Nel momento in cui l’autunno si trasforma in inverno, un uragano funesto e pericoloso si avvicinava da Sud alle valli meridionali della Svizzera. Nuvole nere annunciavano una tempesta, che avrebbe lasciato segni per i secoli a venire. Il cardinale Carlo Borromeo si apprestava a visitare la valle Mesolcina, con l’intento di convertire gli infedeli che seguivano i dettami della riforma protestante. In questo, infausto, viaggio si era fatto precedere dal gesuita ed avvocato Francesco Borsatto, il cui compito era quello di preparare il terreno per l’arrivo del cardinale. Il Borromeo conosceva quelle zone a Nord del Lago Maggiore, poiché era nato sulle sponde dello stesso lago, precisamente ad Arona, nel 1538.
Il suo viaggio, attraverso le valli svizzere a Nord del Lago iniziò nel novembre del 1582. Lo scopo di tale visita pastorale era quello di affermare, fortemente e a qualsiasi costo, il Credo deciso dal Concilio di Trento, conclusosi qualche anno prima degli eventi della Valle Mesolcina.
Possiamo analizzare la situazione iniziale che il Borromeo trovò, il viaggio all’interno delle valli e le soluzioni applicate, tramite le sue stesse parole.
Il 3 novembre il cardinale entrò nella valle. All’inizio si fermò a Roveredo per poi trasferirsi a Mesocco. Negli stessi giorni furono messi agli arresti Domenico Quattrino, parroco della collegiata di San Vittore, che abitava in Roveredo, e diversi seguaci. Secondo quanto riportato da diversi scritti, era persona di pessima condotta e non allineato con le idee della controriforma cattolica. (Compendio storico della Val Mesolcina, di Giovanni Antonio Marca, Lugano 1838).
Lo stesso cardinale in una lettera inviata all’amico, e cardinale, Paleotti nel dicembre 1583 ammise: “Vi ho trovato le cose del culto divino sordite ed incolte. I sacerdoti erano licenziosi a tutto ed impuri; inoltre i forestieri e vagabondi che escono dalla religione rovinando se stessi e gli altri con il pericoloso esempio delle loro pessime azioni.” (Lettera del cardinale Carlo Borromeo al cardinale Paleotti, Bellinzona 9 dicembre 1583).
Il cardinale si trovò al cospetto di una situazione per lui assurda ed imbarazzante, quasi miserabile. Non vi era disciplina tra i sacerdoti. Non vi era autorità in quelle persone che dovevano portare la parola di Dio.
La principale preoccupazione di Carlo Borromeo era di riportare tutte queste persone sulla retta via, sulla strada della Chiesa di Roma, così com’era uscita dalla Controriforma o se vogliamo, così come fu stata imposta dal concilio di Trento.
Le sue parole non lasciano dubbi circa il comportamento che tenne in quelle valli isolate e lontane dalla diocesi di Milano: “A questi mali ho cercato di rimediare con procurare prima di guadagnare prima questi apostati, e che tornassino a penitenza, che si sariano abbracciati ad ogni carità e misericordia, e mi è venuto fatto con divina grazia, e così gli mando alle sue religioni.” (Lettera del cardinale Carlo Borromeo al cardinale Paleotti, Bellinzona 9 dicembre 1583).
In questo passaggio della lettera ammise che tutti coloro che si erano riconvertiti, forzatamente, alla fede della chiesa romana furono restituiti ai conventi delle loro diocesi.
Una domanda sorge spontanea: quale fu il comportamento di san Carlo Borromeo verso coloro che decisero di non abiurare la fede riformata?
Nella lettera al cardinale Paleotti troviamo le risposte: “Ho procurato con commutazione et altrimenti che siano aiutati tutti con studi e discipline et uno più importante e principale dei contorni sono stato sforzato di dare in potere del braccio secolare.” (Lettera del cardinale Carlo Borromeo al cardinale Paleotti, Bellinzona 9 dicembre 1583).
In questo passo il riferimento al prevosto arrestato, don Quattrino, è palese, come altrettanto è lampante il passaggio, di coloro che non si piegarono alle torture, al braccio secolare.
Il braccio secolare era rappresentato dal potere laico del luogo nel quale avvenivano tali procedimenti. Il passaggio era in accordo con il detto che “Ecclesia non novit sanguinem”, in altre parole la Chiesa non sparge sangue, perciò l’esecuzione della condanna non spettava mai alla Chiesa stessa ma, appunto, al braccio secolare che rappresentava l’intervento della giurisdizione statale su un atto della giurisdizione ecclesiastica, in particolare nel senso che lo stato riconosceva ed eseguiva le sentenze dei tribunali della Chiesa. Fu attivo dall’Inquisizione fino all’età moderna, agendo a fianco della Chiesa cattolica nei processi, per rendere esecutive le sentenze e le ordinanze. In Italia fu abolito nel 1871.
Il viaggio all’interno delle valli Alpine non risparmiò le streghe. Per il Cardinale non era sufficiente braccare, rincorrere, stanare e giustiziare coloro che avevano aderito al Protestantesimo, poiché in lui alto era l’obbligo morale di “Purgare” le valli dalle streghe.
Quelle povere donne che nulla facevano se non vivere la propria vita com’era stato insegnato loro dalle generazioni precedenti, si trovarono al cospetto di una autorità che non sentivano come propria, per cultura e lingua.
Il cardinale scrisse: “Si è atteso anco a purgare la valle dalle streghe la quale era quasi tutta infestata di questa peste con perdizione di molte anime, tra le quali molte si sono ricevute misericordiosamente a penitenza colla abiurazione, alcune date alla corte secolare come impenitenti con pubblica executione della giustizia.” (Lettera del cardinale Carlo Borromeo al cardinale Paleotti, Bellinzona 9 dicembre 1583).
In questo passo ammette di aver torturato e giustiziato delle persone per il semplice fatto di vivere secondo le usanze del proprio luogo, della propria tradizione e della propria cultura.
Il Cardinale, che ricordo essere stato beatificato nel 1602 e canonizzato nel 1610, ammise l’esistenza delle streghe, l’utilizzo della tortura, il passaggio al braccio secolare per l’esecuzione della sentenza di morte.
Il risultato di questo viaggio pastorale del Santo Cardinale in Val Mesolcina?
Furono intentati 162 processi.
Furono eseguite 12 condanne a morte.
Tra i 12 condannati al rogo vi era anche, unico uomo, il prevosto della Collegiata di San Vittore.
Purtroppo al dolore non vi è mai fine come al sadismo dell’uomo.
I dodici condannati furono bruciati vivi, legati a testa in giù al palo del rogo. (Libro nero del Cristianesimo, Jacopo Fo, Sergio Tomat e Laura Malucelli, 2000).
In conclusione voglio ricordare che il 3 giugno del 1788 avvenne a Milano quello che fu ribattezzato il “Rogo della Memoria”, un incendio che distrusse tutto l’archivio storico della santa Inquisizione della diocesi di Milano dal 1314 al 1764 compreso.
Oggi possiamo disporre di informazioni certe e provate dei processi che avvennero fuori dalle mura della città lombarda.
Fabio Casalini




