Roma e la leggenda di Piazza Navona

Siamo nel luogo in cui il barocco oltrepassa l’umano ed assume sembianze divine. Giungere in piazza Navona da corso del Rinascimento è un colpo al cuore. All’improvviso ti appaiono la fontana dei quattro fiumi del Bernini e la chiesa di Sant’Agnese in Agone del Borromini. 
Artisti ed architetti che meglio degli altri contribuirono al patrimonio barocco di Roma. L’uno, il Bernini, napoletano, l’altro, il Borromini, ticinese. Troppo diversi. Caratteri opposti. Non furono mai amici, anzi il Borromini, il cui vero cognome era Castelli, soffriva enormemente dei successi del rivale, molteplici ed importanti. Partiamo da questa diversità per inquadrare il rapporto tra i due artisti, senza dimenticare la storia di questo magnifico luogo. Piazza Navona, ai tempi dell’antica Roma, era lo Stadio di Domiziano che fu fatto costruire dall’imperatore Domiziano nell’85 e nel III secolo fu restaurato da Alessandro Severo. Era lungo 276 metri, largo 106 e poteva ospitare 30.000 spettatori. Lo stadio era riccamente decorato con alcune statue, una delle quali è quella di Pasquino (forse una copia di un gruppo ellenistico pergameno che si presume rappresentante Menelao che sorregge il corpo di Patroclo), ora nell’omonima piazza di fianco a Piazza Navona. Poiché era uno stadio e non un circo, non c’erano i carceres (i cancelli da cui uscivano i cavalli da corsa) né la spina (il muro divisorio intorno a cui correvano i cavalli) come ad esempio il Circo Massimo, ma era tutto libero ed utilizzato per le gare degli atleti. L’obelisco che ora è al centro della piazza non si trovava lì, ma viene dal circo Massenzio, che è tuttora sulla via Appia. Il nome della piazza era originariamente \”in Agone\” (dal latino in agonis, \”giochi\”) poiché lo stadio era usato solo ed esclusivamente per le gare di atletica. anticamente la piazza era concava, si bloccavano le chiusure delle tre fontane e l’acqua usciva in modo da allagare la piazza. Tra X e XI secolo il Campus Agonis con le sue Cryptas erano interamente di proprietà dell’Abbazia di Farfa, per passare nel XIII secolo interamente sotto il controllo del magistrato romano da destinare periodicamente ad uso ludico, uso che si protrarrà fino ad età rinascimentale avanzata quando ancora appare come area adibita ad addestramento cavalleresco e ludi carnevaleschi. In questo breve intervallo la proprietà del Circus Agonis risulta frazionato tra proprietari privati ed enti ecclesiastici.

Tra il 1810 ed il 1839 nella piazza si tennero le corse al fantino, ossia corse di cavalli montati (che però non avevano parentela con le più famose corse dei barberi di Via del Corso).

Questo rapporto conflittuale tra il Bernini e il Borromini, divenuto a suo modo leggendario, ha fatto nascere delle credenze popolari che sono giunte sino a noi.
Ma questa leggenda da dove nasce?
Sembra che il Bernini avesse creato due della quattro statue della Fontana dei Fiumi per generare dubbi sulla tenuta architettonica dell’edificio del rivale!
La statua che rappresenta il fiume del Rio della Plata è stata ideata con la mano sollevata intenta a proteggersi dall’eventuale caduta della chiesa del Borromini!
La seconda statua oggetto della leggenda, che rappresenta il Nilo, si copre il viso per non dover guardare in eterno l’orribile opera dell’architetto rivale!
Il Borromini come reagì?
Alla base del campanile di destra della chiesa di sant’Agnese aggiunse una piccola statua della santa intenta a portarsi la mano sul petto: quel gesto venne giudicato dal popolo come una rassicurazione sulla struttura dell’edificio.
Affascinante come lettura degli eventi e dei monumenti di questa splendida piazza.
Ma bastano poche ricerche per capire che si tratta solo di leggenda popolare.
La chiesa del Borromini venne completata qualche anno dopo la fine dei lavori della fontana!
Non sembra possibile che il Bernini abbia speso tempo a rimodellare le proprie statue dopo l’edificazione della chiesa, anzi risulta quantomeno improbabile.

In tutto questo parlare e sparlare qualcosa di vero ed assodato esiste; sono le aspre critiche che i seguaci del Borromini portarono all’opera del Bernini.
Questi dotti e sapienti sostenevano che la fontana, essendo cava alla base, non avrebbe retto il peso dell’obelisco e di tutta la struttura architettonica posta sopra di essa. Secondo il loro pensare avrebbe dovuto collassare su se stessa.
Come possiamo ammirare, visitando Roma, si sbagliavano……
Fabio Casalini

BIBLIOGRAFIA

CONDIVIDI

Condividi su facebook
Condividi su twitter
Condividi su linkedin
Condividi su pinterest
Condividi su whatsapp
Condividi su email

COMMENTI

ARTICOLI CORRELATI

Le nostres storie direttamente nella tua mailbox