D come Domodossola. Breve storia della capitale delle Lepontine

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Il passaggio sul valico del Sempione avveniva già in epoca antica poiché, grazie alla sua posizione geografica, costituisce la direttrice più agevole tra Italia ed Europa centrale. Il passo è un valico alpino posto a 2005 metri d’altitudine e prende il nome da un piccolo paese, Simplon, posto sul versante meridionale in territorio svizzero....
Il passaggio sul valico del Sempione avveniva già in epoca antica poiché, grazie alla sua posizione geografica, costituisce la direttrice più agevole tra Italia ed Europa centrale. Il passo è un valico alpino posto a 2005 metri d’altitudine e prende il nome da un piccolo paese, Simplon, posto sul versante meridionale in territorio svizzero. Il passo del Sempione mette in comunicazione la valle Saltina e la Val Divedro e rappresenta, convenzionalmente, il punto di confine tra le Alpi Pennine e le Lepontine. Gli antichi abitanti di queste valli posero le pietre, che saranno ampliate in epoca medievale, poiché nel XII secolo fu costruita una mulattiera. Nel corso del XVII secolo costruirono la strada Stockalper, intorno al 1630. Agli inizi del XIX secolo, avvenne un intervento per merito di Napoleone.
La città, che comanda il passo dalla valle del Toce, è ancora più antica.
Il geografo Claudio Tolomeo è il primo che cita Domodossola quale, probabile, capitale dei Leponzi, chiamandola Oscella o Oscela dei Leponzi. 
Non fermiamoci a Tolomeo! 
Nel VII secolo l’anonimo Ravennate la definisce “civitas” chiamandola Oxilla.
Nel XI secolo il nome che ricorre frequentemente per indicare la città è trasformato in Domus Oxile.
Nel corso del tempo vi sono altre trasformazioni del nome passando da Burgus Domi sino a Duomo d’Ossola. Duomo deriva dalla presenza della collegiata.
Alla fine dell’ottocento si arriva a Domo d’Ossola e nel corso del secolo scorso finalmente assume la denominazione attuale.
L’immagine della città rimane, dolcemente, medievale.
La città nel corso dell’Ottocento era molto frequentata da viaggiatori e turisti che scendevano con le gialle diligenze dal passo del Sempione.
Ancora scossi dall’adrenalina per i passaggi su strade strapiombanti, ammiravano la bellezza della città con occhi diversi dal comune viaggiatore moderno. 
Nel 1831 la duchessa d’Abrantes azzardò la seguente frase, “arrivando a Domodossola l’ammirazione mi chiuse la bocca: non vidi altre che quel paradiso dispiegato davanti a me”. Bisognerebbe capire se la duchessa ha visto nella città la salvezza dal proprio tribolato viaggio, oppure era davvero ammirata da quello che gli occhi gli permettevano di guardare. Il punto nevralgico di Domodossola è Piazza del Mercato. Nel suo “viaggi in Italia” Théophile Gautier sintetizza che è “disposta in forma di trapezio, la piazza del Mercato di Domodossola è piuttosta pittoresca, con le sue arcate sostenute da colonne, i suoi balconi protesi in avanti, i suoi tetti sporgenti, i suoi colonnati ed i suoi padiglioni ornati di banderuole”.
Non posso aggiungere molto a queste parole. La piazza è da visitare, magari sorseggiando un caffè in uno dei tanti bar posti nelle vicinanze dei quattrocenteschi portici.
Questi portici erano a sostegno delle case padronali che sorsero a partire dal XV secolo a formare il trapezio narrato dal Gautier.
Prendendo una strada che parte dalla piazza si giunge in vista della Collegiale dei santi Gervasio e Protasio.
Di notevole pregio, essendo ricordati come monumento nazionale, sono il portichetto barocco ed il portico romanico, che risaliva ad una chiesa più antica presente a Domodossola. Nella navata di sinistra troverete un architrave in serpentina raffigurante Carlo Magno, nell’atto di ricevere l’orifiamma, e una scena della battaglia di Roncisvalle. Sul lato destro, al momento della scrittura di questo articolo, si trova una notevole pala d’altare di Tanzio da Varallo raffigurante San Carlo Borromeo che comunica gli appestati.
Il termine Collegiata deriva dal collegio dei canonici che vi era addetto. La chiesa fu ultimata tra il 1792 ed il 1798, su disegno dell’architetto Matteo Zucchi.
Il centro cittadino è tutto da visitare, con calma e riflessione, senza farsi sopraffare dalla fretta, continuando la visita con Palazzo San Francesco.
Costruito sulla pianta di una chiesa antecedente, risalente al XIII secolo, fu acquistato sul finire del XIX secolo dalla Fondazione Galletti, che in quel luogo raccolse le proprie collezioni. La chiesa, cui era annesso un convento, era a tre navate delimitate da 12 colonne in serizzo con capitelli scolpiti. Vorrei ricordare di rivolgere lo sguardo verso l’alto per ammirare i magnifici affreschi presenti nelle volte dell’attuale palazzo.
Poco fuori dell’abitato si erge su uno sperone di roccia la chiesa dedicata a San Quirico, dall’aspetto romanico. Si tratta probabilmente della prima chiesa della città, risalente al secolo XI. All’interno un bellissimo ciclo di affreschi risalenti ai secoli XIV e XV.
L’ultimo luogo che vorrei ricordare, non potendo narrare di tutte le bellezze presenti, è il Sacro Monte di Domodossola, entrato nel gruppo di sacri monti alpini inseriti nel 2003 nell’elenco dei patrimoni dell’umanità dell’Unesco.
Nel 1656 due frati cappuccini scelsero il colle Mattarella, ove sono stati rinvenuti segni della presenza umana appartenenti alla preistoria, per farlo divenire il luogo che ospitasse il Sacro Monte. Nacquero 12 cappelle con statue e affreschi che rappresentano le stazioni della croce e 3 cappelle che illustrano la deposizione della croce.
Ancora convinti che sia solo “D come Domodossola”?
 
 
 

BIBLIOGRAFIA

  • Luciano Vaccaro, Giuseppe Chiesi; Fabrizio Panzera, Terre del Ticino. Diocesi di Lugano, Brescia, Editrice La Scuola, 2003
  • Anni Veschambre, L’Ossola e le sue meraviglie, Varese, Macchione Editore, 2003
  • Giovanni De Maurizi, L’Ossola e le sue valli, Verbania, Edizioni Grossi, 1977
  • Edgardo Ferrari, Le guide: Domodossola, Domodossola, Edizioni Grossi, 1998
  • Paolo Bossi, Teresio Valsesia, Scoprire l’Ossola e le sue valli, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1988

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