Il mare notturno taceva limpido e dorato, vigliacco e traditore nel silenzio infausto di un porto violentato da oltre 150 vele ottomane giunte sotto i bastioni di Otranto, voraci come corvi in attesa di carne cristiana putrefatta.
Scivolava l’anno del Signore 1480. L’estate donava alla volta celeste il meglio che la luna potesse irradiare, un finto sole, imitatore del giocondo dì, così che il buio non divenne più un nemico del nostro nemico.
Scivolava l’anno del Signore 1480. L’estate donava alla volta celeste il meglio che la luna potesse irradiare, un finto sole, imitatore del giocondo dì, così che il buio non divenne più un nemico del nostro nemico.
I cavalieri ed i soldati del sovrano del regno di Napoli e delle terre d’Otranto, distavano troppo dalle mura per giungere in difesa della città e del popolo.
Diciottomila turchi attendevano la guerra o la nostra resa e sottomissione ai loro voleri; le nostre terre, le nostre donne come schiave, i nostri figli come soldati. La nostra fede rinnegata.
Eravamo un piccolo contingente militare di circa mille uomini pronti a essere massacrati, quando uomini del popolo che mai in vita strinsero una spada si unirono nel castello portando donne e bambini abbandonando il borgo all’invasore abbracciando l’idea di combattere fino alla morte.
In lontananza l’atrocità delle fiamme che ardevano selvagge, si nutrivano di ogni traccia del nostro passato, con il vento salato giungevano sulle torri e nella corte una densa pioggia grigiastra di frammenti di pergamene e antichi libri, gli ultimi attimi di ciò che restava dell’antico monastero di San Nicola di Casole, culla delle nostre origini.
Il terrore mischiato alle lacrime dei più deboli e a quella tempesta di carta, provocò nella notte del 29 luglio una fuga dal castello di gran parte della difesa delle mura, molti uomini fuggirono via verso la campagna donando le spalle al loro mare.
L’assedio dannato cominciò nella sua folle danza macabra.
Dopo giorni di ardua battaglia, e tenacia della nostra gente, il nove agosto un attacco violento provocò una ferita immane alle nostre difese, le pietre bianche delle mura crollavano, come gabbiani su un promontorio, ritornando alla loro terra da cui furono estratte ed i soldati avanzarono senza tregua nel cuore del castello, ma furono bloccati dai capitani Francesco Zurlo e Giovanni Delli Falconi, sino al dieci agosto, quando i turchi circondarono ormai i pochi uomini restanti.
Il pascià ammiraglio della spedizione non accettò che il suo esercito fosse stato bloccato per tutto questo tempo da dei miseri pescatori, contadini e qualche soldato, quindi impose l’ultima sentenza: Nessun schiavo, o la vita o la conversione all’Islam.
Gli ottocento uomini si chinarono nessuno tra loro scelse la conversione.
Furono portati nella cattedrale e lì decapitati uno ad uno sotto l’altare.
I resti dei corpi furono abbandonati senza sepoltura alla terra, alla fame dei corvi e dei cani randagi.
La cattedrale divenne una moschea, furono distrutti gli affreschi, le croci e tutto ciò che era infedele.
Ma nulla fu fatto contro il Mosaico di Pantaleone, l’antico mosaico lungo 53 metri, composto nel 1163 da un monaco di nome Pantaleone custode non di sola storia cristiana, ma di antiche leggende pagane e simboli esoterici sconosciuti tutt’oggi.
Il centro del mosaico raffigura l’albero della vita, sono poi rappresentati Carlo Magno. Re Artù, e una strana scacchiera, simbolo dei templari, vicino a Salomone e la Regina di Saba.
Una visone che può provocare inquietudine e paura, forse è questo il motivo per cui non fu andato distrutto, o qualche cosa terrorizzava una possibile profanazione?
(Le ossa degli 800 martiri ora sono custoditi in delle teche all’interno della cattedrale, alcuni teschi presentano offese anche dopo la morte come frecce tra lobi oculari.)