Questo articolo nasce dalla sincera commozione che suscita ogni volta ripercorrere l’antico sentiero che da Cicogna conduce a Pogallo nel ricordo di quei giovani che vennero fucilati su questi prati il 18 giugno 1944.
Il capitano Mario Muneghina (nato a Cuneo nel 1900) appartenente alla divisione autonoma “Valdossola” riporta alla memoria ciò che accadde nel lontano giugno del 1944: «le divisioni naziste e le legioni fasciste dopo aver bloccato tutto il traffico lacustre, ferroviario e stradale nella zona compresa nel quadrilatero Pallanza, Masera, Valle Vigezzo, Cento Valli, dopo aver piazzato centinaia di carri armati e di autoblindo a cento metri l’uno dall’altro, lungo tutto il perimetro della zona e mentre truppe alpine manovrano per occupare i passi del confine svizzero, attaccano da ogni lato i 400 partigiani».In quel quadrilatero attorno cui si assediano oltre diciassettemila nazifascisti armati fino ai denti, ci sono «i falchi della Val Grande, gli audaci della Marona e della Zeda di cui i presidi tedeschi e fascisti della sponda piemontese del Lago Maggiore hanno già provato il mordente».
Le imprese di questi uomini hanno assunto nella fantasia collettiva, dimensioni titaniche arrivando a ritenere con certezza che siano almeno cinquemila, nascosti fra le impervie vallate della Val Grande.
In realtà sono poco meno di 400 e scarsamente armati.
Un vero esercito contro pochi uomini; la data dell’11 giugno da inizio al rastrellamento!
Un vero esercito contro pochi uomini; la data dell’11 giugno da inizio al rastrellamento!
Tuttavia i partigiani lottano con audacia e senza sosta fino alla morte.
I fascisti raggiungono la Val Pogallo nella notte del 14 giugno.
I fascisti raggiungono la Val Pogallo nella notte del 14 giugno.
Si combatte ininterrottamente; 2 partigiani vengono catturati nei pressi di Ponte Casletto (poco prima di Cicogna) torturati ed in seguito fucilati a Rovegro.
Il 17 giugno altri 7 partigiani saranno fucilati in Valle Intrasca, nei pressi di Aurano.
Ad altri 4, in Valle Cannobin, a toccherà la medesima triste fine.
La sorte più tragica è riservata ai “18 partigiani di Pogallo”, tutti giovanissimi. Uno di loro ricorda che, durante il cammino verso Pogallo, un soldato tedesco scivola tra le acque del fiume; quattro di loro tentano di salvargli la vita; pare che il nemico voglia essere clemente, rassicurandoli sulla loro sorte e fornendogli del cibo.
Una flebile luce di speranza si fa largo nel gruppo.
Una flebile luce di speranza si fa largo nel gruppo.
Nelle parole di Nino Chiovini (partigiano, storico e scrittore italiano, studioso della Resistenza e della cultura contadina di montagna del VCO) i fatti narrati hanno però tutt’altra forma e sostanza; qualcosa di terribile sta per accadere: «Presto ci si impratichisce e si perde minor tempo; il tedesco legge durante la svestizione, cosicché il condannato, appena spogliato, trova il posto libero sull’orlo della fossa senza dovere attendere che finiscano con quello che precede. Così muoiono i diciotto partigiani di Pogallo».
“Oggi sul luogo dell’eccidio è presente una lapide, solo pochi hanno un nome e una fotografia, molti solo una scritta di sei lettere: ignoto. Non sappiamo chi fossero, ma sappiamo cosa li spinse a combattere su queste montagne; sappiamo che in un mattino di inizio estate, con il fieno alto che profumava l’aria, i loro sogni furono infranti e i loro ideali raccolti da altri”
I caduti:7 ignotiBruno CeruttiCarlo RoccaCelestino NicolòElio MaggioniFausto ColomboGiacomo CrippaItalo DemariIves GarlandoLeonardo GriffinoLuigi NovatiMario Gavitelli
Se avete voglia di conoscere una parte importante del nostro passato esplorate le montagne dove persero la vita i partigiani. Questo è quello che mi sento di consigliarvi. La Val Grande; landa aspra e spesso inospitale, alpeggi “della fame” con la vegetazione che sembra voglia occultare ogni cosa, dove è facile (e quasi piacevole) smarrirsi; giungla a due passi da casa con i suoi sterminati silenzi sparsi tra le pietre, l’acqua ed il cielo narra la storia di tutti noi. Fermatevi a guardare e ad ascoltare, a contemplare il suo arcaico respiro. Ricordiamo inoltre che attorno alla fine dell’ Ottocento in questo alpeggio (denominato in seguito “piccola capitale del legno”) era presente una vera e propria popolazione; Carlo Sutermeister (profondo amante della zona, ed imprenditore arguto molto attento nei confronti delle esigenze della comunità) con spirito pionieristico realizzò infatti un’impresa per il taglio del legname di cui la valle era ricca. Vi erano una scuola, un centro medico, telefono, teleferica ed una stazione di polizia (la prigione era ricavata da una stalla confinante) e le case erano rifornite di energia elettrica. Si faceva pane, burro e formaggio, c’erano galline, vacche e pecore, canzoni feste e vino. Ciò che resta oggi lo potrete contemplare con i vostri occhi…
Filippo Spadoni