalmente e seduceva i più giovani con strane dottrine ed idee.
Una notte presi dal dubbio osservammo lo strano individuo e con spavento e terrore ci accorgemmo che le sue orme lasciate nella neve erano simili a zoccoli di un grosso animale, e le zampe ricordavano quelle di un caprone. Presi dal panico chiedemmo allo strano individuo di togliere l’orribile maschera, e messo alle strette rivelò la sua oscura verità. Sfuriando inferocito gridò il terribile segreto «sono il diavolo» .
Impauriti pregammo il vescovo Nicolò di venire (San Nicola, l’origine di Babbo Natale) per esorcizzare la malefica presenza, e dopo un duro combattimento il diavolo venne sconfitto e costretto a fuggire lontano per trovar riposo.
Per noi giovani invece, come lezione, ogni anno avremmo dovuto vestirci da demoni sfilando lungo le vie dei villaggi e questa volta non più derubando la povera gente ma portando doni.
Naturalmente accompagnati dal Santo vescovo Nicola.