Esiste il ladro gentiluomo?
Trovando o forse meglio dire volendo trovare una risposta affermativa, una seconda domanda ci appare all’orizzonte: perché i briganti hanno un forte impatto sulla popolazione?
Il ladro gentiluomo è uno stereotipo della letteratura popolare, facilmente rintracciabile nel genere del romanzo giallo.
Questa figura è di norma una persona educata e benestante che non ha bisogno di lavorare per vivere, questo concetto conduce il pensiero al fatto che non debba rubare per sopravvivere.
Il ladro gentiluomo vive grazie all’astuzia, alla bella presenza ed al fascino.
Il brigante potrebbe rappresentare questa visione in una sua accezione allargata?
Normalmente la vita di un fuorilegge non inizia con un delitto, ma come vittima di un sopruso o d’ingiustizia da parte del potere costituito. L’aspetto interessante? La figura del brigante è associata all’idea che serve qualcuno per riparare le ingiustizie ed i torti subiti dal popolo.
Robin Hood non rubava ai ricchi per donare ai poveri?
Forse l’eroe con l’arco non aveva bisogno di comprare la protezione della popolazione.
L’ultimo aspetto introduttivo riguarda l’invisibilità e l’invulnerabilità di questi personaggi. La loro cattura o morte dipende esclusivamente dal tradimento di uno dei compagni.
Tutti questi aspetti si trovano in Stefano Pelloni, conosciuto come il Passatore?
“Romagna solatia, dolce paese, cui regnarono Guidi e Malatesta; cui tenne pure il Passator cortese, re della strada, re della foresta.”
Giovanni Pascoli concluse la poesia Romagna citando il Pelloni con il soprannome di Passator cortese, malgrado fosse un brigante spietato e crudele. Cerchiamo di ricostruire la sua vita.
Nacque come Stefano Pelloni, figlio di un traghettatore o passatore sul fiume Lamone, il 4 agosto del 1824 a Boncellino di Bagnacavallo, paese della Romagna a breve distanza da Ravenna.
Giunto alla terza elementare abbandonò gli studi, in seguito a diverse bocciature. Sin da giovane s’inguaiò con i poteri costituiti. Durante un trasferimento ad Ancona, dove avrebbe dovuto scontare quattro anni di lavori forzati per il furto di due fucili ed altri tre per la fuga dal carcere di Bagnacavallo, Pelloni Stefano riuscì a scappare ai controllori dandosi alla macchia.
Le biografie raccontano che da subito il Passatore entrò in un gruppo d’azione dedito alle scorribande delinquenziali: in breve tempo lo trasformò in una banda armata.
La banda del Pelloni per anni effettuò violenze all’interno delle Legazioni Pontificie, termine che merita un piccolo approfondimento. Fino alla presa di Roma lo Stato Pontificio fu suddiviso in 17 delegazioni apostoliche, istaurate da Pio VII nel 1816. Le delegazioni assumevano il nome di Legazione quando erano governate da un cardinale.
La banda del Passatore riuscì a tenere in apprensione la gendarmeria dello stato pontificio grazie ad una fitta rete di spie ed informatori. Possiamo parlare di connivenza tra la banda e la parte più povera della popolazione.
Il Passatore come ottenne l’appoggio del popolo?
Semplicemente comprandolo. Stefano Pelloni ricompensava le genti di Romagna con i proventi di furti e rapine.
L’operato di questo brigante fu violento e spesso sadico. I resoconti ricordano che fece a pezzi un uomo accusato di essere una spia. In altre occasioni il Passatore infierì sulle vittime decapitandole ed esponendo la testa in mezzo alla strada, come avviso alle spie e agli uomini della gendarmeria pontificia.
Pelloni firmava con le urla le proprie malefatte dichiarando apertamente, e a voce alta, il nome ed il soprannome: Stuvanén d’è pasador, la cui traduzione risulta Stefano figlio del Passatore.
Nel suo modus operandi rientrava l’occupazione armata d’interi paesi e borghi. Questi avvenimenti colpirono Bagnara di Romagna, Castel Guelfo, Brisighella e diversi altri luoghi. In queste occupazioni la banda assaltava le abitazioni degli abitanti più facoltosi, seviziandoli per ottenere informazioni inerenti al luogo ove erano nascoste le ricchezze.
Il personaggio colpiva l’immaginario collettivo, non solo quello della popolazione povera. Nell’ottobre del 1850 Garibaldi da New York scrisse la seguente lettera: le notizie del Passatore sono stupende. Noi baceremo il piede di questo bravo italiano che non paventa, in questi tempi di generale paura, di sfidare i dominatori. Mi chiedo se le informazioni che giungevano a Garibaldi erano esatte e veritiere.
La vergogna sostituisce il terrore.
La follia omicida sostituisce la paura.
La violenza sulle donne appartiene a questa banda di delinquenti armati.
Iniziano a diradarsi le nebbie sulla reale figura di quest’uomo.
Forlimpopoli, 25 gennaio del 1851.
Durante l’intervallo di un’opera teatrale i briganti entrarono nel teatro comunale salendo sul palco ed immobilizzando tutti i presenti, fucili alla mano. Derubarono gli spettatori, ma non accontentandosi del bottino decisero di utilizzare alcuni dei presenti come lascia-passare per le abitazioni d’altri facoltosi abitanti della città. Durante quest’operazione delinquenziale stuprarono diverse donne. Tra queste povere malcapitate anche la sorella di Pellegrino Artusi, che impazzì in seguito alle violenze subite. Artusi merita una nota a margine di questo resoconto per l’importanza del personaggio: è stato uno scrittore e gastronomo. Divenne famoso per il libro: la scienza in cucina e l’arte di mangiare bene. Ho parlato della pazzia della sorella che subì stupro: fu ricoverata in manicomio in seguito alla mancata accettazione delle violenze fisiche che il suo corpo e la sua mente dovettero oscenamente sopportare. Un’altra sorella rimase ferita negli eventi di Forlimpopoli. In seguito a questi accadimenti la famiglia Artusi decise di lasciare la Romagna, infestata da violente bande di briganti. Artusi riconobbe tra i vili aggressori del teatro di Forlimpopoli Don Pietro, parroco di una frazione di Trebozio e fiancheggiatore della banda armata. Il Passatore ed i suoi scagnozzi quel giorno realizzarono 5600 scudi, pari ad 1/7 di tutto il bottino delle rapine.
Di politico queste azioni non hanno mai avuto nulla.
Non era un rivoluzionario, era un bandito.
La fortuna voltò le spalle a Stefano Pelloni nel marzo del 1851, pochi mesi dopo i fatti del teatro. Il Passatore fu individuato, grazie al sapiente lavoro di spionaggio delle guardie pontificie, nei pressi di Russi. Scoppiò uno scontro a fuoco che condusse il bandito alla morte. Il cadavere fu adagiato sopra un carro per la pubblica esibizione nelle strade di Romagna.
Questo comportamento – che ricorda da vicino quello subito cinque secoli prima da Dolcino – serviva per attestare la morte del malfattore, ma anche per non creare inutili leggende sul Passatore.
Il cadavere fu seppellito presso la Certosa di Bologna, in luogo sconsacrato.
Dobbiamo chiederci perché Giovanni Pascoli inserì il Passatore, definendolo cortese, nella poesia Romagna.
La sorella di Stefano Pelloni, Lauretana, confessò: “non ha mai dato niente a nessuno: se dava qualcosa lo faceva perché aveva bisogno di complicità o altro”.
La domanda ritorna: per quale motivo Giovanni Pascoli lo definì cortese e gli dedicò la chiusura della poesia Romagna?
Le persone debbono sempre credere in qualcosa o in qualcuno, spesso si creano eroi e miti sbagliati seguendo l’immaginario popolare.
Fabio Casalini