Il Grand Hotel et de Milan venne inaugurato sabato 23 maggio 1863 nell’allora Corsia del Giardino (oggi l’ attuale via Manzoni), nel cuore del quadrilatero della moda, a pochi passi dal Teatro alla Scala, dal quartiere finanziario e dal Duomo.
La via era, al tempo, la più lussuosa della città meneghina sede di storici e prestigiosi palazzi di grande memoria, colmi di tesori d’arte che richiamano ancora immagini, scenari, echi di passi, voci e musiche di un passato ormai perduto.
La via era, al tempo, la più lussuosa della città meneghina sede di storici e prestigiosi palazzi di grande memoria, colmi di tesori d’arte che richiamano ancora immagini, scenari, echi di passi, voci e musiche di un passato ormai perduto.
E’ un primo pomeriggio di fine Aprile, sono pronto per incontrare Silvia Fondrieschi proprio al Grand Hotel et de Milan per chiedere la possibilità di scrivere un articolo sul prestigioso salotto raffinato ed esclusivo denso di storia, arte e cultura che conserva il fascino ed atmosfere retrò di un antico palazzo nobiliare milanese.
Il tempo di un breve viaggio in metropolitana ed eccomi all’aperto, proprio sul fianco dell’ Hotel che affaccia su Via Croce Rossa, ancora pochi passi e mi trovo davanti all’ elegante portone sempre presidiato da un portiere in impeccabile uniforme che mi guarda e sorride e al mio timido tentativo di entrare mi tiene aperta la porta come se fossi il più importante degli ospiti.
La cosa mi lusinga ma non mi sento completamente pronto, forse perché inadeguato per un posto così speciale. Prendo comunque coraggio ed entro nel lussuoso atrio chiedendo timidamente di essere ricevuto, vengo gentilmente invitato ad accomodarmi nella sala attigua ad attendere che il mio contatto mi raggiunga.
Mi guardo intorno e tutto è impeccabile, i fiori freschi danno un tocco di classe ai preziosi arredi e le eleganti delicate orchidee bianche fanno da raffinato sfondo ad alcuni clienti che sorseggiano un drink e a due eleganti uomini d’affari che chiacchierano ad un tavolino. In un angolo del salone, ben in vista, un ritratto del Maestro Giuseppe Verdi che domina l’ambiente.
Nell’ attesa mi siedo su uno dei divani e provo ad immaginare questo luogo 150 anni fa, chi potessero essere i clienti di allora e chi si fosse seduto al posto che adesso stavo occupando. Per un momento chiudo gli occhi e mi appaiono eleganti signore a braccetto di cavalieri che scendono da carrozze trainate da cavalli e varcano le porte dell’ Hotel ammirate da gente comune che dignitosamente si reca a lavoro. Mi sembra di sentire chiacchierare i clienti nelle varie sale ed i rumori delle posate e dei bicchieri di ambasciatori ed artisti che pranzano nell’attiguo ristorante.
Sono ancora assorto nei miei pensieri quando d’ improvviso vengo “riportato alla realtà” dal saluto di Silvia al quale (quasi) prontamente rispondo cercando di non dare a vedere che fossi un po’ “smarrito” nei miei pensieri. Lei mi sorride e mi invita per un caffè nel bar interno all’ hotel, ci sediamo ed inizio a spiegare il motivo della mia visita.
Basta poco e Silvia con entusiasmo mi racconta un po’ di storia di questo palazzo il cui progetto originale venne affidato all’architetto Andrea Pizzala, lo stesso che nel 1831 realizzò a Milano la Galleria De Cristoforis. Inizialmente l’edificio era di dimensioni più ridotte e fu solo nel 1879 che venne aggiunto un nuovo piano, il 4°, che durante la Seconda Guerra Mondiale, nel 1943, a seguito di un bombardamento fu completamente distrutto.
Verso la fine del 19° secolo l’hotel si dotò di un servizio telegrafico e postale riservato ai propri clienti, cosa quasi unica per l’epoca, ed è anche per questo che diplomatici e uomini d’affari lo scelsero come alloggio di prestigio durante i soggiorni nella città meneghina. Nel 1931 fu operato il primo grande restauro ed ogni camera fu dotata di telefono e acqua corrente.
Durante gli ultimi importanti lavori di ristrutturazione, avvenuti dal 1990 al 1993, sono state ritrovate parti della grande muraglia difensiva eretta nel 250 d.C. dall’Imperatore Massimiano: segno urbano importantissimo per Milano, difesa, baluardo e limite della città. Il nucleo della struttura delle mura era stato costruito con conglomerati di ciottoli e frammenti laterizi legati tra loro da una malta molto tenace. I resti delle mura, ora accuratamente restaurati, si possono oggi ammirare scendendo le scale che portano alla cantina del ristorante Don Carlos, posti al centro della sala e circondati da pregiati vini nazionali ed esteri.
L’ hotel dispone di diverse camere e Suite molte delle quali sono dedicate agli importanti personaggi che durante questi oltre 150 anni di storia le hanno occupate per periodi più o meno brevi. I viaggiatori vogliono portarvi alla scoperta di questi ambienti che hanno visto susseguirsi artisti, personalità ed attori di un tempo passato.
Suite 105 – Giuseppe Verdi
Roncole in Busseto (PR) 1813 – Milano 1901
Compositore
L’hotel raggiunse il massimo del prestigio nel 1872 quando il compositore Giuseppe Verdi vi stabilì la propria dimora, beneficiando della prossimità dell’albergo al teatro, alternando così la vita cittadina e di lavoro, a quella tranquilla di Sant’Agata, la sua tenuta di campagna. Gli venne assegnata la Suite 105 che ancora oggi porta il suo nome ed è rimasta pressochè immutata nel tempo a ricordo di questo grande genio della musica.
Verdi dimorò al “Milan”, come affettuosamente veniva chiamato il Grand Hotel dai milanesi, sino alla sua morte il 27 Gennaio 1901. Nei giorni precedenti molte persone sostarono davanti al Grand Hotel tanto che il Direttore del tempo fece affiggere all’ingresso dell’albergo i bollettini con lo stato di salute del Maestro. Per immenso rispetto e per alleviare le sofferenze di Verdi i giorni precedenti alla morte venne sparsa paglia sull’ intera Via Manzoni affinché potesse attutire i rumori delle carrozze e dei cavalli.
Ancora oggi all’esterno dell’hotel è affissa una targa che riporta questa scritta:
“Questa casa fece nè secoli memoranda Giuseppe Verdi che vi fu ospite ambito e vi spirò il dì 27 gennajo del 1901. Nel primo anniversario di tanta morte pose il comune per consenso unanime di popolo a perpetuo onore del sommo che avvivò nei petti italici con celestiali armonie il desiderio e la speranza di una patria”.