Dolcino

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Un uomo, all’improvviso appare sulla scena: il suo nome è Dolcino. Personaggio travolgente e stravolgente: modifica l’eresia trasformando i seguaci da adepti a guerriglieri. Mazze contro spade. Uomini semplici, e male armati, contro importanti eserciti...

Per comprendere l’importanza della figura di Dolcino all’interno dei movimenti ereticali medievali dobbiamo partire da lontano. Nel 1231 Gregorio IX affidò il compito dell’inquisizione a giudici nominati e inviati da lui stesso che potevano deporre il Vescovo se riscontravano inefficienze nel suo operato. La chiesa fu notevolmente aiutata dall’Imperatore Federico II che nello stesso anno istituiva la pena di morte e il rogo per gli eretici, con la seguente formula: “siano bruciati alla presenza del popolo.” Nel 1252 Papa Innocenzo IV introdusse la possibilità d’effettuare la tortura negli interrogatori con la Bolla Ad Extirpanda. Si giunge agli inizi del 1300. Un uomo, all’improvviso appare sulla scena: il suo nome è Dolcino. Personaggio travolgente e stravolgente: modifica l’eresia trasformando i seguaci da adepti a guerriglieri. Mazze contro spade. Uomini semplici, e male armati, contro importanti eserciti. Dolcino lottò con tutte le forze per salvare il proprio popolo. Il 23 marzo 1307 fu l’ultimo giorno da uomo libero. La storia ci ricorda che si consumò una sola giornata di guerra. Perché Dolcino ebbe un ruolo primario all’interno della storia dei movimenti ereticali? Chi era quest’uomo passato alla storia come un martire della cristianità? Dolcino nasce intorno alla metà del 1200, là dove la pianura novarese risale dolce verso le Alpi. Il luogo esatto è ancora oggi incerto: molti lo credono discendente dell’antica famiglia Tornielli di Novara, altri collocano la sua nascita in Valsesia, tra Prato Sesia e Romagnano, pochi si sono spinti a crederlo originario di Trontano, piccolo paese dell’Ossola. Occorre ricordare che nel borgo antico del paese ossolano ancora oggi esiste una torre che porta il nome della famiglia d’origine dell’uomo che tanti tribolamenti porterà all’interno del corpo cristiano. Il cognome, anche su questo argomento non esistono certezze. Tornielli o Torrielli? Tutto quello che riguarda Dolcino sino all’agosto del 1300 è avvolto dalle nebbie del tempo. Alla metà di quell’anno la Chiesa comprende che avrà problemi, seri e ripetuti, con gli Apostolici, dei quali Dolcino diviene Caput et magister dopo il rogo di Gherardo Segarelli, fondatore dell’ordine. Segarelli, o Segalelli, nacque a Segalara intorno all’anno 1240. Nel 1260, anno in cui secondo le previsioni di Gioacchino da Fiore avrebbe avuto inizio l’età dello Spirito Santo, e in cui comparvero processioni e turbe di flagellanti detti Scuriati o Battuti, Segarelli chiese d’essere ammesso al convento dei frati minori di Parma, ma fu respinto. Salimbene da Parma, all’interno della sua cronica ci ricorda che: « Mentre ero a Parma, nel convento dei frati minori, come sacerdote e predicatore, si presentò un giovane, nativo di Parma, di umili origini, illetterato, sciocco e ignorante, che si chiamava Gherardino Segalelli, e chiese di essere accolto nell’ordine dei frati minori. Non essendo stato esaudito, finché gli fu possibile s’intratteneva tutto il giorno in meditazione nella chiesa; e qui gli maturò l’idea di fare di propria iniziativa ciò che inutilmente chiedeva ai frati. Siccome sopra il coperchio della lampada della fratellanza del beato Francesco erano dipinti tutt’intorno gli apostoli con i sandali ai piedi, avvolti in mantelli sulle spalle, egli rimaneva a lungo a contemplarli e di qui prese la sua decisione. Si lasciò crescere barba e capelli, prese i sandali e il bordone dei frati minori, perché tutti coloro che si propongono di creare una nuova congregazione rubano sempre qualcosa all’ordine francescano. Poi si fece fare una tunica di tela ruvida e un mantello di filo molto grosso, che portava avvolto al collo e alle spalle, convinto così di imitare l’abito degli apostoli». Salimbene, vicino ad ambienti gioachimiti, ma avverso a Segarelli, aggiunge che «distribuì il poco denaro che possedeva e molti scaltri marioli approfittarono della sua ingenuità, dopo di che cominciò a vivere di elemosine e a predicare, invitando il popolo alla penitenza». Ebbe un notevole successo fra gli umili in tutta l’Emilia e i suoi seguaci, i fratres et sorores apostolicae vitae o semplicemente apostolici o minimi, diventarono anche più popolari dei francescani. Si chiamarono “Apostolici” perché vollero imitare in tutto i primi apostoli di Cristo. Tutto questo non fu tollerato dalla Chiesa, tanto che il papa Gregorio X, aprendo il 7 maggio 1274 il II concilio di Lione, sconfessò le congregazioni religiose non autorizzate e lanciò una nuova crociata. Segarelli fu dapprima imprigionato a Parma, per poi essere rilasciato dal vescovo Obizzo Sanvitale, che pare fosse un suo segreto ammiratore; nuovamente imprigionato nel 1294 e condannato all’ergastolo, riuscì a fuggire mentre quattro apostolici, due uomini e due donne, venivano arsi sul rogo, finché, senza poter più godere della protezione del Sanvitale, divenuto vescovo di Ravenna, fu nuovamente catturato nel 1300 e processato dall’inquisitore Manfredo da Parma. al rogo a Parma il 18 luglio 1300. La sua predicazione verrà continuata da Dolcino. L’uomo venuto dalle fredde pianure alpine si presenta al mondo con una prima lettera che crea disordine all’interno della cristianità. Dolcino chiede che si torni alle origini, alla chiesa umile, priva di beni materiali. Profetizza la fine della stessa e del falso papa Bonifacio VIII per mano di Federico III d’Aragona. Il Clero cristiano non fu in grado d’accettare una simile posizione, tonante ed intimidatoria. Iniziò in quel momento la nuova crociata contro gli Apostolici. In diverse città italiane s’accesero roghi, a rischiarare la buia e fredda sera del settentrione. Dolcino divenne un instancabile viaggiatore e predicatore. Il Nord dell’Italia fu terreno di visite apostoliche per i primi tre anni del suo nuovo status sociale, sino a quando, nel 1303, presso Riva del Garda, emana una seconda lettera. La missiva ha carattere meno profetico della precedente. In questo manoscritto s’occupò di distinguere il proprio ordine dal clero indistinto, andando fortemente, e con grande coraggio, contro la gerarchia romana della Chiesa. Nel soggiorno sulle rive del lago di Garda conobbe Margherita, figlia della contessa di Arco. Margherita Boninsegna, nota anche come Margherita da Arco o da Trento, divenuta la compagna di Dolcino entrò a far parte del corpo degli apostolici. Seguì il predicatore in Piemonte nelle Valli del Sesia, rimanendo vicino sino alla fine dei suoi giorni. La fuga verso ovest scatenò la reazione dell’Inquisizione, la quale non riuscendo a colpire gli apostolici, a causa della loro clandestinità, decise di colpire i collaborazionisti: si accanisce sulle popolazioni che danno rifugio e cibo a Dolcino e ai suoi uomini. Si giunge al 1304, anno in cui Dolcino tentò di portare le sue genti all’interno delle montagne del vercellese. I seguaci erano armati, credevano in un Dio giusto, ma non disdegnavano la ribellione armata. I dolciniani braccati, non solo dall’inquisizione ma anche dai vescovi di Novara e Vercelli, scappando cercarono rifugio dove i soldati non potevano giungere. Dolcino e i suoi uomini si ritirarono nella zona di Parete Calva, dove ritenevano d’essere al riparo dalle milizie della chiesa, molto lontane dall’essere angeliche. I vescovi di Novara e Vercelli, non riuscendo ad avere risultati utili, assoldarono balestrieri genovesi e mercenari di vario genere per contrastare i ribelli della montagna. La Valsesia fu militarmente occupata. I montanari si schierarono inizialmente con Dolcino, quelli che non presero posizione netta a favore dell’idea apostolica subirono razzie e furti. Nell’intento di realizzare una comunità lontana dalla gerarchia ecclesiastica, Dolcino e i suoi uomini giunsero all’omicidio. Uccisero. Dolcino si trasformò da predicatore a guerrigliero. Nel frattempo le fila dei seguaci crescono di numero, anche grazie alle operazioni di rastrellamento arbitrarie volute dalle milizie dei vescovi di Novara e Vercelli.

«Or di’ a fra Dolcin dunque che s’armi, tu che forse vedrà il sole in breve, s’ello non vuol qui tosto seguitarmi, sì di vivanda, che stretta di neve non rechi la vittoria al Noarese, che altrimenti acquistar non saria leve». Anche Dante Alighieri volle ammonire Dolcino: l’inverno nelle Alpi è terribile, ricorda di armarti di cibo; sarai bloccato dalla neve. Dolcino ricordalo altrimenti raggiungerai tutti gli eretici che bruciano all’inferno. Gli apostolici vissero nelle balme e nelle grotte messe a disposizione dalla comunità montanara. L’inquisizione sembrò giocata, battuta. Arrivò l’inverno sulle montagne, e con esso il freddo e il gelo che tutto blocca e tutto distrugge. Devastò il morale degli uomini ancor prima che la loro resistenza fisica. Il cibo non bastò, troppe bocche da sfamare. Dolcino decise di scendere a valle con alcuni uomini. La parte finale dell’avventura apostolica ebbe così inizio. Il capo dei guerriglieri decise di scendere a Varallo per rastrellare risorse, soldi. Quale migliore occasione che catturare il Podestà del piccolo borgo ai piedi della Valsesia e chiedere denaro per il riscatto? L’inverno inesorabile avanzò ghiacciando i torrenti e distruggendo i ponti di collegamento tra le valli. Troppe persone erano giunte al Forte della Speranza e tra essi una moltitudine di donne e bambini. Il 9 marzo del 1306 il rifugio di Parete Calva fu abbandonato. Con esso i cadaveri di coloro che non avevano resistito al lungo inverno. La direzione del nuovo pellegrinaggio della speranza furono le montagne del Biellese. Un cronista del tempo definì impensabili le vie battute dai fuggitivi, tra ghiaccio e neve. Alla fine dell’inverno del 1306 la carità umana fu irrimediabilmente abbandonata.
Alcuni giorni dopo i fuggitivi s’insediarono a Monte Rubello. Dolcino ringhiava nella valle sottostante tutto il suo odio, il suo disprezzo per quelle gerarchie che, secondo lui, l’avevano portato in quella parte del mondo. Saccheggiarono dapprima Trivero e in seguito i paesi limitrofi. Necessitavano di cibo per resistere. Gli eserciti schierati per la sua cattura furono nuovamente giocati. Ma la Chiesa ha mille risorse, non solo economiche. Trasformò la guerriglia in guerra a viso aperto. Dolcino, ringhiante, decise d’attendere le milizie vescovili. Monte Rubello si trasformò. Le grotte e le balme divennero case; furono scavati pozzi e gallerie sotterranee. Le vette limitrofe furono dotate di piccoli fortilizi di difesa, ma soprattutto di guardia. All’interno della contesa si affacciò l’uomo forte che la Chiesa tanto desiderava: il vescovo di Vercelli Raniero Avogadro. L’uomo di chiesa, trasformato in combattente, decise di guidare personalmente le milizie vescovili, inquisitoriali e comunali. Raniero Avogadro decise di chiedere l’aiuto del Papa, degli inquisitori lombardi, del Duca di Savoia e dell’arcivescovo di Milano. La battaglia finale ebbe inizio. Dolcino e i suoi si muovono come cani rabbiosi. Il primo scontro avvenne presso Mosso, dove l’esercito di Avogadro fu duramente sconfitto. Ma giunse un altro inverno. Il freddo bussava, i denti battevano. Gli uomini di Dolcino arrivarono ad un tale punto di miseria che una volta morto un loro compagno, gli prendevano le carni, le mettevano a bollire e le mangiavano a causa della penuria di cibo. Malgrado quest’ultimo disperato tentativo di salvezza i ribelli cedettero, nella mente prima ancora che nel fisico. Tra il dicembre del 1306 e il marzo del 1307 si consumarono le ultime tragedie. L’esercito del vescovo Avogadro partì all’attacco. Erano organizzati e ben nutriti. Dolcino e i suoi uomini, disperati, scesero a valle ricordando le bestie selvatiche affamate di sangue. Il 23 marzo del 1307 fu l’ultimo giorno da uomo libero del predicatore divenuto combattente. Si consumò una sola giornata di guerra. La Chiesa vinse. Furono catturati vivi oltre 140 apostolici, tra cui Dolcino e Margherita Boninsegna. Furono tradotti nelle carceri vescovili di Biella.
Il processo ed il conseguente rogo furono d’insegnamento per tutti coloro che che prenderanno la decisione d’allontanarsi dalla strada segnata da Dio. Gli apostolici hanno devastato il corpo della Chiesa, ora la Chiesa devasterà il loro corpo. L’inquisizione e la Giustizia vescovile si contesero i prigionieri. Tutti volevano gloria. Tutti bramavano il corpo di Dolcino. Il processo fu breve. La sentenza, chiaramente, di condanna al rogo. Dolcino e Margherita arsero tra le vive fiamme, lei a Biella, sulle rive del Cervo, lui a Vercelli il 1 giugno del 1307. Dolcino in pochi istanti, a causa delle tremende torture cui fu sottoposto il suo corpo, si trasformò da ribelle a martire. All’eretico furono straziate le carni,  fu torto il naso e furono strappati i genitali. La folla inorridita, probabilmente, in quel momento dimenticò la selvaggia cattiveria dei ribelli. Si schierò dalla parte dell’uomo martoriato, provando tristezza nel vederlo soffrire in silenzio, nel guardarlo devastato nel corpo fare forza alla compagna di quell’incredibile periodo.
La Chiesa perse quel giorno tra Biella e Vercelli?
La vittoria della battaglia quotidiana verrà superata dalla fama che seguirà la morte dell’eretico novarese. Dolcino non sarà ricordato come un eretico giustamente punito, ma come un precursore, un martire ingiustamente mutilato ed ucciso. Altri movimenti succederanno al frate venuto dalle valli alpine, ma la sua morte identifica la fine dell’inquisizione medievale: se non esiste un nemico forte anche l’istituzione religiosa perde di significato.

Fabio Casalini

BIBLIOGRAFIA

– Libro nero dell’inquisizione, Benazzi e D’Amico, Edizioni Piemme 1998.

– Enciclopedia Treccani

– Fra Dolcino e gli apostolici, Mornese e Buratti, Derive approdi, 2000

– Divina Commedia, Dante Alighieri, Inferno XXVII 55,60

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