Giovannino Guareschi, il piccolo paese e il grande fiume

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Don Camillo è un personaggio letterario ideato dallo scrittore Giovannino Guareschi. Il parroco è il protagonista di una serie di racconti nei quali si oppone all’antagonista nemico – amico Peppone.
Don Camillo è un personaggio letterario ideato dallo scrittore Giovannino Guareschi. Il parroco è il protagonista di una serie di racconti nei quali si oppone all’antagonista nemico – amico Peppone. Questi racconti furono ambientati in un paese sulle rive del fiume Po, identificato in Brescello nelle riduzioni cinematografiche. L’ambiente nel quale nasceva, e moriva, il conflitto tra i due protagonisti fu definito dall’ideatore come Mondo Piccolo, che ben rappresentava l’esempio dell’Italia rurale che faticosamente usciva dalla seconda guerra mondiale. Giovannino Guareschi nasceva a Fontanelle di Roccabiana il primo maggio del 1908. Secondo Pier Mario Fasanotti, autore dello scritto Il coraggio di Guareschi, è uno degli scrittori italiani più venduti nel mondo, con oltre 20.000.000 di copie acquistate dai suoi lettori. Secondo Guido Conti, autore del libro Giovannino Guareschi – biografia di uno scrittore, è lo scrittore italiano maggiormente tradotto nelle diverse lingue di questo magnifico mondo. Guareschi affrontò diversi momenti difficili nel corso della propria esistenza, i primi legati alla seconda guerra mondiale. Giovannino conobbe il carcere ed i campi di prigionia. Il primo periodo di detenzione è legato ad una sbornia: in seguito alla falsa notizia della morte del fratello sul fronte russo, si ubriacò. Il risultato di quella serata fu una serie infinita d’insulti diretti a Benito Mussolini. Nei giorni seguenti un fervente fascista decise di denunciarlo alle forze dell’ordine per quell’episodio. Guareschi fu arrestato e rischiò la fucilazione. Gli furono riconosciute le attenuanti e nel 1943 fu condannato al richiamo nell’esercito italiano.
Terminò la guerra con il grado d’ufficiale d’artiglieria.
La seconda conoscenza con la prigionia avvenne in seguito all’armistizio firmato dall’Italia, o meglio dal Maresciallo Badoglio, con gli Alleati. Guareschi si trovava in caserma ad Alessandria, in Piemonte. Nei caldissimi giorni in cui i nemici diventarono amici, e gli amici nemici da uccidere, Giovannino rifiutò di disconoscere l’autorità del Re. Fu arrestato ed inviato nei campi di prigionia: conobbe Czestochowa, Beniaminow, Sandbostel. Nel periodo della prigionia riuscì a comporre La Favole di Natale.  La guerra finì, portando con se dolori e strascichi che ancora oggi non siamo in grado di debellare. Rientrato in Italia fondò, con Mosca e Mondaini, la rivista indipendente Il Candido, settimanale del sabato.
«Qualcuno si ostinerà a voler trovare che Candido ha vaghe tendenze destrorse, il che non è vero per niente in quanto Candido è di destra nel modo più deciso e inequivocabile.»
Queste le parole utilizzate per presentare la rivista.
Le simpatie monarchiche non furono mai nascoste.
Guareschi ricoprì la carica di condirettore, con Giovanni Mosca, sino al 1950. Da quell’anno, e sino al 1957, fu unico direttore della rivista, che possiamo catalogare come satirica.
Giovannino Guareschi fu irriducibile monarchico e mai nascose tale sentimento. Si spinse a sostenere apertamente la monarchia in occasione del referendum istituzionale del 2 giugno 1946.  Non si limitò a sostenerla, denunciò i brogli, che secondo lui, avevano ribaltato l’esito del voto.
La ricerca della verità lo condusse a denunciare gli omicidi politici del triangolo della morte: con questa locuzione si vuole indicare una zona particolare dell’Italia del Nord ove dalla fine della seconda guerra mondiale, e sino al 1949, si registrò un impressionante numero d’omicidi a sfondo politico. Queste uccisioni furono attribuite a partigiani e militanti di formazioni comuniste.
I numeri parlano di almeno 4500 morti, causati dalla giustizia partigiana.
«Noi chiamammo poco tempo fa l’Emilia “Messico d’Italia”, ma ciò è ingiusto perché piuttosto si deve dire che il Messico è l’Emilia d’America. Cose terribili succedono a Castelfranco Emilia e gente ci manda lettere piene di terrore elencando assassini. Quarantadue persone sono già state soppresse misteriosamente per cause di politica o di vendetta, in uno spazio di pochi chilometri quadrati, in piena pianura. E la gente sa, ma non parla perché ha paura. »
Negli scritti del periodo si possono leggere una profonda fede cattolica, un fervente attaccamento alla monarchia e un caldo anticomunismo.
Entrò in conflitto dialettico con Togliatti, che lo definì «tre volte idiota moltiplicato per tre», concludendo un comizio a La Spezia con le parole «l’uomo più cretino del mondo
Nel 1950 fu condannato, con la condizionale, ad otto mesi di carcere per vilipendio al Capo dello Stato, Luigi Einaudi. Una vignetta sul candido aveva messo in risalto che il presidente dello Stato aveva apposto sull’etichetta di un vino di sua produzione, un Nebbiolo, la carica di senatore.
Il 1954 incombe.
Il 26 maggio di quell’anno Giovannino Guareschi entrò nel carcere di Parma per uscirne il 4 luglio dell’anno successivo.
409 giorni di prigionia, sotto stretta sorveglianza.
I motivi della detenzione?
L’acceso scontro con Alcide De Gasperi, che iniziò con la dialettica per concludersi con incartamenti, avvocati e tribunali.
Le colpe di De Gasperi secondo Guareschi?
L’apertura a sinistra del leader della Democrazia Cristiana.
Le diverse posizioni politiche portarono Giovannino dietro le sbarre?
No.
Ricostruiamo i fatti: il 24 e il 31 gennaio 1954, sul settimanale diretto da Guareschi, furono pubblicate due lettere risalenti al periodo della seconda guerra mondiale. Le due missive, scritte e firmate da Alcide De Gasperi dal suo rifugio in Vaticano, erano dirette al generale delle forze alleate Harold Alexander.
Il contenuto degli scritti?
La richiesta del bombardamento d’alcuni punti nevralgici della città di Roma.
Il motivo di tale richiesta?
«Infrangere l’ultima resistenza morale del popolo romano» nei confronti di fascisti e truppe tedesche.»
Guareschi si preoccupò di verificare l’autenticità delle lettere?
Assolutamente si, poiché le sottopose per una perizia calligrafica ad un’autorità assoluta in materia: il dottor Umberto Focaccia. Il perito in aula affermò: «dopo un lungo, attento e scrupoloso esame di confronti con molti altri scritti, sicuramente autentici di De Gasperi, in piena coscienza, di riconoscere per autentiche del De Gasperi la scrittura del testo e la firma di cui sopra.»
Alla fine di un aspro dibattimento Guareschi fu condannato in primo grado a dodici mesi di carcere.
Decise di non presentare appello.
Giovannino Guareschi dopo i campi di prigionia si avviò alla conoscenza delle carceri della Repubblica Italiana.
Un secondo collegio, istituito per deliberare sul reato di falso, decise per la distruzione del corpo del reato ovvero delle lettere originali.
I dodici mesi divennero 409 giorni di carcere poiché, alla sentenza per il caso De Gasperi, si assommarono i mesi per la condanna di vilipendio al Capo dello Stato.
«In tutta questa faccenda hanno tenuto conto dell’alibi morale di De Gasperi e non si è neppure ammesso che io possegga un alibi morale. Quarantacinque o quarantasei anni di vita pubblica, di lavoro onesto non sono un luminoso alibi morale?»
Con queste parole, proposte nell’edizione del 25 aprile di quell’anno sulle pagine del Candido, Guareschi commentava la sentenza.
Scontata interamente la pena detentiva, fu assoggettato al regime della libertà vigilata per sei mesi.
Guareschi è stato l’unico giornalista della Repubblica Italiana a scontare interamente una pena detentiva in carcere per il reato di diffamazione a mezzo stampa.
De Gasperì morì il 19 agosto 1954, mentre Guareschi scontava la condanna. «Mi ha invece rattristato – scrisse – la morte improvvisa di quel poveretto. Io, alla mia uscita, avrei voluto trovarlo sano e potentissimo come l’avevo lasciato: ma inchiniamoci ai Decreti del Padreterno».
Uno studio del 2014, condotto dallo storico Mimmo Franzinelli, sui documenti rimasti ha proposto la falsità delle lettere attribuite ad Alcide De Gasperi. Ricordo che altri studi, condotti da Luciano Garibaldi, affermano che gli originali delle lettere furono inserite da Benito Mussolini nella famosa borsa con cui cercò riparo in Svizzera. La stessa fu requisita dai partigiani al momento dell’arresto. Mussolini affermò che il contenuto di quella borsa equivaleva ad una guerra vinta.
Lascio la conclusione alle parole di Marcello Veneziani: «Per comporre la biografia civile di Guareschi bisogna riconoscere i suoi tre paradossi, dopo due anni nei campi di concentramento nazisti, passò per un fascista; dopo aver vinto la battaglia nel ’48, appoggiando la DC di De Gasperi, finì in galera per la querela del medesimo De Gasperi; dopo aver umanizzato i comunisti, fondò il settimanale più efficace nella lotta al comunismo e là scrisse il primo libro nero del comunismo.»
Fabio Casalini
Fotografie
1- Guareschi con Fernandel e Gino Cervi
2- Guareschi nel campo di prigionia di Sandbostel
3- La fossa comune dei fratelli Govoni e di altri cittadini italiani uccisi nel triangolo rosso
4- Vignetta sulla carcerazione di Guareschi
5- Giovannino Guareschi

BIBLIOGRAFIA

  • Marco Ferrazzoli – Guareschi. L’eretico della risata – Costantino Marco
  • Stefano Beltrami ed Elena Bertoldi – Bicarbonato e mentine. Giovannino Guareschi, l’amico dei giorni difficili – GAM Editore
  • Guido Conti – Giovannino Guareschi. Biografia di uno scrittore – Rizzoli
  • Marcello Veneziani, prefazione a Marco Ferrazzoli – Non solo Don Camillo – edizioni L’uomo libero
  • Mimmo Franzinelli – Bombardate Roma! – Milano, Mondadori,

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