Il bimbo che imparò a volare

Tempo di lettura: 7 minuti

Le donne di casa e la levatrice sono stanche, addolorate e deluse. Una delle sagge femmine lascia la casa....
Cossogno, fine del 1600.
L’anno non è importante per la nostra narrazione.
Al lume di una consumata candela Pietro e Caterina piangono la morte del loro piccolo nato da pochi minuti.
Le donne di casa e la levatrice sono stanche, addolorate e deluse.
Una delle sagge femmine lascia la casa.
Cammina rapidamente tra gli acciottolati vicoli del paese.
Il tempo e lo spazio non esistono.
Pochi istanti dopo è in chiesa. Cerca don Cesare.
Il parroco capisce ancora prima che la donna possa proferire parola.
Camminano insieme in direzione della casa del dolore.
Nessuna parola.
Don Cesare entra nelle stanze con la consueta calma e dolcezza.
Una mano sulla spalla di Pietro, una carezza a Caterina, sdraiata sul letto.
Il prete guarda la scena con stupore.
Caterina ha voluto partorire a letto, è stata la prima del paese!
La sedia del parto adagiata in un angolo buio della stanza.
Il parroco ora è assalito dal dubbio.
Il suo pensare viene interrotto dalle parole della levatrice che spiega l’intenzione dei genitori di recarsi a Re, in Valle Vigezzo, per ottenere il miracolo del temporaneo ritorno alla vita del piccolo morto senza il battesimo.
Don Cesare è stupito, nessuno aveva mai avanzato tale richiesta!
I pensieri e le parole degli astanti si sovrappongono, ma nessuno riesce a dissuadere il padre dall’effettuare tale viaggio, se della speranza o della superstizione lo diranno i secoli a venire….
Il tempo trascorre tra lacrime ed urla.
Pietro è deciso, nessuno lo può fermare.
All’improvviso esce dalla casa per recarsi nel piccolo capanno adiacente.
Torna qualche minuto dopo con la gerla sulle spalle e la carriola spinta a fatica nella stanza.
Depone, con infinita dolcezza, il piccolo corpo inanimato nella carriola, ricoprendolo di panni bianchi.
Il parroco capisce che deve intervenire, si sente obbligato ad interrompere quell’assurdo pellegrinaggio del dolore!
Spiega, con molta calma, ai genitori che se vogliono chiedere il miracolo alla Madonna di Re, possono recarsi al santuario di Inoca, poco distante dalla loro abitazione.
Pietro e Caterina scuotono la testa, vogliono deporre il piccolo di fronte al’immagine della Madonna di Re!
Il prete ricorda, a tutti i presenti, che il santuario è stato costruito incorporando una piccola cappella dedicata alla madonna di Re.
Le femmine sagge convincono i genitori.
Pietro deporrà il piccolo corpo di fronte alla madonna del santuario di Inoca.
Il doloroso corteo si avvia.….
Don Cesare apre le porte del piccolo luogo sacro.
La chiesa è ora inondata di luce!
Pietro ferma la carriola all’ingresso. Il bimbo viene deposto sull’altare, esattamente di fronte all’immagine sacra. Una piccola piuma deposta sulle labbra, in attesa di un leggero movimento.
Le ore trascorrono tra orazioni e preghiere sino a quando il padre di Pietro entra nella chiesa.
Un lento parlare all’orecchio del ragazzo, che fissa l’anziano con stupore misto a speranza. Il padre, in quei pochi secondi di dialogo, gli ha spiegato l’esistenza di un masso, levigato dal tempo e dagli uomini, poco sopra Cicogna. Quel masso da sempre è considerato sacro…
Il giovane guarda il prete, che ricambia lo sguardo carico di domande e… di pietà. In cuor suo è cosciente di allontanarsi dall’idea predominante all’interno del corpo della chiesa circa l’inutilità di quella superstizione. Esiste il limbo per i bimbi nati morti, che bisogno vi era di ricorrere a questi riti?
La risposta è tutta negli occhi dei genitori che hanno visto morire la loro idea di futuro!
Don Cesare, rapito da mille pensieri, non si è accorto che ora Pietro gli siede di fianco… gli chiede l’impossibile! Chiedo di poterlo accompagnare al sacro masso!
Non riesce a rifiutare, l’amore per il suo gregge è grande.
Il ragazzo riprende il piccolo corpo e lo depone nella cesta che porta sulle spalle. Ancora uno sguardo al Santuario che non è stato benevolo verso di loro. Un cenno al parroco.
Partono.
I loro cuori sono tempestati da dubbi.
Quello di Pietro anche di speranza!
Superano Ronco Gobbo.
Non parlano.
Camminano nel sole del pomeriggio.
E’ il momento di attraversare il Bosco del Gaggio.
Usciti si dirigono verso Cicogna.
Dopo 3 ore di cammino si fermano sul selciato della chiesa.
Respirano senza mai scambiarsi parola, solo qualche cenno.
Don Cesare prende coraggio!
Chiede al ragazzo il perché della sua presenza.
Pietro misura le parole. Ha paura.
La speranza, che il suo piccolo possa tornare alla vita, anche solo per il tempo di un respiro, per ottenere il battesimo, lo aiuta ad affrontare il prete.
Racconta di vecchie storie di paese, di quando le persone si rivolgevano alla natura per ottenere favori… di quel tempo in cui l’uomo aveva il contatto diretto con la Grande Madre….
In quel momento si accorgono di una presenza femminile. Una delle femmine sagge ha seguito i due uomini durante questo folle viaggio.
Si tiene in disparte, a qualche decina di metri da loro.
I due non si preoccupano, non si fanno domande. Conoscono Maddalena da sempre. Si fidano.
E’ ora di ripartire. Di portarsi sui prati sopra Cicogna.
Ancora qualche passo.
Ancora qualche minuto e saranno arrivati.
Il sentiero si apre dolce al loro passaggio.
Le lacrime del ragazzo scorrono come acqua piovana sui sassi, non riesce a darsi pace.
Finalmente sono in vista del masso!
Lo guardano, lo scrutano, lo studiano.
Pietro depone la gerla con il corpo del piccolo sul masso, ora utilizzato come fosse una tavola d’altare di qualche Santuario.
Per lunghi minuti il nulla.
Il sole inizia il suo quotidiano percorso di saluto alla terra.
Gli ultimi raggi colpiscono il masso che ora sembra brillare.
Ma, ancora, non succede nulla.
Don Cesare si avvicina a Pietro e chiede cosa pensava potesse succedere su quel sasso. Il ragazzo scuote la testa. Il pensiero che suo figlio possa passare l’eternità nel limbo lo distrugge.
Scuote nuovamente la testa.
In quel momento Maddalena si avvicina, una mano sulla spalla di Pietro, uno sguardo al prete.
La donna è prossima alla gerla. Agita le mani.
Lentamente porta la bocca vicino al piccolo corpo… un alito, un sospiro… il piccolo emette un gemito, poi un altro, è vivo!
La gerla si solleva dal masso. La donna, con cura, infila le dita dei piedi nei buchi del sasso, come a cercare un contatto diretto con la natura.
Maddalena inizia a roteare la gerla, molto lentamente.
In quel momento si vedono le manine del piccolo aggrapparsi con fatica ai bordi della cesta. Il piccolo viso sorridente guarda il mondo, il suo mondo.
I suoi occhi si riempiono delle Lepontine.
Quelle poche immagini saranno il suo mondo anche dopo, anche di là!
Potrà raccontare a tutti di aver vissuto abbastanza per conoscere la terra dei suoi avi!
Nella sera che dolcemente sostituisce il giorno, la cesta continua a roteare.
Negli occhi dei due uomini la gerla sembra volare….
Maddalena si ritira dal masso. Con cura affida la gerla al padre, estrae il piccolo ancora vivo e lo cede al parroco.
Don Cesare capisce.
Battezza il piccolo utilizzando frasi che non pensava di conoscere.
In quel momento il piccolo smette di vivere.
Maddalena si ritira nel bosco.
Pietro è senza parole. Don Cesare guarda il bimbo, scruta il masso, si interroga sulla forza della vita, sulla forza della grande madre.
Il bimbo ora è passato, è nel luogo che gli compete, insieme a chi è venuto prima di lui.
Il prete cerca la donna.
Scruta il bosco.
Non la trova.
Non la troverà mai più.
Fabio Casalini

BIBLIOGRAFIA

Note a margine del racconto: 
Lo scritto si basa sull’antico rito del ritorno alla vita dei bimbi nati morti o morti durante il parto, più comunemente conosciuto come Repit (Respiro) dalla speranza che il neonato potesse ritornare alla vita \”soltanto il tempo di un respiro per ottenere il battesimo sotto condizione che fosse realmente vivo\”.
Come più volte specificato, in questo blog, il rito è stato vietato dalla Chiesa ufficiale con Papa Lambertini nel 1755.
In diversi libri sul Repit è possibile trovare cenni all’utilizzo dei massi coppellati come santuari in cui si cercava di riportare in vita il bimbo nato morto.
Il Santuario di Inoca a tutt’oggi non è considerato facente parte di quel ristretto nucleo di santuari a Repit. Il santuario di Re al contrario è stato oggetto di “tentativi di ritorno alla vita”.
Sempre in provincia di Verbania si possono visitare i santuari della Madonna del Boden e della Guardia ad Ornavasso e la chiesa della Madonna delle Nevi a Borca presso Macugnaga come luoghi di tentativi di ritorno alla vita. Sulla chiesa di Borca nelle prossime settimane uscirà un articolo per ricordare gli avvenimenti in questione.
Il Masso con le coppelle presente nel racconto si trova presso l’Alpe Prà, all’interno del Parco Nazionale della Val Grande, luogo colmo di misteri e leggende (ampiamente dibattute all’interno di questo blog).
Per concludere…. la presenza della ragazza saggia che accompagna il padre del bimbo ed il parroco è un collegamento tra il rito cristiano del Repit e quello che si tramanda circa lo stesso rito praticato da popolazioni che hanno vissuto in queste lande molto tempo prima di noi. Quando il bimbo nasceva morto non poteva passare “di là” in quanto non aveva conosciuto il suo mondo. Per evitare che tornasse a tormentare i vivi i genitori lo deponevano in una cesta e lo portavano ad una \”fata\” che saliva in cima ad una montagna e praticava il rito come esposto in questo racconto.

Tutto questo mi è sembrato doveroso aggiungerlo nei giorni seguenti la pubblicazione per fronteggiare le numerose domande che mi sono state poste circa il racconto in questione.
Spero di fare cosa gradita ai lettori.

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